Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12591 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 25/06/2020), n.12591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19772/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

L’ANTICO s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7955/19/2017 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, Sezione staccata di LATINA, depositata in data

21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno d’imposta 2010, emesso dall’amministrazione finanziaria nei confronti della società contribuente L’ANTICO s.r.l. a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie effettuate sui conti correnti del socio della predetta società, R.V., con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo, per quanto qui ancora di interesse, che la società contribuente aveva giustificato tutte le movimentazioni effettuate sui conti alla stessa intestati e che la stessa non poteva essere chiamata a rispondere di quelli effettuati suì conti correnti del socio, ancorchè non giustificate, nei cui confronti avrebbe dovuto emettere un separato avviso di accertamento. Sosteneva, inoltre, che “l’ufficio si era limitato soltanto a riproporre l’infondatezza della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e non ha svolto censure in ordine al merito della questione”, con conseguente applicabilità alla fattispecie del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di due motivi, cui non replica l’intimata.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio all’esito del quale la ricorrente ha depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 e dell’art. 115 c.p.c..

2. Il motivo è fondato e va accolto.

2.1. E’ noto infatti il principio giurisprudenziale, al quale la CTR non si è attenuta, secondo cui “Nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia – rappresentata dal detto D.Lgs., art. 56 e dell’art. 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno” (Cass. n. 14534/2018; conf. Cass. n. 7702/2013).

2.2. Va pertanto riaffermato il principio di diritto ricavabile da tale orientamento per cui l’Amministrazione che impugni la sentenza su una sola questione, anche solo preliminare, non può dirsi che abbia rinunciato a far valere nel merito la pretesa tributaria, non applicandosi il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, che, come detto, va riferito all’appellato e non all’appellante (in termini, Cass. n. 8332/2016, in motivazione) e, quindi, neppure è ipotizzabile l’applicabilità, in tale ipotesi, del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. che, peraltro, con specifico riferimento alla materia tributaria, “attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato” (arg. da Cass. n. 12287 del 2018).

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 51, comma 2, n. 7 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, nonchè degli artt. 2729 e 2697 c.c., sostenendo che aveva errato la CTR ad escludere la riferibilità dei movimenti accertati sui conti correnti del socio R.V. anche alla stregua del fatto che il medesimo era l’amministratore della società, che aveva dichiarato redditi (nel 2010 pari ad Euro 31.849,00) irrisori rispetto al patrimonio personale (comprensivo di una imbarcazione acquistata a(prezzo di Euro 88.000,00).

3.1. Il motivo è fondato e va accolto.

4. Come si legge nella sentenza di questa Corte n. 21424 del 2017, “Per consolidata giurisprudenza (in particolare, cfr. Cass. 22 aprile 2016, n. 8112), in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorchè risulti provata dall’amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e dell’omologa norma in tema di iva, incombe sulla contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa”. Quindi, diversamente da quanto precisato dalla ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, ultima parte, l’amministrazione finanziaria non deve necessariamente provare la “natura fittizia dell’intestazione dei conti correnti” ai soci, essendo sufficiente la presunzione di “sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati”.

4.1. Peraltro, questa Corte aveva già affermato che “In tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica, sicchè in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente. (Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento a conti bancari intestati ad amministratori, legati da evidenti rapporti di parentela, e nessuno degli intestatari svolgeva attività economica idonea a giustificare simili importi reddiduali)” (Cass. n. 428 del 2015; conf. Cass. n. 20408 del 2018).

4.2. Si è quindi precisato che “In tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio “praesumptum de praesumpto non admittitur” (o “divieto di doppie presunzioni” o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perchè tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perchè, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicchè non ricorrerebbe nel caso di specie” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15003 del 16/06/2017, Rv. 644693).

5. Nel caso in esame il giudice d’appello ha anche svalutato ingiustificatamente gli elementi probatori sottoposti al suo esame, giacchè, in presenza di una ristretta base societaria e di sostanziale incapacità reddituale dei soci (avendo, uno, dichiarato redditi irrisori, nonostante il patrimonio personale e le movimentazioni effettuate sui propri conti, e l’altro non dichiarato alcunchè), avrebbe dovuto presumere la diretta riferibilità alla società delle operazioni annotate sui conti correnti dell’amministratore R.V..

6. In tali casi, infatti, per intuibili ragioni, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci debbano ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica, sul quale, quindi, grava l’onere di fornire specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ovvero che le somme movimentate non siano riferibili all’attività societaria e, in caso contrario, che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017).

7. Conclusivamente il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla competente CTR per nuovo esame alla stregua dei suesposti principi e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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