Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12614 del 22/05/2018

Civile Ord. Sez. 6 Num. 12614 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MANZON ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso 4081-2017 proposto da:
A.A.

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (CI’. 06363391001), in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

c.

Data pubblicazione: 22/05/2018

I•

avverso la sentenza n. 909/6/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO, depositata il 13/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 22/03/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO
MANZON e disposta la motivazione semplificata su concorde

Rilevato che:
Con sentenza in data 14 giugno 2016 la Commissione tributaria
regionale del Piemonte accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle
entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 1883/6/14 della
Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva accolto il
ricorso proposto da A.A. contro l’avviso di
accertamento per II.DD. ed IVA 2008. La CTR osservava in
particolare che, essendo il contribuente un lavoratore autonomo e
basandosi l’atto impositivo impugnato sulla mancata giustificazione di
un versamento di euro 25.000 su di un suo c.c. bancario, trattandosi
dunque di applicare la presunzione legale relativa di cui all’art. 32,
d.P.R. 600/1973, il contribuente non aveva adeguatamente assolto al
proprio onere di controprovare la circostanza fattuale riscontrata
secondo detta previsione normativa (dimostrazione della
evidenziazione ai fini tributari del versamento ovvero della sua
irrilevanza fiscale).
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione

il

contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con il primo mezzo il ricorrente si duole della violazione/falsa
applicazione degli artt. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 600/1973, 51,
d.P.R. 633/1972, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha ritenuto di
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indicazione del Presidente e del Relatore.

applicare la presunzione legale relativa di cui alle prime due
disposizioni legislative evocate, nonostante la declaratoria di
incostituzionalità della novella dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R.
600/1973, introdotta con l’art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, della legge
311/2004, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n.

La censura è infondata.
Va ribadito che «In tema di accertamento, resta invariata la
presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con
riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal
professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di
provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti
imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte
costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività
imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti
correnti» (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016, Rv. 640983 — 01;
successive conformi, ex pluribus, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3628 del
10/02/2017, Rv. 643207 — 01; Sez. 5 Ordinanza n. 27049 del 2017;
Sez. 5, Ordinanza n. 947 del 2018), trattandosi di principio di diritto
che deve considerarsi minai consolidato nell’evoluzione della
giurisprudenza di questa Corte sulle conseguenze della evocata
pronuncia di costituzionalità.
Rispetto alla questione di diritto de qua la sentenza impugnata deve
quindi considerarsi giuridicamente corretta.
Con il secondo, subordinato, mezzo il ricorrente denuncia la
violazione dell’art. 57, d.lgs. 546/1992, poiché la CTR nell’accogliere il
gravame agenziale non ha tenuto conto del divieto di nuove eccezioni
(non rilevabili d’ufficio) sancito dalla disposizione processuale speciale
evocata, così qualificando la contestazione, appunto ex novo contenuta
Ric. 2017 n. 04081 sez. MT – ud. 22-03-2018
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228/2014.

nell’appello, dell’efficacia probatoria dei documenti dal ricorrente
medesimo prodotti già nel primo grado del giudizio ex art. 24, d.lgs.
546/1992, senza che in quel grado l’Agenzia delle entrate, ufficio
locale, svolgesse puntuali difese al riguardo, secondo le relative
disposizioni processuali speciali.

Va ribadito che «Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove
eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n.
546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti
nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o
impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni
improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti
costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che
restano sempre deducibili. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile
in grado di appello la contestazione delle deduzioni documentali del
contribuente, effettuata dall’Agenzia delle Entrate per la prima volta in
grado di appello)» (Sez. 5, Ordinanza n. 22105 del 22/09/2017, Rv.
645639 – 01).
E’ quindi del tutto evidente che la contestazione della valenza
probatoria della documentazione giustificativa prodotta dal
contribuente in prime cure non può essere considerata, come ritiene il
contribuente medesimo, una eccezione “in senso stretto”, quindi
vietata in appello dall’art. 57, comma 2, d.lgs. 546/1992, ma che invece
debba essere qualificata come “mera difesa” del tutto consentita, anche
quale motivo di gravame, che appunto, in parte qua, censura la sentenza
appellata.
Si tratta infatti della presa di posizione difensiva, in ordine all’
assolvimento dell’onere probatorio gravante sul contribuente secondo
il meccanismo presuntivo legale in oggetto, che si limita a negare
Ric. 2017 n. 04081 sez. MT – ud. 22-03-2018
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La censura è infondata.

l’efficacia controprobatoria della documentazione dimessa dal
contribuente stesso, senza in alcun modo ampliare l’oggetto fattuale
della lite, secondo il diverso, e non pertinente al caso, schema giuridico
di cui all’art. 2697, primo e secondo comma, cod. civ.
In conclusione, il ricorso va rigettato.

dispositivo.
PQNI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in curo 2.300 oltre spese
prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, 22 marzo 2018

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in

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