Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12608 del 17/06/2016

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 17/06/2016), n.12608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1652-2011 proposto da:

T.G., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dagli Avvocati VINCENZO GERMINARA, ANNA

NAPOLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati MAURO

RICCI, ANTONELLA PATTERI, CLEMENTINA PULLI, GIUSEPPINA GIANNICO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1122/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/09/2010 R.G.N. 491/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO per delega verbale Avvocato

GIANNICO GIUSEPPINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 21 settembre 2010, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Pistoia, ha rigettato la domanda proposta da T.G., avente ad oggetto la condanna dell’Inps al pagamento in suo favore all’assegno mensile di assistenza a far tempo dalla domanda amministrativa.

2. La Corte ha infatti ritenuto che, pur in presenza del requisito sanitario prescritto per legge e accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio di primo grado nel 75% di invalidità a decorrere dal 7 luglio 2007, nonchè del requisito reddituale (rispetto al quale il relativo motivo di doglianza dell’Inps era generico e quindi inammissibile), mancava la prova del incollocazione al lavoro prevista dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 e successive modificazioni. Al riguardo, ha ritenuto che la T. avrebbe dovuto provare, attraverso il certificato di iscrizione nelle liste di collocamento il cosiddetto requisito della incollocazione al lavoro.

Tale certificato non era stato prodotto in giudizio e ciò era desumibile dalla contumacia della appellata nel giudizio di appello e dal mancato deposito del suo fascicolo di parte, in cui avrebbe dovuto essere inserito il certificato; inoltre dall’elenco dei documenti prodotti redatto in calce al ricorso di primo grado non risultava la certificazione dell’iscrizione nelle liste di collocamento e neppure la relativa richiesta, nè ad essi si faceva riferimento nella sentenza impugnata. Infine, in ragione dell’accertata sussistenza dei requisiti sanitari e di reddito, ha compensato delle spese del giudizio.

3. Contro la sentenza, la T. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, cui ha resistito con controricorso l’INPS. All’udienza del 10 febbraio 2016 la corte ha rinviato a causa a nuovo ruolo per acquisire il fascicolo dì primo grado. Fissata nuovamente l’udienza di discussione, la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il motivo di ricorso è costituito dall’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: la ricorrente assume infatti di aver prodotto all’udienza di discussione del 25 gennaio 2008, tenutasi dinanzi al giudice di primo grado, il certificato di iscrizione nelle liste di collocamento ex L. n. 68 del 1999, dal quale risultava la sua iscrizione a far tempo dal 14/11/2005, al numero d’ordine 2293 nell’elenco degli invalidi civili ai sensi dell’art. 8 legge cit.

Aggiunge che a quell’udienza il giudice aveva emesso sentenza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., dando lettura in udienza del dispositivo e delle ragioni della decisione, e che a norma della stessa disposizione il verbale che contiene la sentenza fa parte integrante della stessa. Il giudice d’appello avrebbe pertanto dovuto considerare il documento, il cui deposito era comprovato dallo stesso verbale di udienza, da cui peraltro non emergevano contestazioni da parte della difesa dell’Inps. Il non aver considerato tale documento costituiva un vizio di travisamento della prova, denunciabile mediante ricorso per cassazione, come peraltro affermato dalla Corte d’appello di Firenze nel giudizio per revocazione da lei introdotto e conclusosi con una pronuncia di inammissibilità del gravame, sul presupposto che il vizio denunciato costituiva “uno specifico motivo di ricorso ordinario al giudice di legittimità”.

2. Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato, oltre che affetto da un deficit di autosufficienza.

Deve darsi atto che dall’esame del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, acquisito da questa Corte, risulta che all’udienza di discussione del 25 gennaio 2008 svoltasi dinanzi al Tribunale di Pistoia è comparso “l’avvocato…..il quale deposita l’iscrizione nelle liste di collocamento ex L. n. 98 del 1999 della signora T. G.”. Nessun’altra indicazione emerge dal verbale di udienza, in particolare non viene riportato il contenuto del certificato, nè si dà atto di una sua materiale acquisizione al fascicolo d’ufficio.

3. E’ poi incontestato che nel giudizio di appello la T. è rimasta contumace e, conseguentemente, in mancanza del deposito del suo fascicolo di parte, il giudice del gravame non ha potuto esaminare gli atti in esso contenuti e in particolare la sussistenza ed il contenuto della certificazione. Tale obiettiva e incontestata situazione di fatto, puntualmente rilevata dalla Corte territoriale e posta a fondamento della decisione, non è stata oggetto di censura da parte della ricorrente, la quale ha incentrato il motivo di ricorso esclusivamente sul fatto (cronologicamente precedente e come tale irrilevante) del deposito della certificazione nel corso del giudizio di primo grado, ma non anche sul fatto dell’impossibilità per il giudice di appello di verificare l’esistenza e il contenuto del documento.

4. Il conseguente giudizio della Corte fiorentina circa la mancanza di prova della iscrizione nelle liste di collocamento non è pertanto il frutto di una “svista”, ma è piuttosto il risultato della ricognizione degli atti a sua disposizione, tra i quali è indubbio che non vi fosse il certificato di iscrizione nelle liste di collocamento o la relativa richiesta e non potendo la prova di tale iscrizione (o relativa richiesta) dedursi dal mero fatto, di per sè neutro, del deposito della certificazione nel corso del giudizio di primo grado, senza che dal verbale di udienza in cui il deposito è avvenuto emergano dati certi e inequivoci circa il suo contenuto e, dunque, la sua incidenza probatoria ai fini del riconoscimento del diritto.

5. Occorre infatti ricordare che, in materia di prova documentale nel processo civile, non esiste un principio di “immanenza” della prova documentale nel processo, dovendo anche il giudice del gravame decidere la causa “iuxta alligata et probata”, procedendo ad un autonomo e diretto riesame della documentazione già vagliata dal giudice di primo grado. Deve pertanto escludersi che i documenti prodotti in primo grado da una delle parti che sia risultata vittoriosa debbano ritenersi per sempre acquisiti al processo.

Pertanto, la parte vittoriosa in primo grado che scelga di rimanere contumace in appello e non ridepositi i documenti in precedenza prodotti, va incontro alla declaratoria di soccombenza per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favorevoli (Cass., 8 gennaio 2007, n. 78).

6. Questa affermazione non si pone in contrasto con i principi ripetutamente affermati da questa Corte anche a Sezioni Unite (da ultimo, Cass., 8 febbraio 2013, n. 3033), secondo cui è onere dell’appellante fornire la dimostrazione delle proprie censure, perchè nel caso in esame il Tribunale ha accolto la domanda della T. non già in base ad una valutazione positiva della documentazione in atti (nient’affatto esaminata, come si rileva dalla sentenza d’appello qui impugnata), – sicchè in tal caso sarebbe stato onere dell’appellante produrre il documento al fine di dimostrare il fondamento della sua censura – bensì in base alla diversa affermazione di principio, per la quale non era necessaria un’iscrizione o una domanda di iscrizione in considerazione della riduzione della capacità di lavoro riconosciuta all’assistita, che non le consentiva di reperire una occupazione idonea.

7. In conclusione, è del tutto irrilevante la circostanza che la certificazione sia stata prodotta all’udienza di discussione nel giudizio di primo grado, come attestato nel relativo verbale, e che la sentenza sia stata resa ex art. 281 sexies c.p.c., di talchè il verbale è divenuto parte integrante della stessa, poichè ciò che rileva è il dato inconfutabile che il giudice del gravame non ha potuto esaminare la detta documentazione, necessaria per dimostrare la sussistenza del requisito dell’incollocazione al lavoro, quale elemento costitutivo della pretesa azionata.

8. Deve aggiungersi – e in ciò sta il profilo di inammissibilità del ricorso su rilevato – che la ricorrente pur avendo trascritto integralmente nelle ricorso per cassazione il certificato di iscrizione nelle liste di collocamento, non lo deposita, nè fornisce utili indicazioni per un suo facile reperimento nel presente giudizio. Con ciò non ha assolto i doveri imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, secondo cui quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un error in procedendo, ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239).

9. In definitiva il ricorso deve essere rigettato. In considerazione della peculiarità della vicenda, attestata anche dai diversi esiti dei giudizi di merito, si reputa di compensare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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