Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12598 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 25/06/2020), n.12598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7828/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 461/02/2018 della Commissione tributaria

regionale della BASILICATA, depositata il 18/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito ai fini IRPEF ed IRAP per l’anno d’imposta 2011, emesso a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie dei conti correnti intestati e comunque riconducibili al contribuente M.G., con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Basilicata rigettava l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che il contribuente aveva fornito “prove documentali idonee a giustificare le somme riprese a tassazione” anche alla stregua delle dichiarazioni rese da terzi prodotte dal predetto contribuente, e che l’Amministrazione finanziaria “avrebbe dovuto fornire elementi quanto meno di natura logico-circostanziale sulle movimentazioni operate”;

– avverso la predetta statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, cui non replica l’intimato;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, degli artt. 2728 e 2697 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, lamentando l’erroneità delle sentenza impugnata per aver ritenuto che semplici dichiarazioni rese dalla parte e da terzi, circa la restituzione di prestiti fatti a titolo gratuito nei confronti di amici e conoscenti, fossero idonee a superare la presunzione posta dalla legge in materia di accertamenti bancari in mancanza di ulteriori elementi probatori.

4. Il motivo è fondato e va accolto.

5. Al riguardo va ricordato, in tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari, il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, in materia di IVA, consente di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo (ed anche a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici di riferibilità allo stesso dei conti di questi ultimi), e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017; conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente si è affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017).

6. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese da terzi, è noto che “nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000) – va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente – con il medesimo valore probatorio dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonchè l’effettività del diritto di difesa (Sez. 5, n. 18065 del 14/09/2016; Sez. 5, n. 8987 del 12/04/2013)” (così in Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29757 del 19/11/2018);

6. Orbene, nel caso di specie la CTR non si è attenuta a tali arresti giurisprudenziali, essendo evidente che le dichiarazioni dei terzi – esclusa ogni rilevanza alle dichiarazioni rese dalla parte non sarebbe dunque potuta bastare ad integrare la prova richiesta al contribuente, in mancanza di ulteriori elementi dimostrativi non solo dell’effettiva erogazione di quelle somme, quanto piuttosto che di esse aveva tenuto conto nelle dichiarazioni o che le stesse provenissero da operazioni non imponibili.

7. E’ opportuno aggiungere che è errato anche il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello per pervenire alla conclusione che, a fronte degli “elementi di prova positiva forniti” dal contribuente, le “contestazioni mosse dall’Amministrazione non (erano) supportate da ulteriori prove ed indizi”, ciò comportando un’inammissibile inversione dell’onere probatorio, e che spettasse all’amministrazione finanziaria “fornire elementi quanto meno di natura logico-circostanziale sulle movimentazioni operate”; affermazione, quest’ultima, anche di difficile comprensibilità.

8. Il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa erariale deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., non avendo la CTR esaminato e pronunciato su quattro versamenti effettuati dal contribuente sul proprio conto corrente bancario, deve ritenersi assorbito.

9. In estrema sintesi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio della causa alla competente CTR che pronuncerà nuovamente nel merito, esaminando analiticamente le risultanze di causa e fornendo adeguata e congrua motivazione in ossequio agli arresti giurisprudenziali sopra enunciati.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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