Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12609 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. II, 12/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24966/2019 proposto da:

O.E., rappresentato e difeso dall’Avvocato ROBERTO

RICCIARDI, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 322/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO,

depositata il 24/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 7/1/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che O.E., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

O.E., con ricorso notificato il 27/6/2019, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo che ha articolato, il ricorrente ha lamentato la violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ed, in subordine, umanitaria, non avendo la corte d’appello, pur a fronte delle allegazioni del ricorrente, considerato le condizioni di grave instabilità sociale e politica esistenti in Nigeria ed, in particolare, nel Delta State.

1.2. La corte d’appello, infatti, ha osservato il ricorrente, con motivazione frammentaria ed apparente e limitandosi ad una sterile ripetizione dei motivi di diniego già espressi dalla commissione territoriale e dal tribunale, ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per la protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), senza, tuttavia, accertare, facendo uso dei propri poteri istruttori officiosi, la dedotta sussistenza, in Nigeria, di una situazione di instabilità sociopolitica e di violenza indiscriminata, con particolare riguardo alla situazione del Delta State.

1.3. Del resto, ha aggiunto il ricorrente, dalle notizie diffuse su diversi siti internet nonchè dal rapporto EASO, oltre che da numerosi provvedimenti della giurisprudenza di merito, emerge che, attualmente, in conseguenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, che coinvolge l’intero territorio del Paese, ciascun cittadino nigeriano rischia di essere vittima di attentati.

1.4. La corte d’appello, infine, ha concluso il ricorrente, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria omettendo, tuttavia, qualsivoglia valutazione in ordine al livello di integrazione raggiunto dal richiedente in comparazione con la manifesta vulnerabilità nella quale lo stesso viveva nel proprio Paese di origine. Il richiedente, infatti, è in Italia da circa quattro anni e, per la sua giovane età, ha sviluppato un alto livello di integrazione e di senso civico all’interno del territorio italiano.

2.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui è articolato.

Intanto, dev’essere rilevato come il ricorrente abbia insistito, almeno in via principale, per il riconoscimento soltanto della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): ed è noto che, in tema di protezione internazionale, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili (come la corte d’appello ha accertato (v. la sentenza, p. 6) non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), del medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286 del 2020).

2.2. Ciò premesso (ed escluso, quindi, ogni rilievo impeditivo alla carenza di veridicità delle dichiarazione rese dallo stesso che la corte d’appello ha accertato), rileva la Corte che il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), presuppone, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), che, in conseguenza degli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione di provenienza, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

2.3. La decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti. La corte d’appello, infatti, indicando le fonti internazionali consultate e le informazioni ivi raccolte (l’utilizzabilità, la pertinenza e l’attualità delle quali non sono state in alcun modo contestate dal ricorrente), ha ritenuto, in sostanza, che, in Nigeria ed, in particolare, nel territorio del Delta State, i conflitti ivi riscontrati non abbiano determinato una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità (v. la sentenza impugnata, p. 7 -12).

Peraltro, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito (e non, di certo, alle decisioni giudiziarie sul punto favorevoli, come ha fatto il ricorrente), in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019).

2.4. Quanto, infine, alla protezione umanitaria, si tratta, com’è noto, di una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017).

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

2.5. Nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando l’insussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente.

Si tratta di un apprezzamento in fatto che, come detto, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato come dedotte nel giudizio di merito.

2.6. D’altra parte, ed escluso ogni rilievo alle persecuzioni asseritamente subite in Nigeria a fronte dell’inattendibilità della relativa narrazione da parte del richiedente (incontestatamente accertata dal giudice di merito e, quindi, ormai definitiva), rileva la Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, a sua volta, non può derivare dallo svolgimento in quest’ultimo di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020) e, tanto meno, come accertato nel caso in esame, dalla partecipazione ad un progetto formativo di tirocinio, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con l’atto contenente la domanda di protezione umanitaria.

3. Il motivo articolato in ricorso si rivela, quindi, del tutto infondato. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al ministero dell’interno le spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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