Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12602 del 17/06/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2016, (ud. 05/04/2016, dep. 17/06/2016), n.12602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19635/2011 proposto da:

D.I., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato

GIAMPIERO PROIA, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati MAURIZIO PANIZ e FRANCO STIVANELLO GUSSONI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ALESSANDRO RICCIO, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN ed

ANTONELLA PATTERI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 48/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/04/2011, R.G. N. 968/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato MATTEO SILVESTRI per delega GIAMPIERO PROIA;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso depositato in data 11.3.2009 al Tribunale di Belluno D.I. agiva nei confronti dell’INPS chiedendo al giudice del Lavoro di:

– Accertare il proprio diritto alla applicazione del beneficio previdenziale di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8;

– Condannare l’ente previdenziale ad effettuare i relativi accrediti.

L’INPS, costituendosi, eccepiva il difetto di interesse ad agire del ricorrente; rilevava che la fattispecie di causa era disciplinata del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, sicchè la rivalutazione dei contributi (con il coefficiente di 1,25, in luogo per moltiplicatore di 1,5 previsto dalla previgente L. n. 257 del 1992) avrebbe agito soltanto sulla misura della pensione e non sul conseguimento del diritto alla pensione; il D. non avendo maturato il diritto alla pensione non era portatore di alcun interesse alla verifica del quantum del trattamento pensionistico.

Il Giudice del Lavoro invitava le parti a discutere sulla questione preliminare sollevata dall’INPS; all’esito emetteva sentenza non definitiva del 19.11.2009 (nr. 178/2009) con la quale:

– Rigettava la eccezione di inammissibilità quanto alla domanda di accertamento;

– Accoglieva la eccezione di carenza di interesse ad agire quanto alla domanda di condanna.

Il giudicante evidenziava che nella fattispecie di causa trovava applicazione il D.L. n. 269 del 2003, art. 47, dalla cui disciplina derivava la carenza di interesse del ricorrente rispetto alla domanda di condanna, fermo restando tuttavia l’interesse quanto alla domanda di mero accertamento; respingeva l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal D. e disponeva procedersi alla istruzione della causa.

Entrambe le parti proponevano appello avverso la sentenza non definitiva:

– l’INPS relativamente al rigetto della eccezione sulla domanda di accertamento;

– il D. in ordine all’accoglimento della eccezione sulla domanda di condanna ed al rigetto della eccezione di incostituzionalità.

La Corte di Appello di Venezia, riuniti gli appelli (recanti nn. 60/2010 e 968/2010), emetteva sentenza del 25.1-4.4.2011 (nr.

48/2011) con la quale rigettava entrambi gli appelli.

Quanto all’appello dell’INPS, la Corte di merito rilevava che il riconoscimento dei benefici contributivi produceva un effetto immediato sulla posizione assicurativa del lavoratore e che sussisteva un diritto soggettivo perfetto del lavoratore alla conoscenza del proprio rapporto assicurativo il quale trova a riconoscimento nella L. n. 88 del 1989, art. 54, recante un obbligo dell’INPS a dare contezza all’assicurato circa la consistenza del credito contributivo via via maturato. La norma del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, non escludeva il diritto del lavoratore a conoscere la propria posizione contributiva, rispetto al quale l’interesse ad agire in giudizio sussisteva in tutti i casi di obiettiva incertezza, nella specie ravvisabile, stante la contestazione dell’INPS. Quanto all’appello del D., la Corte territoriale evidenziava che era effettivamente applicabile la nuova disciplina di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 47, non sussistendo le condizioni per la perdurante applicazione della L. n. 257 del 1992, ovvero la proposizione di domanda all’INAIL entro la data del 2.10.2003 o l’emissione entro la stessa data di sentenza favorevole con cui venisse accertata la esposizione ad amianto.

Rigettava la questione di costituzionalità sollevata in relazione alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, nella parte in cui la norma sottoponeva il riconoscimento del beneficio contributivo al superamento della soglia di esposizione stabilita dal D.Lgs. n. 277 del 1991.

Per la Cassazione della sentenza ricorre D.I., articolando quattro motivi.

Resiste con controricorso l’INPS. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

1.Con il primo motivo il ricorrente denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo investe il rigetto dell’ appello del D. teso a sostenere la applicabilità nella fattispecie di causa della L. n. 257 del 1992, art. 13, in luogo del D.L. n. 269 del 2003, art. 47.

Il ricorrente lamenta che la Corte di merito si sia limitata a sottolineare il dato – non controverso – della presentazione della domanda all’INAIL dopo il 2 ottobre 2003 senza esaminare il fatto, controverso e decisivo, della diversità dell’ambito di applicazione – sotto il profilo soggettivo e temporale – della L. n. 257 del 1992, art. 13, rispetto al D.L. n. 269 del 2003, art. 47.

Sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione viene censurata la mancata considerazione del fatto che il D.L. n. 269 del 2003, art. 47, sia stato convertito in legge soltanto dopo la scadenza del termine del 2.10.2003 (in data 24.11.2003), considerato dalla Corte di merito come ultima data utile di presentazione della domanda ai fini della applicabilità del previgente regime.

Il motivo è inammissibile.

Il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti storici rilevanti alla decisione e non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, atteso che, in relazione a una questione la cui soluzione dipende esclusivamente dall’interpretazione di atti normativi, la cognizione del giudice di legittimità investe direttamente le disposizioni, senza il “filtro” rappresentato dalla motivazione della sentenza impugnata.

In tali termini l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” laddove il testo previgente riferiva il medesimo vizio ad un “punto decisivo della controversia”.

Il termine “fatto” non può considerarsi equivalente a “questione” o “argomentazione”, dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-

naturalistico, non assimilabile a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate al riguardo (Cfr. Cassazione civile, sez. trib., 08/10/2014, n. 21152).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione, falsa e omessa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, D.L. n. 269 del 2003, art. 47, L. n. 350 del 2003, art. 3, nonchè del D.M. 27 ottobre 2004 (art. 1, comma 2 e art. 3, comma 9) e della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 20.

Assume che dalla lettura coordinata delle norme citate si evince che i regimi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, hanno ambiti di applicazione distinti e che in particolare:

– La disciplina della L. n. 257 del 1992, si applica ai lavoratori esposti all’amianto prima del 2.10.2003 per periodi lavorativi soggetti alla assicurazione obbligatoria dell’INAIL, ancorchè la relativa domanda sia stata presentata dopo il 2.10.2003 (purchè entro il 15 giugno 2005).

-La disciplina del D.L. n. 269 del 2003, si applica ai lavoratori non soggetti alla assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL. Deduce che una diversa interpretazione, che differenziasse la disciplina applicabile ai lavoratori egualmente esposti ad amianto in epoca anteriore al 2.10.2003 e soggetti ad assicurazione INAIL unicamente in ragione della data di presentazione della domanda amministrativa, si esporterebbe a dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’art. 3 Cost..

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, D.L. n. 269 del 2003, art. 47, L. n. 350 del 2003, art. 3, nonchè del D.M. 27 ottobre 2004 (art. 1, comma 2 e art. 3, comma 9) e della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 20.

Denunzia la illegittimità costituzionale – sotto il profilo degli artt. 3 e Cost. – di una interpretazione delle norme evocate che differenziasse la disciplina applicabile ai lavoratori egualmente esposti all’ amianto sino alla data del 2 ottobre 2003 per periodi soggetti alla assicurazione INAIL soltanto in ragione della data di presentazione della domanda amministrativa (se anteriore o successiva al 2.10.2003). Rileva che nel vigore della precedente disciplina nessuna norma prevedeva come obbligatoria la presentazione della domanda amministrativa e che il D.L. n. 269 del 2003, art. 47, veniva introdotto in data 30.9.20003 sicchè il termine per presentare la domanda onde godere del precedente regime sarebbe stato di soli due giorni.

Peraltro per i lavoratori operanti in aziende interessate da atti di indirizzo ministeriale il legislatore del 2007 (L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 20) prevedeva la applicazione dei benefici di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, anche nel caso di domande presentate dopo il 2.10.2003 (ed entro il 15.6.2005).

Il secondo ed il terzo motivo, in quanto connessi, devono essere esaminati congiuntamente.

Essi attengono alla questione di diritto intertemporale della applicabilità della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, in epoca successiva alla previsione, con il D.L. n. 269 del 2003, art. 47, di un diverso e meno favorevole regime previdenziale.

La interpretazione proposta dalla parte ricorrente vorrebbe far salva l’applicazione della disciplina previgente per tutti coloro che al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, fossero in possesso dei requisiti a cui era condizionato il riconoscimento del beneficio previdenziale ex lege n. 257 del 1992, indipendentemente dal fatto che avessero maturato il diritto alla pensione.

Sul punto questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. nr 9096/2014; Cass. nr. 8649/2012; Cass. n. 15679/2006, Cass. n. 15008/2005, Cass. n. 21862/2004, Cass. n. 21257/2004 si è già ripetutamente pronunziata nel senso che “in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, la L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, comma 1 (convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento all’Inail od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che:

a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione;

b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva”.

Le questioni sollevate sono state già risolte nelle richiamate pronunzie, cui in questa sede va data continuità, che hanno chiarito l’interpretazione da darsi alla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 ed al D.M. 27 ottobre 2004, art. 1, comma 2 (di attuazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 47) laddove sanciscono l’applicabilità della previgente disciplina – (utilizzo del coefficiente moltiplicatore 1,5 tanto ai fini tanto dell’accesso a pensione quanto a ai fini della relativa liquidazione) – nei confronti di coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avevano maturato;

“il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8”.

Tale locuzione deve intendersi come del tutto equivalente alla espressione lessicale già impiegata dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 6 bis, che prevede la salvezza delle precedenti disposizioni per i lavoratori che avessero già maturato, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge;

“il diritto al trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8”.

Deve ritenersi, cioè, la sinonimia tra le due locuzioni “diritto al trattamento pensionistico” e “diritto al conseguimento dei benefici previdenziali”, rispettivamente impiegate dal D.L. n. 269 del 2003 (art. 47) e dalla L. n. 350 del 2003 (art. 3, comma 132).

Si rileva sotto il profilo letterale che se il legislatore avesse inteso garantire l’applicabilità delle previgenti disposizioni alla mera ricorrenza della esposizione ultradecennale ad amianto ex lege n. 257 del 1992 alla data del 2.10.2003 sarebbe stata del tutto superflua la ulteriore previsione della salvezza della previgente disciplina in favore di “coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data (del 2 ottobre 2003)”, categorie a fortiori rientranti nella generale salvezza delle previgenti disposizioni disposta dalla norma, ove in tali sensi interpretata.

Inoltre dalla interpretazione proposta dal ricorrente deriverebbe la sostanziale inapplicabilità del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 1, ai lavoratori adibiti ad attività assoggettate all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali dell’Inail, in palese contrasto con il carattere generale di tale disposizione, che non distingue affatto tra lavoratori addetti o non addetti ad attività assoggettate alla suddetta assicurazione obbligatoria.

Resta invece priva di rilevanza la disposizione di cui alla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 20, che si limita a introdurre una deroga alla disciplina generale per i lavoratori che abbiano prestato la propria attività nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, situazione soggettiva che non ricorre nel caso di specie.

Nient’affatto decisivo risulta poi quanto disposto dal D.M. 27 ottobre 2004, art. 1, comma 2; tale decreto, atto di normazione secondaria, pur se emanato in attuazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, ha recepito, senza nulla aggiungere, la locuzione di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 (“diritto al conseguimento dei benefici evidenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 e successive modificazioni”), cosicchè la soluzione della questione all’esame riposa unicamente sull’individuazione della portata effettiva della normazione primaria.

Quanto ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati in relazione alla normativa così interpretata, si rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 376 del 2008, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto della L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132 e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, censurati in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui escludono dall’applicazione della disciplina di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, coloro che prima del 2 ottobre 2003 non avessero presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei benefici previsti dall’art. 13, comma 8, suddetto.

Il giudice delle leggi ha osservato che non si può condividere l’assunto secondo cui il fatto di aver subordinato l’attribuzione dell’originario regime, più favorevole, alla presentazione di una domanda amministrativa, effettuata in un periodo in cui essa non era obbligatoriamente prevista, costituisca la retroattiva – e quindi irragionevole – imposizione di un onere. Il legislatore ha, infatti, dettato la disciplina transitoria inerente al passaggio da un regime ad un altro e, considerando che ciò comportava un trattamento meno favorevole, ha voluto far salve alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela, introducendo disposizioni derogatorie, tra le quali quella relativa a chi avesse precedentemente presentato domanda amministrativa per ottenere il beneficio: “va riconosciuta al legislatore ampia discrezionalità, salvo il limite della palese irragionevolezza, nella fissazione delle norme di carattere transitorio dettate per agevolare il passaggio da un regime ad un altro, tanto più ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio comportante scelte connesse all’individuazione delle categorie dei beneficiari delle prestazioni di carattere previdenziale”.

4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, riproponendo in questa sede la questione di legittimità costituzionale della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 – sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 24 e 38 Cost., ove interpretato nel senso di richiedere una soglia minima di esposizione all’amianto ai fini del riconoscimento della rivalutazione contributiva.

Il motivo è inammissibile per difetto di decisività.

Invero la Corte territoriale, pur esaminando e ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale in questa sede riproposta, ha ritenuto applicabile nella fattispecie di causa il nuovo regime di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 47.

Il ricorrente non ha dunque interesse ad una pronunzia interpretativa di una norma (L. n. 257 del 1992, art. 13) non applicabile alla controversia.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA