Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12603 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/05/2017, (ud. 07/12/2016, dep.19/05/2017),  n. 12603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26947/2015 proposto da:

R.E.M., C.P., C.R.,

C.S., tutti in proprio e quali eredi di C.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO, 40, presso lo

studio dell’avvocato GIANLUCA TAGLIONI, che li rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

RSA – SUN INSURANCE LIMITED in persona del Dr. G.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO BORGATTI, 25,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA AGOSTINELLI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

FLAMINIA TRASPORTI SNC DI D.P. E B.C. in

persona dei legali rappresentanti p.t. D.P. e

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASTELBIANCO 8,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BARILE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALBERTO PARROCCINI giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

CE.AG., LA FONDIARIA SAI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 786/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato GIANLUCA TAGLIANI;

udito l’Avvocato ALBERTO PARROCCINI;

udito l’Avvocato NICOLA GIANCASPRO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 3 febbraio 2015, ha confermato la decisione di primo grado che,in relazione ad un incidente stradale in cui ha trovato la morte C.A., alla guida di un’autovettura Wolkswagen Passat, assicurata con la Fondiaria Sai ha ritenuto la pari responsabilità di quest’ultimo e di Ce.Ag., alla guida di una autoarticolato di proprietà della Flaminia Trasporti s.n.c., assicurato con la RSA-SUN INSURANCE LIMITED; ha parzialmente modificato l’entità del risarcimento del danno in favore degli eredi di C.A. mentre ha confermato l’importo del risarcimento liquidato dal giudice di primo grado in favore della Flaminia Trasporti s.n.c..

Avverso questa decisione propongono ricorso R.E.M., Paolo, Riccardo, e C.S., tutti in proprio e quali eredi di C.A. con cinque motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso la Flaminia Trasporti s.n.c e la sua società assicuratrice,RSA-SUN INSURANCE LIMITED.

Gli altri intimati non hanno presentato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt. 140, 145 e 146 C.d.S., e degli artt. 2054 e 1175 c.c. (mancata precedenza all’autoveicolo da parte del conducente dell’autoarticolato) ex art. 360 c.p.c., n. 3, e omessa insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. Sostengono i ricorrenti che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto la pari responsabilità, applicando la presunzione di colpa ex articolo 2054 c.c., del guidatore dell’autovettura e di quello dell’autoarticolato, con motivazione palesemente contraddittoria in quanto ha ritenuto, da una parte, mero giudizio l’analisi espressa dal c.t.u. che individuava nella violazione dell’art. 145 C.d.S., la causa principale del sinistro, per poi assegnare al contrario piena efficacia probatoria all’altra ipotesi formulata dallo stesso c.t.u, con la quale si attribuiva efficacia causale determinante all’elevata velocità tenuta dall’auto condotta dal C..

I ricorrenti lamentano che la Corte non ha preso in considerazione come avrebbe dovuto la testimonianza del teste Be., assumendo apoditticamente che questi aveva la visione ostruita trovandosi dietro all’autoarticolato di grosse dimensioni e omettendo di considerare le caratteristiche dei mezzi e quelle del luogo dell’incidente.

In tal modo la Corte aveva violato sia agli artt. 141 e 145 C.d.S., sia l’art. 2054 c.c., in quanto la presunzione di colpa ivi prevista opera solo in caso in cui non è possibile in concreto accertare il grado delle colpe.

2. Con il secondo motivo si denunzia violazione falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 141 e 145 C.d.S., e agli artt. 2054 e 1175 c.c. (violazione dei criteri dettati in tema di formazione della prova relativa le condotte di guida dei protagonisti) ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed omessa e contraddittoria e insufficiente motivazione ex art. 360, n. 5.

3. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono inammissibili.

Il giudice di primo grado, premesso il richiamo all’efficacia nel giudizio civile del giudicato della sentenza penale di condanna del Ce. in ordine alla sussistenza del fatto, alle modalità di realizzazione, nonchè del titolo di responsabilità dell’agente nella determinazione dell’evento lesivo, ha ravvisato anche un concorso di colpa del C. nella causazione del sinistro, per avere egli tenuto un’elevata velocità 90 kmh, in luogo del limite previsto di 50 kmh, tale da fargli avvistare tardivamente il veicolo antagonista, alla stregua dell’accertamento condotto dall’ausiliare nominato dal gip in sede penale e delle conclusioni da questo formulate nella relazione peritale, con riguardo ai rilievi sui veicoli, alla rispettiva posizione, alle deformazioni subite in esito all’urto, ai rilievi sull’asfalto specificatamente caratterizzati dalla mancanza di tracce di frenata e scarrocciamento della Passat.

4. La Corte d’appello,nella sentenza qui impugnata, ha ritenuto che a fronte di tale motivato apprezzamento, gli appellanti principali non avevano posto specifiche critiche all’accertamento del c.t.u., ma si erano limitati a prospettazioni ipotetiche del tutto svincolate dalle risultanze concretamente apprezzabili, pur invocando l’efficacia dell’accertamento effettuato in sede penale.

La Corte di merito ha proseguito affermando che in sede penale era inequivocabilmente emerso tanto il comportamento colposo del Ce., per l’inosservanza del diritto di precedenza nei confronti del veicolo condotto dal C., quanto la violazione da parte di quest’ultimo del limite di velocità, valutato dal giudice penale quale contributo concorrente alla determinazione del sinistro.

Tale apprezzamento, continua il giudice di appello, è stato poi confermato dal giudice civile di primo grado, con specifica considerazione delle violazione da parte di entrambi veicoli coinvolti, nonchè sul rilievo che l’autotreno condotto dal Ce. aveva invaso l’altra carreggiata e che la velocità dell’auto condotta dal C. non era commisurata all’ora notturna,conducendo alla conseguente affermazione della concorrente responsabilità dei conducenti nella misura del 50% ciascuno in assenza di ulteriori precisi elementi per una diversa quantificazione.

5. La Corte d’appello ha affermato che non potevano condurre a diverso avviso le ulteriori argomentazioni degli appellanti, nè poteva attribuirsi valore dirimente alla deposizione del teste Be., il quale trovandosi dietro all’autoarticolato ed avendo la visuale ostruita da questo, non aveva confermato la ricostruzione proposta dagli attori, ma aveva potuto riferire unicamente di aver sentito l’urto ed la posizione assunta dal autoarticolato dopo il sinistro.

Del pari ha ritenuto infondati i motivi proposti dall’appellante incidentale, sul rilievo che questo aveva proposto una ricostruzione ipotetica del sinistro, in base al richiamo ai principi generali in ordine all’obbligo di dare la precedenza.

6. Si osserva che i ricorrenti, pur astrattamente denunziando insieme al vizio di motivazione anche vizi di violazione di legge, con il motivo di impugnazione non individuano concretamente ipotesi di erronea applicazione delle norme invocate.

I motivi si concretano in una richiesta di rivalutazione dei fatti inammissibile in sede di giudizio di legittimità, ancor più oggi nella vigenza della nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, applicabile alla sentenza impugnata in virtù della data della pubblicazione della sentenza che è stata pubblicata il 3-2-2015.

7. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 La denunzia effettuata dai ricorrenti non corrisponde al modello di vizio di motivazione oggi ammissibile in cassazione.

8. Con il terzo motivo si denunzia violazione di legge e/o falsa applicazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 codice civile, artt. 3, 32 e 111 Cost., ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa insufficiente contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5, in ordine all’entità del risarcimento del danno non patrimoniale, con conferma dell’applicazione di errati e superati criteri di quantificazione non rispondenti ai principi enunciati dalla Corte di cassazione con la sentenza Sezioni Unite 26972/2008, omettendo di applicare le tabelle del Tribunale di Roma in vigore al momento della decisione. Sostengono le ricorrenti che la corte d’appello non aveva riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale per la morte di un congiunto nella sua complessità come oggi unicamente individuato dalla giurisprudenza di legittimità comprensivo quindi del danno per la perdita del rapporto parentale.

9. Il motivo fondato.

Dalla sentenza di appello si rileva che i ricorrenti con l’atto di impugnazione hanno lamentato un’errata liquidazione del danno non patrimoniale, avendo il tribunale negato il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale, e determinato in modo arbitrario il danno morale iure proprio, ingiustamente ridotto del 30% per la presenza di altri congiunti conviventi.

10. La Corte d’appello ha affermato, in relazione al danno da perdita del rapporto parentale, che questo comporta una lesione dell’interesse al mantenimento degli affetti familiari in un’ottica comprensiva di tutti pregiudizi non patrimoniali derivanti dal fatto illecito e va liquidato secondo criteri che tengano conto dell’irreparabilità della perdita, della comunione di vita e di affetti, della integrità della famiglia con necessaria personalizzazione, ma nel rispetto del carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art.2059 c.c. onde evitare duplicazioni risarcitorie.

La Corte di appello ha concluso che il tribunale aveva già riconosciuto alla madre ed ai fratelli del C. l’unico danno morale /parentale spettante ed ha disatteso la censura.

La Corte di merito ha accolto in parte l’impugnazione modificando la decisione di primo grado laddove il danno morale così quantificato era stato ridotto del 30% in ragione della presenza di altri familiari conviventi.

11. Si osserva che la Corte d’appello, nel liquidare il danno non patrimoniale per la perdita del congiunto,non si è attenuta ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto.

Questa Corte ritiene necessario ribadire l’unitarietà della nozione di danno non patrimoniale di cui alla nota sentenza Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972,che ha affermato che la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto – del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva – del danno non patrimoniale.

L’unitarietà non esclude certo una separata considerazione dei vari effetti del danno, ma esige che tutte le componenti siano valutate, sia pure una sola volta, in modo complessivo: da ultimo, v. Cass. 8 maggio 2015, n. 9320.

Il pregiudizio da perdita del rapporto parentale, da allegarsi e provarsi specificamente dal danneggiato ex art. 2697 c.c., rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale, distinto dal danno morale e da quello biologico, con i quali concorre a compendiarlo, e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita. Sentenza n. 16992 del 20/08/2015 In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva allora non già il “nome” assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (“biologico”, “morale”, “esistenziale”), ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice.

E’ invero compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate, e provvedendo alla relativa integrale riparazione (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Analogamente deve dirsi allorquando la liquidazione del danno morale sia stata espressamente estesa anche ai profili relazionali nei termini propri del danno esistenziale (cfr. Cass., 15/4/2010, n. 9040; Cass., 16/9/2008, n. 23275). Laddove siffatti aspetti relazionali non siano stati invece presi in considerazione (del tutto ovvero secondo i profili peculiarmente connotanti il cd. danno esistenziale), dal relativo ristoro non può invero prescindersi cfr. Cass., 17 settembre 2010, n. 19816 .

12. La Corte di appello, nel riconoscere il solo danno “morale”, al di là ed indipendentemente dalla denominazione usata, non risulta aver tenuto conto dei profili del cosiddetto danno da perdita del rapporto parentale, di cui pure ha evidenziato gli aspetti propri nell’esordio della motivazione sul punto, del cui risarcimento non può prescindersi per giungere all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale.

Chiaramente il metodo di liquidazione di tale danno spetterà al giudice del rinvio.

13.Con il quarto motivo si denunzia violazione degli articoli 1223,1226 2043, 2056, 2697, 2727 e 2729 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa insufficiente contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5, nel capo in cui la sentenza impugnata ha respinto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali.

Sostengono i ricorrenti che erroneamente la corte di merito ha liquidato in misura ridotta il danno patrimoniale spettante alla madre per la perdita del contributo economico fornita dal figlio deceduto ed ha escluso completamente i fratelli dal diritto a tale tipo di risarcimento.

14. Il Motivo è infondato.

Sul punto la Corte d’appello ha affermato che vi era stata una mera prospettazione di voci di danno non meglio specificate derivanti dal venir meno del contributo economico del de cuius alla famiglia, la cui genericità ne precludeva qualsiasi delibazione.

I ricorrenti non censurano adeguatamente l’affermazione della genericità dell’impugnazione sul punto, non indicano neanche come è stata impugnata con l’atto di appello la statuizione del giudice di primo grado che aveva riconosciuto il danno patrimoniale solamente alla madre.

Il dedotto vizio di motivazione è inammissibile perchè non formulato secondo il modello di vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione.

15. Con il quinto motivo si denunzia violazione falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1226, 1284 e 2056 c.c., art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel capo in cui la sentenza impugnata non ha provveduto in merito agli interessi ed alla rivalutazione monetaria delle somme liquidate.

16. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.

La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche alle spese del presente procedimento.

PQM

 

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso,assorbito il quinto; rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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