Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12586 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. I, 21/05/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 21/05/2010), n.12586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.C. – elettivamente domiciliato in ROMA, via Giulio di

Colloredo n. 46/48, presso lo studio dell’avv. De Paola Gabriele, dal

quale e’ rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro-tempore – domiciliato ex lege in Roma, via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale

e’ rappresentata e difesa;

– controricorrente –

e

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Genova depositato il 3

ottobre 2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

26 novembre 2009 dal Consigliere dott. Luigi Salvato;

P.M., S.P.G. Dott. PIVETTI Marco.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.C. adiva la Corte d’appello di Genova, al fine di ottenere la liquidazione dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, in relazione alla durata irragionevole del giudizio promosso innanzi al T.a.r. Toscana con ricorso del 23 – 24 ottobre 1995, avente ad oggetto il diritto al computo nell’indennita’ di buonuscita dell’indennita’ pensionabile di polizia, definito con sentenza di rigetto del 24.2.2003.

La Corte d’appello, con decreto del 3 ottobre 2006, rigettava la domanda, dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’economia e delle finanze C.C., affidato a tre motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri; non ha svolto attivita’ difensiva il Ministero dell’economia e delle finanze.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU, della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonche’ degli artt. 24 e 101 Cost., in relazione all’art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), richiamando sentenze di questa Corte, rese in giudizi concernenti vicende analoghe e decreti della stessa Corte d’appello di Genova, le quali hanno escluso che l’esito favorevole della lite escluda il diritto all’indennizzo per il danno non patrimoniale da irragionevole durata del giudizio.

Inoltre, sostiene che sulla questione oggetto del giudizio presupposto vi era stata una giurisprudenza, sia pure minoritaria, che aveva accolto la domanda. Dunque, la consapevolezza dell’esito sfavorevole della lite sarebbe stata motivata con argomentazioni infondate e pretestuose; comunque, non sarebbe provato che la lite era temeraria, ovvero che vi sia stato abuso del diritto, circostanze imprescindibili per il rigetto della domanda.

In conclusione, il ricorrente formula quesito di diritto concernente la circostanza che la consapevolezza sull’esito del giudizio presupposto non rileva ai fini del danno non patrimoniale.

Con il secondo motivo, e’ denunciata violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nella parte in cui il decreto ha escluso il danno non patrimoniale, valorizzando il rigetto della domanda e la consapevolezza dell’infondatezza della medesima anche quando questa non emerga dal giudizio presupposto in misura tale da prefigurare un abuso del processo, evenienza questa esclusa dalla compensazione delle spese del giudizio disposta dal giudice del merito.

Il ricorrente formula, quindi, quesito di diritto concernente la circostanza che il danno non patrimoniale da violazione del termine di ragionevole durata del giudizio sussiste anche nel caso di consapevolezza dell’infondatezza della domanda, salvo che questa sconfini nell’abuso di difesa.

Il terzo motivo del ricorso denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del decreto (art. 360 c.p.c., n. 5), in ordine al fatto controverso della piena consapevolezza dell’infondatezza della domanda, che non emergerebbe dal decreto e non sarebbe motivata, non essendo sufficiente a detto fine il mero richiamo di precedenti contrari all’istante, in difetto di prova sull’abuso del processo.

2.- Nella specie, in virtu’ della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1224 e 1225, deve ritenersi la perdurante legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, trattandosi di giudizio iniziato anteriormente alla modifica introdotto nella L. n. 81 del 2001, art. 3, comma 3 dal primo di detti commi.

I tre motivi, da esaminare congiuntamente, sono manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito precisati.

Il decreto ha premesso che, in linea di principio, la proposizione di un ricorso collettivo ed il suo rigetto non permetterebbero di escludere la sussistenza del danno non patrimoniale e, tuttavia, ha osservato che puo’ anche accadere che detti elementi siano, invece, sufficienti a fondare detta conclusione.

La Corte territoriale ha, quindi, ritenuto sussistente quest’ultima ipotesi, valorizzando la circostanza che la sentenza del giudizio presupposto ha rigettato la domanda, affermando che, dopo alcune incertezze giurisprudenziali, nel senso dell’infondatezza si era espresso il Consiglio di Stato, con sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 19 del 1996. Pertanto, la consapevolezza dell’infondatezza della pretesa conduceva ad escludere la sussistenza del danno non patrimoniale.

Siffatta conclusione non e’ immune dalle censure svolte con i mezzi in esame. Al riguardo va, infatti, ribadito l’orientamento, consolidatosi dopo gli arresti a Sezioni Unite, secondo il quale il danno non patrimoniale e’ conseguenza normale, ancorche’ non automatica. della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di modo che va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova (diretta o presuntiva), in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto (Cass. S.U. n. 1338 e n. 1339 del 2004; successivamente, per tutte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 23844 del 2007).

Il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente da fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall’importanza sociale della vicenda, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilita’; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo, e percio’ costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilita’ della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno (Cass. n. 7139 del 2006; n. 21088 del 2005; n. 19204 del 2005).

In particolare, detto principio e’ stato ripetutamente affermato in fattispecie analoghe a quelle qui in esame, concernenti decreti emessi dalla stessa Corte d’appello di Genova (tra le molte, Cass. n. 26767, n. 27610, n. 26579, n. 1 1568 e n. 891 del 2008, sino a risalire a Cass. n. 9921 del 2005).

Una volta che questo danno non sia stato escluso, i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale. che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, sia pure in senso sostanziale, non meramente formale, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006: n. 19029 del 2005; n. 19288 del 2005).

In applicazione di detto principio – da enunciare in detti termini, in relazione a quesiti posti con i primi due motivi -, risulta chiara la fondatezza delle censure, dato che non rileva, al fine di escludere il danno, il solo fatto che la causa abbia avuto esito negativo appunto in quanto, da sola, e’ insufficiente ad escludere e a sovvertire la presunzione di danno non patrimoniale, mentre delle circostanze sopra indicate, in particolare del fatto che l’istante si sarebbe reso responsabile di lite temeraria, o comunque di un vero e proprio abuso del processo, non vi e’ congrua ed adeguata motivazione.

A detto fine e’, invero, insufficiente l’esistenza di orientamenti contrari, in difetto di elementi comprovanti la proposizione di una lite temeraria, ovvero dettata al solo scopo di perseguire il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001, non essendo sostenibile l’equazione tra domanda contraria ad un orientamento, pure consolidato della giurisprudenza, e abuso del diritto di agire, costituzionalmente garantito. Peraltro, il decreto in esame cade in contraddizione, quando da atto di “incertezze giurisprudenziali” composte dal massimo consesso amministrativo, con sentenza n. 19 del 1996, e cioe’ in data successiva alla proposizione del ricorso, che, in difetto di ulteriori esplicitazioni, implica logicamente l’esistenza di pregressi indirizzi favorevoli all’istante.

Pertanto, dal punto di vista logico, non e’ possibile desumere dalla sola infondatezza della pretesa l’esclusione del danno, posto che detta circostanza comporta anzi l’irragionevolezza del giudizio, suscettibile, appunto per detta ragione, di immediata risoluzione.

In accoglimento del ricorso, il decreto va cassato e la causa rinviata per un riesame del merito, che investira’ la questione del danno non patrimoniale e dovra’ anzitutto accertare anche l’esatta misura della durata irragionevole del giudizio, al fine di stabilire l’eventuale indennizzo.

Vi provvedera’, in veste di giudice del rinvio, la stessa Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che decidera’ anche sulle spese della presente fase.

Pertanto, il ricorso, essendo in parte manifestamente fondato, in parte manifestamente infondato, puo’ essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge.”.

2.- Il Collegio reputa di condividere le conclusioni svolte nella relazione, in quanto fondate su principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, che comportano la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze (in relazione a detto ricorso non deve essere resa pronuncia sulle spese di questa fase, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva), la cassazione del decreto impugnato ed il rinvio della causa alla stessa Corte d’appello che, in diversa composizione, procedera’ al riesame della controversia, attenendosi ai principi sopra enunciati, provvedendo anche sulle spese della presente fase.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie per quanto di ragione il ricorso proposto nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

 

 

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