Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12614 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/05/2017, (ud. 20/04/2017, dep.19/05/2017),  n. 12614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3494-2014 proposto da:

SPV VENEZIA SRL (OMISSIS) e per essa la mandataria S.G.C. S.R.L.

SOCIETA’ GESTIONE CREDITI in persona dell’amministratore Dott. DI

PIETRO GIANGASPARE LUCA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.

SPALLANZANI 22/A, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO NUZZO, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO ALBERTO

GIOVANARDI, FILIPPO CANTALAMESSA giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PLAUTO 12,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO POMPEI, che lo rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6634/2013 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 10/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La SPV Venezia s.r.l., per il tramite della sua mandataria SGC s.r.l., cedeva a G.R., al prezzo di 80.000 Euro, un credito ipotecario del valore di circa 215.000 Euro che la stessa vantava, nei confronti di C.G., quale cessionaria della BNL s.p.a. nell’ambito di una operazione di cartolarizzazione. Al momento della cessione del credito l’immobile su cui gravava ipoteca era oggetto di espropriazione da parte della BNL e il G. se ne rendeva aggiudicatario all’incanto, per poi accertare che il medesimo bene era stato previamente acquisito alla massa di un fallimento e alienato con conseguente purgazione dell’ipoteca. Il G., pertanto, otteneva la revoca del decreto di trasferimento con restituzione del prezzo versato, convenendo in giudizio la SPV Venezia per l’annullamento del contratto di cessione del credito in quanto viziato da errore comune, consistente nella ritenuta natura ipotecaria rivelatasi carente.

Il tribunale di Milano adito accoglieva la domanda e la Corte di appello, investita del gravame da parte della SPV Venezia, dichiarava inammissibile l’impugnazione ex art. 348-bis cod. proc. civ..

Per la cassazione di questa decisione ricorre la SPV Venezia affidando le sue ragioni a due motivi e depositando memoria per il tramite della propria società mandataria.

Resiste con controricorso G.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., deducendo l’omessa considerazione delle complessive clausole contrattuali. In specie di quelle in cui il cessionario aveva assunto “ogni rischio inerente alla solvibilità del debitore ed eventuali coobbligati, così come l’adeguatezza ed escutibilità delle garanzie che assistono il credito” (art. 1 del contratto); e aveva “rinunciato ad ogni eventuale diritto di rivalsa…in ordine…all’escutibilità delle garanzie, intendendosi da me assunto ogni rischio al riguardo anche in considerazione della conoscenza da parte mia del titolo da cui il credito ceduto è originato, dalle vicende dei rapporti tra la Banca Nazionale del Lavoro, il debitore ceduto, coobbligati ed eventuali terzi comunque relative al credito ceduto” (art. 4). Il ricorrente sostiene che si tratta di clausole, ritenute erroneamente irrilevanti da parte del giudice di merito, da cui emerge l’assunzione integrale del rischio in ordine al credito, per qualunque ipotesi negativa della sua utile esazione. Ciò che, infatti, si era riflettuto sul costo della cessione.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., per omessa considerazione, da parte del tribunale, del comportamento complessivo delle parti e in particolare di quello successivo del cessionario che: non aveva notificato la cessione al debitore ceduto; non era intervenuto, nonostante avesse assunto espresso impegno in tal senso, nella procedura esecutiva in essere, cui aveva partecipato come offerente e poi aggiudicatario, con la finalità di recuperare le somme quale creditore in sede di riparto; non si era curato di annotare il titolo ex art. 2843 cod. civ., con ciò dimostrando di non aver assegnato determinante valore alla garanzia del credito.

2. Preliminarmente deve specificarsi che la ricorrente SGC s.r.l. non è stata parte nei gradi di merito, ma in questa sede ha agito quale mandataria della SPV Venezia s.r.l., cedente il credito e convenuta in prime cure. Peraltro, nella memoria illustrativa depositata si dà ulteriormente atto che la SGC, nella sua qualità di mandataria della SPV Venezia, si è fusa per incorporazione nella Archon Group Italia s.r.l., subentrante nella posizione sostanziale e processuale. Secondo la giurisprudenza il mandatario, in forza di una procura generale o speciale “ad negotia” – ovvero come nel caso L. 30 aprile 1999, n. 130, ex art. 2, comma 3, lett. c) e comma 6, – può esercitare tutti i poteri e le facoltà spettanti al mandante inerenti e necessarie all’esecuzione del mandato ricevuto, compresa quella di instaurare un giudizio di legittimità e di conferire procura speciale al difensore, a nulla rilevando che il mandato sia anteriore alla sentenza avverso la quale si intende proporre ricorso per cassazione (Cass. 14/01/2016 n. 474).

2.1. I motivi articolati devono esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione. Essi sono inammissibili.

Secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, “per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito a un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass., 20/11/2009, n. 24539; Cass., 17/03/2014, n. 6125).

Ora, pur non menzionandole espressamente, è evidente che il tribunale ha valutato in particolare le clausole di cui agli artt. 1 e 4 del contratto, ritenendo che “l’assunzione del rischio da parte del concessionario in ordine all’escutibilità della garanzia…, lungi dal provare che il concessionario intendesse assumere il rischio dell’inesistenza dell’ipoteca, costituisce conferma del rilievo che l’ipoteca ha avuto nell’individuazione dell’oggetto del contratto di cessione e dell’influenza determinante nella determinazione del consenso” (pag. 6 della sentenza). In tal senso il giudice di merito distingue tra rinuncia all’utile escutibilità della garanzia, pattuita, e rinuncia alla sua stessa esistenza, non riversata nella clausola. Lettura certamente possibile di quest’ultima, non disgiunta dalla pregnante funzione usualmente svolta dalle garanzie ipotecarie in tutte le vicende traslative, incluse dunque quelle speculative (pagg. 4-5).

Nè può dirsi che il tribunale non abbia vagliato la possibile rilevanza del comportamento delle parti, specie del cessionario. Si trova spiegato nel provvedimento impugnato che “anche ove fosse stata ancora possibile dopo l’acquisto del credito da parte (del cessionario) e la sua conoscenza del trasferimento del bene in sede fallimentare, la sua partecipazione alla distribuzione del ricavato dalla vendita, (egli) non avrebbe potuto comunque partecipare facendo valere la prelazione ipotecaria, poichè dopo il suo acquisto non avrebbe potuto chiedere l’annotazione…, risultando alla data del suo acquisto l’ipoteca già cancellata” (pag. 4 della sentenza). Ed è evidente che il cessionario non aveva bisogno di particolari esigenze sulla escutibilità della garanzia proprio perchè la procedura esecutiva era in corso.

In tal senso non può dirsi che il tribunale non abbia, sia pure implicitamente, valutato se dal comportamento delle parti, soprattutto del G., fosse desumibile l’irrilevanza assegnata all’ipoteca ai fini della conclusione della cessione.

Ne deriva l’inammissibilità dei motivi di ricorso.

3. Spese secondo soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 6.000,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione redatta con la collaborazione dell’assistente di studio dott. P.P..

Il collegio ha stabilito che la motivazione sia semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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