Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12610 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. II, 12/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25826/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Crotone via Libertà n.

27/B, presso lo studio dell’avv.to ASSUNTA FICO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositata il

18/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Catanzaro con decreto pubblicato il 18 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da S.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè il padre della fidanzata, che era il capo della sua regione, aveva saputo che lei era rimasta incinta e lo aveva minacciato di morte. Successivamente il richiedente era stato picchiato da tre persone che lo avevano ferito e a quel punto aveva deciso di scappare.

Il Tribunale reputava generica, lacunosa e stereotipata la narrazione effettuata dal richiedente.

Secondo il Tribunale la non credibilità della storia sulla base degli indicatori di genuinità soggettiva rendeva superfluo l’attivazione dei poteri istruttori officiosi circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine. Di conseguenza il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciare il paese non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c), per la non verosimiglianza del racconto sui motivi dell’espatrio.

Il richiedente non aveva allegato che, in caso di rimpatrio, poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto.

Il Tribunale infine evidenziava che la situazione economico sociale del Gambia come risultante da fonti qualificate non poteva ricondursi alla nozione di violenza indiscriminata in un conflitto armato da intendersi nel senso della presenza di un così elevato grado di violenza da far ritenere che un civile in caso di rientro nel paese correrebbe, per la sola presenza nel territorio, un rischio effettivo di subire la suddetta minaccia.

Infine, il Tribunale rigettava anche il motivo di impugnazione relativo alla mancata concessione della protezione umanitaria, non essendo state allegate situazioni di vulnerabilità o altre gravi ragioni di protezione. L’individualizzazione dei motivi umanitari non poteva essere surrogata dalla situazione generale del paese, nè poteva assumere rilievo il paese di transito, in quanto il ricorrente non aveva fornito alcuna spiegazione della connessione tra il suo transito per il territorio libico e la sua domanda di protezione internazionale.

3. S.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Omessa audizione del ricorrente.

Il Tribunale nonostante gli asseriti dubbi avanzati in merito alla credibilità delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente avrebbe omesso di procedere all’audizione personale disattendendo l’espressa richiesta istruttoria avanzata dalla parte. Procedendo all’audizione del richiedente il Tribunale avrebbe avuto modo di riscontrare le dichiarazioni rese nella fase amministrativa. Peraltro, la audizione fatta dinanzi alla commissione territoriale non era stata adeguata.

1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale.

Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, Sent. n. 5973 del 2019). Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, si limita a prevedere che nel caso di mancata acquisizione della videoregistrazione dell’audizione in sede amministrativa, il giudice deve fissare, come in concreto è avvenuto, l’udienza.

Il ricorrente da un lato non afferma di essere stato presente all’udienza e di aver insistito per la richiesta di audizione e dall’altro non spiega per quale ragione, avendo riguardo agli invocati parametri costituzionali, un colloquio non videoregistrato, ma comunque oggetto di verbalizzazione, imponga al tribunale di rinnovare l’audizione dell’interessato, nè si vede come la lesione del diritto di difesa del richiedente asilo avanti all’organo giurisdizionale possa in definitiva dipendere dalla modalità di verbalizzazione dell’audizione. E’ da evidenziare, piuttosto, come il tema della rinnovazione dell’interrogatorio avanti al giudice del merito vada affrontato avendo riguardo alla normativa Eurounitaria, alla luce della quale va interpretata quella nazionale che ne costituisce recepimento. Deve peraltro escludersi che in base a tale referente normativo il Tribunale sia sempre tenuto a procedere all’audizione del richiedente. Secondo quanto precisato da Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, “la necessità che il giudice investito del ricorso ex art. 46 della direttiva 2013/32 proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del suo obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva, ai fini della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti e degli interessi del richiedente. Tale giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso pendente solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado”, perchè in tal caso ciò si giustifica in funzione dell’interesse a una sollecita definizione del giudizio, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo. Laddove invece il giudice – prosegue la Corte – “consideri che sia necessaria un’audizione del richiedente onde poter procedere al prescritto esame completo ed ex nunc, siffatta audizione, disposta da detto giudice, costituisce una formalità cui esso non può rinunciare”. La Corte di giustizia ha quindi definito la questione pregiudiziale stabilendo che “La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva”.

Da ultimo questa Corte ha nuovamente esaminato la questione della necessità dell’audizione in caso di mancanza di videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione Territoriale. Si è ritenuto che sia doverosa una nuova audizione del richiedente in sede giurisdizionale non solo quando il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente (verosimilmente evidenziate nel decreto di rigetto della Commissione Territoriale e poste a fondamento del giudizio di inattendibilità del racconto), ma anche quando quest’ultimo ne faccia apposita istanza nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti (Cass. n. 21584 del 2020).

In tale occasione si è precisato che è, in ogni caso, escluso che il giudice debba disporre una nuova audizione del richiedente (salvo che lo stesso giudice non lo ritenga necessario) in difetto di un’istanza di quest’ultimo contenuta nel ricorso, o comunque allorquando tale eventuale richiesta sia stata formulata in termini generici. La valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato alla luce dei parametri della sentenza delle SS.UU. n. 8053/2014. Peraltro, ove il giudice di merito ometta di pronunciarsi sull’istanza di audizione formulata dal richiedente, tale omissione è parimenti censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13716 del 05/07/2016; conf. Cass. 24830/2017; Cass. 6715/2013)”. Infine, il giudice non deve provvedere all’audizione del richiedente nei casi in cui la domanda venga ritenuta dallo stesso manifestamente infondata o inammissibile per ragioni diverse dal giudizio formulato sulla base di incongruenze che, alla luce di quanto sopra evidenziato, possano o debbano essere chiarite attraverso l’audizione del richiedente.

Richiamati i principi in materia e venendo al caso di specie, deve evidenziarsi che il Tribunale ha ritenuto che la difesa del ricorrente non avesse introdotto temi di indagini ulteriori, nè allegato fatti nuovi. Le circostanze indicate in ricorso confermano il giudizio di genericità e ripetitività formulato dal Tribunale. Peraltro, il racconto oltre a essere stato ritenuto inattendibile è stato giudicato anche inidoneo a rappresentare una condizione di persecuzione.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6 e 14, con riferimento alla protezione sussidiaria e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.

Il Tribunale avrebbe commesso un chiaro errore valutativo nel giustificare il mancato riconoscimento delle forme di protezione internazionale, in particolare di quella sussidiaria, omettendo di compiere un’adeguata istruttoria in merito alla concreta ipotesi che il ricorrente, in caso di rimpatrio, possa nuovamente trovarsi nel pericolo di incorrere in un danno grave alla sua incolumità o venga posto in una condizione di vulnerabilità tale da necessitare di adeguata protezione.

Il ricorrente ripropone nuovamente la questione relativa alle condizioni sociopolitiche ed economiche del Gambia, citando fonti qualificate dalle quali emerge il rischio di subire un danno grave caso di rientro nel paese per via dell’impossibilità di ricevere adeguata tutela da parte delle istituzioni statuali. In particolare, per il rischio paventato dal richiedente di essere ucciso dal padre della sua ragazza e di essere arrestato.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Il Tribunale ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che il Gambia non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

La censura proposta con il secondo motivo, seppure in modo non chiaro, sembra diretta anche alla decisione sulla richiesta di protezione umanitaria. Sul punto, in disparte il motivo di inammissibilità della censura, deve evidenziarsi che la decisione del Tribunale è fondata sulla mancata allegazione da parte del richiedente di situazioni di vulnerabilità e la mancanza di individualizzazione dei motivi umanitari non può essere surrogata dalla situazione generale del paese di provenienza. Tale statuizione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte. Il racconto del ricorrente peraltro non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

7. In conclusione il ricorso è inammissibile.

8. Nulla spese.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

 

 

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