Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12601 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22261-2018 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 28, presso lo studio dell’avvocato CIMEI PAOLA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI

CLEMENTINA, MASSA MANUELA, CAPANNOLO EMANUELA, VALENTE NICOLA;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA

Fatto

RILEVATO

Che:

Il tribunale di Roma in sede di procedimento ex art. 445-bis c.p.c., aveva omologato l’assenza del requisito sanitario riferito a G.L. ed aveva condannato quest’ultimo al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 1.200,00 in favore dell’Inps. Avverso tale ultimo capo della statuizione in punto di spese proponeva ricorso il Garonna affidandolo a tre motivi.

L’Inps rimaneva intimato.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1) Con il primo motivo è dedotta la errata interpretazione ed applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, per aver, il tribunale, erroneamente condannato parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Inps pur se quest’ultimo era difeso da propri funzionari.

Il motivo è infondato. Questa Corte ha sul punto chiarito che “L’art. 152 bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 42, nella parte in cui prevede la liquidazione delle spese processuali a favore delle pubbliche amministrazioni assistite in giudizio da propri dipendenti, in misura pari al compenso spettante agli avvocati ridotto del venti per cento, si applica non soltanto alle controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 417-bis c.p.c., ma anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l’Inps si avvalga della difesa diretta D.L. n. 203 del 2005, ex art. 10, comma 6, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2005, in quanto le due disposizioni sono accomunate dalla finalità di migliorare il coordinamento e la gestione del contenzioso da parte delle amministrazioni nei gradi di merito, affidando l’attività di difesa nei giudizi in modo sistematico a propri dipendenti. (Cass. n. 9878/2019; conf. Cass. n. 19034/2019). In ragione dei principi espressi, da cui non ha motivo di discostarsi, la censura deve essere disattesa.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 11 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp att. c.p.c., per difetto assoluto di motivazione in punto di spese.

Parte ricorrente lamenta che la condanna alle spese sia priva di motivazione anche risultando non conforme all’orientamento dominante.

Il motivo è infondato. Questa Corte ha chiarito che in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017). I principi evidenziano come solo la parte interamente vittoriosa non possa essere condannata al pagamento delle spese. Nel caso in esame la domanda della parte ricorrente è stata interamente rigettata e pertanto risulta coerente con i principi espressi la condanna pronunciata.

3) Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione D.M. n. 55 del 2014 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, il Giudice mancato di applicare la riduzione in base ai parametri di difficoltà e valore della causa. Il motivo è inammissibile in quanto, non risultando violato il principio di soccombenza e rientrando la somma liquidata nei limiti fissati, ogni ulteriore determinazione deve ritenersi correlata alla valutazione del giudice del merito, estranea alla sede di legittimità. Il ricorso è infondato. Nulla sulle spese.

In considerazione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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