Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12613 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. I, 09/06/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 09/06/2011), n.12613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.F.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12. presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte di appello di Napoli in data 10

giugno 2008, nel procedimento n. 979/08 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 26 gennaio 2011 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. PATRONE Ignazio, che nulla ha osservato.

LA CORTE:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“Il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;

ritenuto che:

1. D.F.G. ha a proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 10 giugno 2008, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.870,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso depositato il 14 luglio 2000 e non ancora definito;

1.1. il Ministero intimato ha resistito con controricorso;

osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 4.870,00. pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di quattro anni e dieci mesi circa a quella ragionevole, determinata in tre anni;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo cinque motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo);

3.2. il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio e l’inosservanza, con vizio di motivazione, dei parametri europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (motivi due e tre);

3.3. il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di pubblico impiego (quarto e quinto motivo);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. i motivi due e tre appaiono manifestamente infondati in quanto la liquidazione dell’indennizzo stabilita dalla Corte di appello è superiore a quella applicata in casi simili da questa Corte, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza della CEDU, per un ammontare di Euro 750,00 ad anno per i primi tre anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ogni ulteriore anno successivo;

inoltre è vincolante per il giudice nazionale il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

4.2. il quarto e quinto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetari a nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”:

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione in atti:

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 800.00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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