Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 126 del 08/01/2021

Cassazione civile sez. I, 08/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 08/01/2021), n.126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12609/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Lanzilao Marco,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Viale

Angelico n. 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 100/2019 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETA, depositata il 18/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.S., di nazionalità del (OMISSIS), ha proposto innanzi al tribunale di Caltanissetta domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, sussidiaria e umanitaria, impugnando il provvedimento di rigetto adottato dalla Commissione territoriale.

La Corte di appello di Caltanissetta, confermando la decisione di primo grado, ha escluso la fondatezza delle censure proposte dal M., osservando che il racconto del richiedente non rientrava in alcune delle ipotesi previste per il riconoscimento della protezione sussidiaria, tenuto conto dei dubbi in ordine alla veridicità del racconto reso, già mostrati dalla Commissione. Secondo la Corte di appello, infatti, non erano credibili le dichiarazioni in ordine alle motivazioni che avevano spinto il ricorrente ad abbandonare il proprio paese per sottrarsi alla vendetta dei familiari di un giovane al quale aveva provocato lesioni gravissime in conseguenza di una lite. Nemmeno potevano dirsi esistenti i presupposti di gravità di un conflitto armato tale da generare una situazione di violenza indiscriminata rispetto alla regione di provenienza – Punjab, desumendosi dalle fonti internazionali riguardanti tale zona- rapporto EASO 2017 e relazione IGC – l’esistenza di tensioni non di tale gravità e frequenza elevata da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Analoghe conclusioni andavano espresse con riguardo alla richiesta di permesso umanitario, tenuto conto della non credibilità del racconto del richiedente e dell’assenza dei rispettivi presupposti, avuto riguardo alla condizione oggettiva del Paese di origine e alle condizioni personali del richiedente e al livello di integrazione dello straniero nel tessuto sociale italiano.

Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce l’omesso o erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla commissione territoriale. Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe errato nel considerare che dalle dichiarazioni rese non era possibile individuare una delle ipotesi di concessione della protezione internazionale, avendo le stesse come sfondo la situazione violenta del paese. Sicchè tali dichiarazioni non sarebbero state correttamente percepite nel loro reale significato, nè il giudicante di merito avrebbe inteso la reale valenza del racconto.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, l’omesso esame delle fonti informative, la contraddittorietà tra le fonti citate peraltro non attualizzate, nonchè la violazione dell’art. 10 Cost.. La Corte di appello non avrebbe fatto un uso accorto delle fonti informative indicate, tralasciando totalmente una serie di problematiche invece rilevanti in ordine alla situazione del Pakistan che, se avesse esaminato, avrebbero condotto la Corte di appello a riconoscere quanto meno la protezione sussidiaria, per la quale il rischio di minaccia grava andrebbe correlato non alla persona del richiedente, ma alla situazione oggettiva in cui si sarebbe trovato lo stesso al momento del rientro in patria.

Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ricorrerebbero, in relazione alle condizioni socio economiche del Pakistan le condizioni per il riconoscimento del permesso di soggiorno umanitario.

Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente contesta le valutazioni di non credibilità operate dalla Corte di appello nell’alvo della previsione normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in definitiva contestando il merito delle valutazioni operate dal giudice di appello.

Giova ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte – Cass. n. 11925/2020 – in materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si è ancora aggiunto che la prognosi negativa circa la credibilità del richiedente non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti quando, invece, viene trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto – Cass. n. 10908/2020.

Questa Corte (Cass. 20 novembre 2018, n. 33096, Cass. n. 20580/2019) ha poi ritenuto che la non credibilità del ricorrente costituisce ratio decidendi suscettibile di giustificare il rigetto della domanda di protezione internazionale (v. Cass. n. 21668 del 2015), poichè tale domanda, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, implica che alla base vi sia un racconto circostanziato e credibile.

Inoltre, si è ritenuto che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente, da svolgersi alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, deve essere fatta sempre previamente, alla luce della non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione dedotta, oltre che alla luce dell’attendibilità intrinseca di quelle dichiarazioni; donde postula che i fatti allegati abbiano infine carattere di precisione e concordanza (Cass. n. 1415716), dovendo l’accertamento del giudice di merito avere innanzitutto ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Orbene, sulla base della ricognizione dei principi giurisprudenziali sopra esposti, la censura proposta dal ricorrente non coglie nel segno, essendosi la Corte di appello fatta carico di indentificare con precisione, all’interno del racconto del richiedente, gli elementi idonei a renderlo poco credibile e non verosimile in relazione a quanto dal medesimo narrato – allontanamento dal paese di origine per sfuggire alle minacce dei parenti di un ragazzo al quale aveva provocato lesioni gravissime nel corso di una rissa. Affermazioni, quelle della Corte di appello, che non possono qui essere rivisitate avendo puntualmente fatto applicazione della c.d. procedimentalizzazione legale della decisione di cui si è detto.

Il secondo motivo è infondato.

Questa Corte ha ormai ritenuto in modo consolidato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti – cfr. Cass. n. 8819/2020, Cass., Sez. 6-1, n. 11312/2019, Cass. n. 13449/2019; Cass. n. 13897/2019, Cass. n. 9230/2020; Cass. n. 13255/2020 – essendo il giudice tenuto ad indicare specificatamente le fonti aggiornate in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto.

Cass. n. 4037/2020 ha poi ritenuto che il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive.

Ora, a fronte di tali indirizzo, la Corte di appello, per escludere la ricorrenza dei presupposti rispetto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha espressamente richiamato le COI relative agli anni 2016 e 2017, puntualmente individuando gli elementi – rapporto Easo anno 2017 – dai quali escludere l’esistenza di violenza generalizzata nella regione di provenienza – Punjab e città di Gujrat – in relazione alla riscontrata condizione di tensioni interne che riguardavano altra regione del Pakistan, a fronte di una situazione diversa riscontrabile nella regione del Punjiab e della città di Gujrat dalle quali proveniva il richiedente, rispetto alle quali non era risultata l’esistenza di una violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato.

Nè gli elementi riportati dal ricorrente con riguardo ad ulteriori fonti informative sono in grado di dimostrare il travisamento del contenuto delle informazioni da parte del giudice di appello con specifico riguardo alla regione del Punjiab, avendo la Corte di appello dato atto della riduzione degli episodi terroristici nel territorio ed in definitiva escludendo il dedotto travisamento delle fonti informative.

Il terzo motivo è parimenti infondato.

Ed invero, la Corte di appello si è pienamente uniformata all’indirizzo espresso da questa Corte in ordine all’essenzialità della condizione di vulnerabilità in colui che viene ammesso alla protezione umanitaria, riconoscendo che non erano emersi i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di elementi dai quali potere desumere che il rientro in patria del richiedente avrebbe determinato una lesione dei suoi diritti fondamentali, nè avendo il ricorrente allegato nel corso del giudizio di merito i fatti storici che avrebbero secondo il giudice di merito giustificato la condizione di vulnerabilità anzidetta.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Interno della somma di Euro 2100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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