Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12588 del 17/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12588 Anno 2015
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

c , 17-

ORDINANZA
sul ricorso 16672-2013 proposto da:
SPINA MARISA SPNMRS56B41D086F, nella sua qualità di unica
erede di Spina Rosanna, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CATANZARO 9, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARIA
PAPADIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
LAMBERTO GALLETTI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

GENERALI ITALIA SPA, a mezzo della propria mandataria e
rappresentante GENERALI BUSINESS SOLUTIONS SCPA, in
persona dei procuratori speciali, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato MARIA
LUCIA SCAPPATICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO

Data pubblicazione: 17/06/2015

CAIVIPISE giusta procura in calce al controricorso e ricorso
incidentale;

– con troricorrente e ricorrente incidentale contro

– intimato –

F71Eorr—/
enti~u/a
avverso la sentenza n. 587/2012 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO del 26/04/2012, depositata il 19/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato Stefano Di Meo (delega avvocato Galletti difensore
della ricorrente che si riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Sergio Campise difensore della controricorrente che
si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA
DECISIONE
È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente
comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti.
“Il relatore, cons. Adelaide Amendola
esaminali gli atti,
osserva:

1. Con citazione notificata nel mese di novembre del 1992 Rosanna
Spina convenne innanzi al Tribunale di Cosenza Giuseppe Spillone e
Le Assicurazioni d’Italia s.p.a., oggi INA Assitalia s.p.a., al fine di
sentirli condannare, in solido tra loro, al pagamento in suo favore della

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SCILLONE GIUSEPPE;

somma di lire 51.016.000, oltre svalutazione e interessi, a titolo di
risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale
occorsole in data 11 marzo 1990.
Resistettero i convenuti.
2. Con sentenza n. 1867 del 2006 il giudice adito accolse la domanda

Il gravame proposto dalla Spina — segnatamente al fine di far valere
l’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale, per il mancato
riconoscimento del nesso causale tra il sinistro e la alopecia universale
irreversibile dalla quale ella era affetta — è stato respinto dalla Corte
d’appello in data 19 maggio 2012.
3. Per la cassazione di detta decisione ricorre a questa Corte Marisa
Spina, erede di Rosanna Spina, formulando due motivi e notificando
l’atto a Giuseppe Scillone e a INA Assitalia s.p.a.
Solo Generali Italia s.p.a. — già INA Assitalia — ha resistito con
controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a un solo
mezzo, mentre nessuna attività difensiva ha svolto l’altro intimato.
3. 1 ricorsi riuniti ex art. 335 cod. proc. civ., sono soggetti, in ragione
della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla
disciplina dettata dall’art. 360 bis, inserito dall’art. 47, comma 1, lett. a)
della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Esso possono pertanto essere trattati in camera di consiglio, in
applicazione degli artt 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi
rigettati.
Queste le ragioni.
4. Va premesso che non appare fondata l’eccezione di inammissibilità
del ricorso principale sollevata dalla resistente.
Essa è radicata sul rilievo che la ricorrente, dopo aver dichiarato di
impugnare nella qualità di erede di Rosanna Spina, ha prodotto il
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limitatamente alla somma di euro 14.144,62.

certificato di decesso di quest’ultima nonché una dichiarazione
sostitutiva dell’atto di notorietà della successione della sua pretesa
dante causa, documentazione del tutto insufficiente, secondo INA
Assitalia, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte
Regolatrice.

cui all’art. 110 cod. proc. civ. non è espressamente esclusa per il
processo di legittimità, né appare incompatibile con le forme proprie
dello stesso, il soggetto che ivi intenda proseguire il procedimento,
quale successore a titolo universale di una delle parti già costituite,
deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art.
372 cod. proc. civ., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo
la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato, mediante
notifica, alla controparte, per assicurare lo svolgimento del
contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente
nella sostituzione della parte presente in giudizio. Non è, invece,
sufficiente il semplice deposito dei documenti nella cancelleria della
Corte, come per le memorie di cui all’art. 378 cod. proc. civ., poiché
l’attività illustrativa che si compie con queste ultime è priva di carattere
innovativo (confr. Cass. civ. sez. un. 22 aprile 2013, n. 9692).
6. Sennonché nella fattispecie la ricorrente non ha affatto violato tali
principi, avendo dato atto, già nel ricorso, del deposito del certificato
di morte di Rosanna Spina, dell’atto di rinuncia all’eredità di Miropina
De Rosi nonché della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in
ordine alla sua qualità di erede.
Quanto poi alla asserita insufficienza della predetta documentazione a
soddisfare gli oneri connessi al riconoscimento della legittimati° ad

causar,’

dell’impugnante, la giurisprudenza di questa Corte

prevalentemente ritiene che la qualità di erede per successione mortis
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5. Ora, non v’ha dubbio che, poiché l’applicazione della disciplina di

causa può essere provata, in sede processuale, anche mediante la
produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (confr.
Cass. civ. 6 luglio 2009, n. 15803; Cass. civ. 14 ottobre 1997, n. 10022),
vigendo in materia il principio del libero convincimento del giudice di
cui all’art. 116 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 13 giugno 2006, n.

7. Passando all’esame delle proposte censure, con il primo motivo
l’impugnante lamenta violazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., ex art.
360, n. 3, cod. proc. civ. Affermando che, allo stato, non sussistevano
elementi sufficienti per ritenere, con grado di elevata probabilità, la
sussistenza di un collegamento causale tra la malattia e l’incidente, la
Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno dei principi enunciati dal
giudice di legittimità, secondo cui il relativo accertamento è governato,
in materia civile, dalla regola della preponderanza dell’evidenza o del
“più probabile che non”, laddove, nel processo penale, vige quella della
prova oltre “il ragionevole dubbio”. Del resto — assume — la stessa
sentenza gravata aveva dato atto di una serie di elementi la cui valenza
probatoria, ai fini del riconoscimento della fondatezza della domanda
attrice, era stata erroneamente sottovalutata dal giudice a quo.
Con il secondo mezzo, denunciando vizi motivazionali, l’esponente
censura la mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio
inutilmente sollecitata nel giudizio di gravame, posto che, a suo dire,
neppure era dato comprendere le ragioni di tale scelta decisoria.
8. Le critiche non hanno pregio.
La Corte territoriale, dopo avere precisato che la consulenza tecnica
espletata in primo grado nonché il supplemento disposto in esito alle
osservazioni del consulente di parte non avevano consentito di
addivenire a un giudizio di certezza o di elevata probabilità in ordine al
nesso di causalità tra l’alopecia universale che aveva colpito
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13685).

I.P.M..1~

l’infortunata e il sinistro di cui la stessa era rimasta vittima, ha
analiticamente esposto le ragioni per le quali le ulteriori argomentazioni
svolte dagli esperti officiati dall’appellante non consentivano di
addivenire a diversi risultati né consigliavano l’esecuzione di una nuova
perizia.

predetti tecnici si basavano su considerazioni di tipo prevalentemente
negativo e cioè, oltre che sulla tempistica dell’insorgere della malattia,
sul fatto che questa sembrava non avere altre plausibili spiegazioni,
elementi tutti che non apparivano sufficienti per addivenire a un
giudizio differente rispetto a quello raggiunto dal c.t.u. di prime cure.
9. A fronte di siffatti rilievi, i motivi di ricorso, deducendo in termini
puramente assertivi la violazione dei principi in tema di onere della
prova e di rilevanza delle presunzioni semplici, nonché vizi
motivazionali, mirano surrettiziamente a introdurre una revisione del
merito del convincimento del giudice di appello. Valga al riguardo
considerare che la consulenza tecnica è un mezzo istruttorio (e non
una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti e
affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando
nei poteri discrezionali di quest’ultimo la valutazione dell’opportunità
di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già
espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero
di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di
altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato
esercizio) non è censurabile in sede di legittimità (exp/urimis, Cass. civ.,
Sez. I, 03/04/2007, n.8355; Cass. civ., Sez. Il, 21/07/2004, n.13593).
Peraltro è noto che il giudice del merito, quando aderisce alle
conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto
conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce
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Segnatamente il decidente ha evidenziato che le conclusioni dei

l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo
convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle
contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non
espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché
incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che

tecnico, si risolvono in tal caso in mete allegazioni difensive, che non
possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5
cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 9 gennaio 2009, n. 282; Cass. civ. 3
aprile 2007, n. 8355).
10 Destituito di fondamento è anche il ricorso incidentale di Generali
Italia s.p.a., volto a sindacare per vizi motivazionali, in relazione al
disposto dell’art. 92 cod. proc. civ., la decisione del giudice d’appello di
compensare integralmente tra le parti le spese del grado.
E invero, con riferimento ai giudizi, come quello in esame, ai quali,
ratione temporis, non si applica la legge 28 dicembre 2005, n. 263, che,
modificando l’art. 92 cod. proc. civ., ha introdotto l’obbligo del giudice
di indicare le ragioni della compensazione delle spese di lite,
inaugurando un trend portato a ulteriore compimento dalla legge 18
giugno 2009, n. 69 — che esige ora la ricorrenza di altre gravi ed eccezionali
ragioni, e.iplicitamente indicate nella motivazione

la giurisprudenza di questa

Corte ha costantemente affermato che la decisione di provvedere in tal
senso non è censurabile in sede di legittimità, perché la valutazione
dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese
processuali, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della
ricorrenza di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del
giudice di merito e non richiede specifica motivazione.
In tale prospettiva l’uso del potere di compensazione delle spese di
causa è stato ritenuto sindacabile dalla Corte Regolatrice unicamente
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tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente

laddove le ragioni della scelta decisoria adottata non solo non siano
espressamente indicate, ma neppure siano desumibili dal complesso
della motivazione, costituendo la mancanza assoluta di motivazione
violazione del disposto dell’art. 92 cod. proc. dv. (confr. Cass. civ. 19
novembre 2007, n. 23993; Cass. civ. sez. un. 30 luglio 2008, n. 20598),

macroscopicamente illogiche, idonee cioè a inficiare, per la loro
inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della
volontà decisionale (Cass. civ. 8 settembre 2005, n. 17953; Cass. dv. 26
febbraio 2007, n. 4388; Cass. civ. 11 febbraio 2008, n. 3218; Cass. civ.
6 ottobre 2011, n. 20457).
Nella fattispecie la Corte territoriale ha richiamato, in motivazione, la
particolarità della questione e la sicura difficoltà di accertamento del
nesso di causalità tra malattia dell’infortunata e sinistro in cui la stessa
era rimasta coinvolta e tale valutazione, niente affatto incongrua,
sfugge al sindacato di questa Corte.
In tale contesto entrambi i ricorsi appaiono destinati al rigetto”.
A seguito della discussione svoltasi in camera di consiglio, il collegio ha
condiviso le argomentazioni in fatto e in diritto esposte nella relazione,
non ritenendole infirmate dalle deduzioni esposte nelle memorie delle
parti.
Ne deriva che entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensarne
integralmente le spese tra le parti.
La circostanza che i ricorsi sono stati bine et inde proposti in tempo
posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità
dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della
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ov-vero laddove vengano enunciate ragioni palesemente e

sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore
contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale
pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al
fatto oggettivo — ed altrettanto oggettivamente in suscettibile di diversa
valutazione — del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa

previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano
funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle,
pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.

P.Q.M.
La Corte, pronunziando sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi;
compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio; ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, rispettivamente,
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma
1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 maggio
2015.

per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la

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