Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12609 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. II, 24/05/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 24/05/2010), n.12609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENSITIERI Alfredo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CESI COSTR EDILI STRADALI IDRAULICHE DI D’ATTANASIO BRUNO & C

SNC

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore Unico e legale

rappresentante pro tempore Sig. D.B., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato

CIPRIETTI SABATINO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

V.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 584/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 27/08/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato CIPRIETTI Sabatino, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 1985 V.A., subappaltatore di lavori di pavimentazione stradale in porfido in (OMISSIS), evocava in giudizio l’appaltatrice C.E.S.I. Costruzioni edili stradali idrauliche di D’Attanasio Bruno e C snc, per chiedere il pagamento della somma di circa L. 56 milioni. Nonostante la resistenza della CESI, che esponeva l’esistenza di vizi nell’esecuzione dell’opera e nella condotta contrattuale, la domanda veniva accolta dal Tribunale di Pescara; la riconvenzionale svolta da CESI veniva accolta nei limiti di L. 1.663.600. Il 27 agosto 2004 la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello incidentale del V., rigettava la domanda riconvenzionale di CESI snc. La Corte d’appello rilevava che la controversia era regolata dall’art. 1670 c.c., sicchè Cesi era decaduta dall’azione per aver tardivamente contestato i vizi, non avendo girato tempestivamente al subappaltatore le denunzie del committente Comune di Tagliacozzo. La Corte respingeva anche la censura relativa al pagamento del trasporto del materiale, non eseguito a dovere secondo la CESI, negando che vi fosse specifica pattuizione e ritenendo insufficiente quella contrattuale. Respingeva il gravame anche in ordine alla rivalutazione monetaria accordata al creditore.

La Cesi ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 19 gennaio 2005, affidandosi a cinque motivi. V. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Il primo motivo denuncia omessa motivazione, con richiamo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli artt. 83, 125, 182 c.p.c.. Viene lamentata la omessa motivazione in ordine alla inesistenza o nullità della procura alla lite contenuta nella comparsa di risposta con appello incidentale, in quanto prodotta solo in fotocopia. Parte ricorrente, oscillando tra il paradigma dell’omessa motivazione e quello dell’omessa pronuncia, si duole che la Corte d’appello “ha omesso ogni esame e decisione”, non avendo “nemmeno richiamata la eccezione”.

La censura è inammissibilmente formulata. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia (e tanto meno a vizio di motivazione), il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito (Cass 10073/03; 1701/09). La denuncia del vizio di motivazione, che non consente alla Corte di legittimità l’esame degli atti di causa, preclude l’esame della censura, che doveva essere esplicitamente calibrata in relazione alla nullità del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per specifiche violazioni.

2) Il secondo motivo lamenta insufficiente e illogica motivazione, violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dei canoni di interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c.). La CESI deduce che la Corte d’appello ha “scansato” il motivo di gravame con cui essa si doleva dei vizi della fornitura e della posa in opera. Lamenta che la Corte aveva risolto la questione sulla base della decadenza dell’appaltatore per mancata comunicazione al subappaltatore della denuncia entro sessanta giorni dal ricevimento omettendo l’esame dello specifico motivo e peccando di ultrapetizione. In proposito evidenzia che il V. aveva sollevato la eccezione ex art. 1670 c.c., solo relativamente ai vizi di cui agli ordini di servizio n. 2 e 3 “e non a tutti gli altri vizi addotti e provati”. La censura non coglie nel segno. La Corte non ha omesso la decisione sulla richiesta di risarcimento per vizi nell’opera eseguita dal subappaltatore. Ha ben messo in evidenza (pag. 5) che l’appaltatore non aveva titolo per agire contro il subappaltatore se non per vizi denunciatigli dal committente. In tal modo ha inequivocabilmente esaminato e respinto, con ratio decidendi qui non oggetto di specifica impugnazione, la richiesta relativa ai vizi dell’opera non oggetto della denuncia del committente. Quanto a quest’ultima, ha ineccepibilmente rilevato la decadenza in relazione alla tardività della comunicazione del primo ordine di servizio (13.9.1984) e alla omessa comunicazione al subappaltatore del secondo (datato 2/10/85).

3) Il terzo motivo lamenta vizi di motivazione – violazione e falsa applicazione degli artt. 1668 e 1670 c.c. – erronea valutazione delle risultanze istruttorie in relazione agli artt. 115 e 166 c.p.c. – violazione dei canoni di interpretazione dei contratti.

La censura, non sempre di agevole lettura, lamenta che la Corte d’appello abbia riformato la sentenza del Tribunale, che aveva riconosciuto un risarcimento per L. 1.600.000 circa corrispondente alla spesa sopportata dalla Cesi per la maggiore quantità di sabbia e bitume che aveva dovuto impiegare per ovviare alla inesatta fornitura del subappaltatore. Deduce che la riforma avrebbe dovuto essere di opposto segno e che la decadenza ex art. 1670 c.c., non poteva investire gli inadempimenti contrattuali del V., a carico del quale avrebbe dovuto essere sancita condanna al rimborso dei maggiori costi per impiego di sabbia e bitume e al risarcimento dei danni per la posa in opera del porfido non a regola d’arte, ma con avvallamenti e ristagni d’acqua.

La censura è fondata limitatamente ai maggiori costi sopportati dall’impresa appaltatrice, nel corso dell’esecuzione dell’opera, per sopperire alla ridotta dimensione dei cubetti di porfido con materiale di riempimento. Questi costi erano contrattualmente a carico del subappaltatore e non rientravano nella materia disciplinata dall’art. 1670 c.c., poichè non potevano esser oggetto di denuncia del committente. Non scaturivano infatti da pretesi vizi dell’opera, ma erano costi dell’opera stessa indebitamente sopportati dall’appaltatore per far fronte ad allegate deficienze imputabili all’odierno intimato. Il giudice d’appello sul punto ha quindi fatto erronea applicazione della norma di cui all’art. 1670 c.c., il giudice di rinvio, al quale la causa sarà rimessa, previa verifica dell’effettiva consistenza delle maggiori spese indebitamente sopportate dall’appaltatore, dovrà regolarle in relazione alle pattuizioni contrattuali intercorse tra appaltatore e subappaltatore, che fissavano i rispettivi oneri di forniture di materiale e posa in opera della pavimentazione.

La statuizione impugnata è invece corretta in ordine a pretesi vizi dell’opera che non sono stati oggetto di denuncia o pretesa da parte del committente. Il ricorrente è carente di interesse a far valere asseriti vizi non lamentati dal committente, nè vi è materia per risarcire alcun danno, che non sarebbe qualificabile nè sotto il profilo contrattuale nè, ex art. 2043 c.c., sotto quello della ingiustizia. Il committente trarrebbe invece indebita locupletazione se, oltre al compenso dovutogli dal committente, percepisse a questo titolo una somma ulteriore da parte del subappaltatore.

4) Fondato è il quarto motivo, con il quale sono lamentati violazione degli artt. 1353, 1362 e 1363 c.c., nonchè vizi di motivazione con riferimento al mancato trasporto “da parte della ditta Virnicchi del materiale fornito sul luogo di lavoro”. I giudici abruzzesi hanno ritenuto che i lavori riguardavano una pluralità di strade di (OMISSIS) e che l’appellante non aveva dimostrato l’esistenza di un accordo che individuasse “la località o le località” in cui i cubetti di porfido dovevano essere depositati. Il ricorso riporta per intero il contratto, che nella parte relativa ai cubetti di porfido indica inequivocabilmente (con la espressione “ns carico”, mentre quella “vs carico” era usata per menzionare Cesi) che restavano a carico del subappaltatore “tutte le altre voci, trasporto materiale, battitura, posa in opera, bitumatura compresa nel prezzo”.

E’ quindi evidente, come la censura fa risaltare, che tutto il costo del trasporto doveva far carico sul V., con l’ovvia conseguenza che i cubetti dovevano essere trasferiti fino ad ogni singolo tratto di strada mano a mano interessato dai lavori. Le testimonianze riportate in ricorso, con riferimento alle quali si fa valere il vizio di motivazione dipendente dall’incongruo esame di esse, avevano fatto emergere, come è implicito anche nella motivazione resa dalla Corte territoriale, che i materiali erano stati scaricati dall’intimato in luogo posto a distanza dalla sede di. posa in opera e che il relativo costo di definitivo trasporto era stato sopportato dall’appellante principale. Illogicamente è stato quindi interpretato il contratto nel senso che l’onere di trasporto assunto dal subappaltatore non riguardasse il trasporto fino al punto di posa in opera, (attività pure incombente sul V.), ma solo fino ad una strada qualsiasi in Tagliacozzo, lasciando all’appaltatore l’aggravio dell’ultimo tratto. Anche questo punto controverso della sentenza impugnata merita la cassazione e dovrà essere riesaminato dal giudice di rinvio con maggior attenzione al criterio letterale e all’insieme delle pattuizioni nel ricercare la comune intenzione delle parti e con congrua valutazione delle risultanze istruttorie acquisite.

5) L’ultima censura attiene alla violazione degli artt. 1224 e 2697 c.c. e concerne il diritto al maggior danno da rivalutazione del credito del subappaltatore, riconosciuto integralmente sull’importo dell’obbligazione pecuniaria dedotta in giudizio. La sentenza impugnata ha ritenuto superflua la prova del maggior danno in misura pari a tutta la svalutazione monetaria verificatasi medio, condannando Cesi al pagamento degli interessi legali e dell’importo pari alla rivalutazione monetaria. In tal modo ha contraddetto gli insegnamenti della giurisprudenza relativa alle norme oggetto di censura, già al tempo affermatasi e che è ora precisata e puntualizzata da Cass. SU n. 19499/08. A mente di quest’ultima: “nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale”. A questo principio dovrà in proposito attenersi il giudice del rinvio, che liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta primo e secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo nei limiti di cui in motivazione; accoglie quarto e quinto motivo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Campobasso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

 

 

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