Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12609 del 05/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12609 Anno 2014
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: DE CHIARA CARLO

ORDINANZA
sul ricorso 4284-2013 proposto da:
MAPTNNIK NATASHA MPTNSH70M56Z134P, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio
dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, rappresentata e difesa
dall’avvocato FERRARA SILVIO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585,
QUESTURA DI ROMA;
– Intimati é.

avverso il decreto R.G. 81835/2012de1 GIUDICE DI PACE di
ROMA, depositato il 30/11/2012;

Data pubblicazione: 05/06/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA.
PREMESSO
Il Giudice di pace di Roma ha convalidato il decreto con cui il
Questore di Avellino aveva disposto il trattenimento della sig.ra

espulsione ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Alle difese
dell’interessata, che eccepiva l’infondatezza dei motivi di pericolosità
sociale posti a base del decreto di espulsione e la mancata graduazione
della misura coercitiva applicata, il giudice ha risposto che l’interessata
«non è in possesso di alcun documento identificativo, inoltre le
eccezioni sollevate non sono in grado di superare la validità e la
legittimità del provvedimento del questore».
La sig.ra Maptnnik ha proposto ricorso per cassazione con tre
motivi di censura, cui l’amministrazione intimata non ha resistito.
Con relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. il consigliere relatore
ha proposto il rigetto del ricorso. La relazione è stata notificata
all’avvocato delle ricorrente e comunicata al P.M.
L’avvocato della ricorrente ha presentato memoria.
CONSIDERATO
1. — Con il primo motivo di ricorso si deduce che il
trattenimento, disposto in esecuzione di espulsione intimata alla
ricorrente perché ritenuta persona socialmente pericolosa ai sensi
dell’art. 1 1. 27 dicembre 1956, n. 1423 (come modif. dall’art. 2 1. 3
agosto 1988, n. 327) e giustificato con il pericolo di fuga, viola i
principi di gradualità e di proporzionalità delle misure esecutive
dell’espulsione dello straniero previsti dalla direttiva 2008/115/CE del
16 dicembre 2008.
2. — Con il secondo motivo, subordinato al primo, si chiede
Ric. 2013 n. 04284 sez. M1 – ud. 18-02-2014
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Natasha Maptnnik, cittadina ucraina, in un centro di identificazione ed

sollevarsi questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia europea
per verificare la compatibilità, con la direttiva predetta, della normativa
nazionale nella parte in cui prevede la sola misura del trattenimento,
senza alcuna graduazione, per i soggetti espulsi che siano presunti
socialmente pericolosi ai sensi dell’art. 13, comma 2 lett. c), dIgs. n.

3. — Con tali motivi, tra loro connessi e dunque da esaminare
congiuntamente, la ricorrente lamenta, in definitiva, che la misura del
trattenimento sia stata nei suoi confronti applicata automaticamente,
sulla base della sola considerazione del titolo dell’espulsione e senza
valutare la possibilità dell’applicazione di misure meno coercitive.
La complessiva censura, però è inammissibile per due ragioni.
Anzitutto essa non si confronta con la ratio effettiva della
decisione impugnata, nella quale non si fa alcun riferimento alla
ragione dell’espulsione indicata dalla ricorrente, ossia alla sua
pericolosità, e il trattenimento non viene giustificato per tale ragione,
bensì per il fatto che l’interessata non era in possesso di alcun
documento identificativo.
Inoltre dallo stesso testo del decreto del Questore riportato nel
ricorso risulta che il trattenimento era stato disposto «non essendo
possibile applicare altre misure meno coercitive e sussistendo un
concreto rischio di fuga» per una serie di ragioni, tra le quali la
mancanza di un documento valido per l’espatrio, il disinteresse
manifestato a fare rientro nel paese d’origine, la mancanza di mezzi
finanziari provenienti da fonti lecite, di un alloggio stabile ove essere
rintracciata senza difficoltà, di un lavoro regolare, oltre che dalla
ritenuta pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico. La censura
della ricorrente, pertanto, non si attaglia alla fattispecie concreta,
risultando dalla stessa narrativa del suo ricorso che in realtà una
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286 del 1998.

valutazione in concreto della impossibilità di applicare misure meno
coercitive era stata effettuata dal questore.
4. — Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 5, 6 e
13 della Convezione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali perché, nell’ordinamento interno come

giudice della convalida del trattenimento è meramente formale,
essendo limitato al solo decreto di trattenimento e non comprendendo
la legittimità del provvedimento di espulsione presupposto, del quale
va verificata la sola esistenza ed efficacia.
5. — Neanche tale motivo può essere accolto.
L’art. 5 CEDU consente, al par. 1, lett. f), la privazione della
libertà personale «se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di
una persona (…) contro la quale è in corso un procedimento
d’espulsione». La pendenza di un procedimento espulsivo giustifica
dunque la detenzione dell’interessato purché quest’ultima sia
“regolare”. Il significato del riferimento alla “regolarità” della
detenzione va accertato, trattandosi dell’interpretazione di una
disposizione della Convenzione, anzitutto sulla scorta della
giurisprudenza del giudice appositamente creato dalla Convenzione
stessa, la Corte europea dei diritti dell’uomo (sul carattere vincolante
dell’interpretazione delle norme della Convenzione fornita dalla Corte
europea cfr., per tutte, Corte cost. 349/2007).
Secondo tale giurisprudenza, l’art. 5,

5 1, cit., rinvia

essenzialmente alla legislazione nazionale, sancendo l’obbligo di
osservarne le norme sia procedurali che sostanziali, e tuttavia lo stesso
successivo annullamento del titolo su cui è basata non comporta
necessariamente l’irregolarità della detenzione per il periodo anteriore
all’annullamento, occorrendo piuttosto distinguere tra titoli
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interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, il sindacato del

manifestamente non validi e titoli prima facie validi ed efficaci fino al
momento in cui vengono annullati da un altro giudice interno.
Questo è quanto risulta, in particolare, da due precedenti della
Corte europea dei diritti dell’uomo — le sentenze 8 febbraio 2011, ric n.
12921/04, Seferovic c. Italia, e 10 dicembre 2009, ric. n. 3449/05,

italiano e riguardanti fattispecie di detenzione in un centro di
permanenza temporanea di stranieri raggiunti da provvedimenti di
espulsione annullati dal giudice dopo che erano stati convalidati i
connessi provvedimenti di trattenimento.
Si pone pertanto la questione della compatibilità tra l’art. 5,

5

1,

lett. f), CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, a mente
del quale non è regolare la detenzione dell’espulso allorché l’espulsione
sia manifestamente illegittima secondo il diritto interno, e l’art. 14 digs.
n. 286 del 1998, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza
interna (cfr., fra le altre, Cass. 27331/2013, 24166/2010, 17575/2010,
20928/2009, 5715/2008) nella parte in cui, non consentendo al giudice
della convalida alcun sindacato — se non quello di esistenza ed efficacia
— sul decreto di espulsione, gli impedisce anche di rilevarne
l’illegittimità nei casi in cui sia manifesta, e dunque di far valere
l’irregolarità del trattenimento dello straniero espulso, con conseguente
lesione del diritto di quest’ultimo a un ricorso effettivo ai sensi dell’art.
13 della medesima Convenzione. Il che si traduce nella questione di
legittimità costituzionale del richiamato art. 14 d.lgs. n. 286 del 1998
per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. per effetto della
violazione della norma convenzionale interposta; questione da
rimettere al giudice delle leggi salva la possibilità di far luogo ad una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma interna (cfr.
Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007).
Ric. 2013 n. 04284 sez. M1 – ud. 18-02-2014

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Hokic e Hrustic c. Italia — aventi specifico riferimento all’ordinamento

Detta possibilità certamente sussiste per la questione in esame.
Posto, infatti, che l’art. 14 d.lgs. a 286 del 1998 — interpretato nel
senso della totale esclusione del potere del giudice, nel procedimento
di convalida del trattenimento, di sindacare la legittimità del decreto di
espulsione presupposto — contrasta all’evidenza con il combinato

Corte europea — e 13 CEDU, che imporrebbe invece l’esercizio del
detto sindacato da parte del giudice adito allorché l’illegittimità del
decreto di espulsione sia manifesta, va osservato che tuttavia tale
contrasto può essere superato attraverso una interpretazione
“convenzionalmente” — e dunque costituzionalmente — orientata della
norma interna. La lettera del richiamato art. 14, infatti, non è di
ostacolo a un’ interpretazione che riconosca al giudice della convalida il
potere di rilevare incidentalmente la manifesta illegittimità del
provvedimento di espulsione.
Va pertanto affermato, precisando il consolidato orientamento
della giurisprudenza di questa Corte, che, in sede di convalida del
decreto del questore di trattenimento dello straniero raggiunto da
provvedimento di espulsione, il giudice è investito del potere di
rilevare incidentalmente, ai fini della decisione di sua competenza, la
manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione. Il medesimo
principio vale ovviamente anche quanto alla disciplina — in tutto
analoga sotto il profilo che qui rileva — della convalida
dell’accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’art. 13, comma 5 bis,
digs. n. 286 del 1998.
Che cosa poi debba intendersi, in concreto, per “manifesta”
illegittimità è questione da risolvere, ancora una volta, in base alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Ric. 2013 n. 04284 sez. M1 – ud. 18-02-2014
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disposto degli artt. 5, § 1, lett. f) — interpretato nel senso indicato dalla

A tal riguardo può osservarsi che sia la sentenza Seferovic che la
sentenza Hokic e Hrustic, sopra richiamate, menzionano anzitutto
quale esempio di manifesta illegittimità, il fatto che l’autorità abbia
provveduto al di fuori della sua sfera di competenza. La prima di esse
argomenta poi la sussistenza, nella fattispecie considerata, della

5

1, CEDU in base al fatto che, ai sensi dell’art.

19 d.lgs. n. 286 del 1998, la ricorrente non poteva essere espulsa
perché aveva partorito da meno di sei mesi e le autorità erano a
conoscenza di tale fatto, e tutto ciò «si traduce in una irregolarità grave e
manifesta ai sensi della sua [ossia della stessa Corte europea: n.d.r.]
giurisprudenza», richiamando espressamente, a contrario, la sentenza
Hokic e Hrustic, cit. In quest’ultima si era invece esclusa la violazione
dell’art. 5, § 1, CEDU perché il decreto di espulsione era stato, sì,
annullato successivamente dal giudice di pace italiano, ma solo in
quanto basato su un motivo diverso da quello in effetti sussistente (il
provvedimento faceva riferimento all’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art.
13, primo comma, d.lgs. n. 286 del 1998, mentre ricorreva in realtà
l’ipotesi di cui alla lett. b)). Sia l’una che l’altra sentenza attribuiscono,
inoltre, carattere dirimente alla buona o cattiva fede delle autorità che
avevano disposto l’espulsione e la conseguente detenzione della
persona espulsa: la prima sentenza enunciando il principio che (per non
essere tacciata di arbitrio, Pap_plicazione di tale misura di detenzione deve dunque
essere fatta in buonafede» (e in connessione con tale affermazione va letto,
evidentemente, il successivo rilievo che le autorità sapevano del
recente parto della ricorrente); la seconda sentenza ribadendo in
premessa generale, come la prima, il medesimo principio, e osservando
alla fine, con riguardo alla fattispecie: «La Corte non ritiene che le autorità
abbiano agito in malafede o che non si siano impegnate ad applicare correttamente
la legislazione pertinente … Chiaramente, un malinteso ha indotto le autorità
Ric. 2013 n. 04284 sez. MI – ud. 18-02-2014
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violazione dell’art. 5,

interne a temere che i ricorrenti avessero sempre avuto una situazione irregolare»; in
continuità, del resto, con altri precedenti della medesima Corte, pure
richiamati (in termini, 6 dicembre 2007, ric. n. 42086/05, Liu e Liu c.
Russia).
Fatte queste premesse in diritto, deve concludersi che la censura

per quanto sin qui osservato, che la CEDU imponga all’ordinamento
interno di consentire al giudice della convalida un sindacato non già su
tutte le ipotesi di illegittimità del decreto di espulsione, bensì solo su
quelle di illegittimità “manifesta”, da individuare in base alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, era onere — non osservato —
della ricorrente allegare la sussistenza di una ipotesi siffatta.
6. — In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
In mancanza di attività difensiva della parte intimata non
occorre provvedere sulle spese processuali.
Poiché dagli atti il processo risulta esente dal contributo
unificato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17,1. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 18 febbraio e
del 14 aprile 2014

articolata dalla ricorrente è inammissibile. Infatti, poiché deve ritenersi,

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