Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12586 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 10387-2020 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2783/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte,

rilevato che:

con sentenza del 7.10.2019 la Corte di appello di Bologna ha rigettato, a spese compensate, l’appello proposto da M.I. avverso l’ordinanza del 26.3.2018 del Tribunale di Bologna che aveva rigettato il ricorso contro il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

il richiedente asilo aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), nella regione del (OMISSIS); di aver lasciato il suo Paese perchè lo zio si era impadronito della proprietà di famiglia e lo aveva scacciato; di aver denunciato i fatti alla polizia, che non era intervenuta perchè corrotta dallo zio benestante; che lo zio, appresa la denuncia, aveva picchiato suo fratello, uccidendolo; di aver deciso di fuggire e di aver raggiunto l’Italia;

avverso la predetta sentenza del 7.10.2019, con atto notificato il 6.4.2020 ha proposto ricorso per cassazione I.M., svolgendo quattro motivi;

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, all’art. 16 Dir. UE 2013/32, al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, con riferimento al giudizio di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo, ritenuto indimostrato;

con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7 e 14, quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, con riferimento alla mancata indagine da parte del giudice circa la capacità di protezione delle autorità di polizia pakistane;

con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, per il rischio di violenza indiscriminata, al cui proposito era stato omesso l’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria;

con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, quanto alla richiesta di protezione umanitaria;

il Ministero dell’Interno intimato si è costituito in giudizio con memoria del 25.5.2020 al solo fine di prender parte a eventuale discussione orale;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

ritenuto che:

1. il terzo motivo attiene alla mancata cooperazione istruttoria da parte del giudice con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c);

il ricorrente non ha accompagnato la predetta doglianza con l’indicazione delle specifiche fonti alternative che la Corte di appello avrebbe dovuto consultare e del contenuto delle informazioni che da tali fonti sarebbe stato possibile desumerne;

2. nell’esaminare la richiesta di protezione proposta a tale titolo, oggetto di motivo di appello (cfr sentenza impugnata, pag 3, quarto capoverso, terzo alinea), la Corte bolognese si è limitata dapprima a dubitare della stessa provenienza del sig. I. dalla regione del (OMISSIS), sol perchè, con motivazione condivisa dalla Corte di appello, la Commissione territoriale aveva considerato inattendibili le sue dichiarazioni circa la vicenda personale;

la Corte territoriale ha formulato tale affermazione apoditticamente, senza esprimere alcuna specifica considerazione a supporto, e comunque in evidente contrasto con la stessa fonte richiamata (riferita a pagina a pag.8, capoverso) perchè la Commissione territoriale aveva dubitato del racconto circa la vicenda personale e non certo della provenienza dell’ I. dal (OMISSIS);

in secondo luogo, la Corte territoriale ha affermato che non esisteva in (OMISSIS) una situazione di conflitto indiscriminato e di conflitto armato interno o internazionale, correttamente esclusa dal Tribunale, con assenza “grafica” di motivazione (pag. 9, 4 capoverso);

3. il processo di protezione internazionale si caratterizza nel senso della specialità rispetto all’ordinario processo civile, in virtù della deroga al principio dispositivo introdotta sul fronte probatorio per la previsione di un’ampia attenuazione dell’onere probatorio a carico dell’attore richiedente asilo circa i fatti costitutivi del suo diritto, rispetto alla regola generale e ordinaria stabilita dall’art. 2697 c.c., sovente riassunta con le formule dell'”onere probatorio attenuato” e dell’obbligo di “cooperazione istruttoria” da parte del giudice;

4. il fondamento normativo dell’obbligo di “cooperazione istruttoria”, risalente ai principi fissati dall’art. 4 Dir. CE 13 dicembre 2011, n. 95, e recepiti nel nostro ordinamento nazionale dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, viene individuato specificamente nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, in tema di “Criteri applicabili all’esame delle domande”, ove è stabilito che la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame della domanda, che deve essere condotto alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa;

tale regola è richiamata dallo stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, e art. 27, comma 1-bis, quanto alla fase giurisdizionale;

5. la ratio dell’obbligo di cooperazione istruttoria viene tradizionalmente colta nell’esigenza di proteggere il richiedente asilo, soggetto presuntivamente “debole” e sradicato dal contesto sociale e culturale originario, dalle conseguenze pregiudizievoli della difficoltà di precostituirsi al momento della fuga e procurarsi successivamente le prove delle circostanze rilevanti circa i gravi rischi corsi nel Paese di origine;

6. la “cooperazione istruttoria”, per definizione, agisce solo sul terreno della prova e circoscrive significativamente l’operatività della regola dell’onere probatorio, derogata in questa materia dal principio del cosiddetto “onere probatorio attenuato”, tratteggiato sin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 27310 del 17.11.2008, secondo la quale l’autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria;

spetta così al giudice cooperare nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine;

in tale prospettiva la diligenza e la buona fede del richiedente si sostanziano in elementi di integrazione dell’insufficiente quadro probatorio, con un chiaro rivolgimento delle regole ordinarie sull’onere probatorio dettate dalla normativa codicistica vigente in Italia;

la giurisprudenza di legittimità è peraltro granitica nel distinguere fra onere di allegazione e onere della prova e nel tenere con fermezza il primo fuori dal perimetro della “cooperazione istruttoria”;

è stato pertanto ripetutamente affermato che nei giudizi aventi ad oggetto l’esame di domande di protezione internazionale in tutte le sue forme, nessuna norma di legge esonera il ricorrente in primo grado, l’appellante o il ricorrente per cassazione, dall’onere di allegare in modo chiaro i fatti costitutivi della pretesa, di censurare in modo chiaro le statuizioni del giudice di primo grado e di assolvere gli oneri di esposizione, allegazione ed indicazione richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6 (Sez. 1, n. 28780 del 16.12.2020, Rv. 660006 – 01; Sez. 2, n. 17185 del 14.08.2020, Rv. 658956 – 01);

il richiedente è tenuto perciò ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti non provati, soltanto qualora il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Sez. 1, n. 15794 del 12.06.2019, Rv. 654624 – 01; Sez. 1, n. 11096 del 19.04.2019, Rv. 656870 – 01; Sez. 1, n. 13403 del 17.05.2019, Rv. 654166 – 01; Sez. 1, n. 3016 del 31.01.2019, Rv. 652422 – 01);

7. si è tuttavia recentemente delineato un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte circa gli oneri che gravano sul ricorrente per cassazione per proporre una censura ammissibile di violazione di legge nel caso in cui il giudice del merito non abbia adempiuto al dovere di “cooperazione istruttoria”, o lo abbia fatto in modo incompleto o inadeguato, o comunque non rispettoso dei canoni legali;

8. secondo il più risalente orientamento, al quale hanno aderito in progresso di tempo numerose pronunce, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate;

al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti aggiornate in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante per la decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di detta informazione con riguardo alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Sez. 6-1, n. 11312 del 26.4.2019, Rv. 653608-01; Sez. 1, n. 13897 del 22.05.2019, Rv. 654174 – 01; Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26.04.2019, Rv. 653608 – 01; Sez. 1, n. 11096 del 19.04.2019, Rv. 656870 – 01; Sez. 1, n. 13449 del 17.05.2019, Rv. 653887 – 01; Sez. 2, n. 9230 del 20.05.2020, Rv. 657701 – 01; Sez. 2, n. 26229 del 18.11.2020, Rv. 659681 – 01; Sez. 3, n. 22527 del 16.10.2020, Rv. 659409 – 02; Sez. 3, n. 262 del 12.01.2021, Rv. 660386 – 01);

si è aggiunto che il giudice di merito è tenuto ad indicare l’autorità o l’ente da cui la fonte consultata proviene e la data o l’anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento previsti dal citato D.Lgs., richiamato art. 8, comma 3 (Sez. 2, n. 1777 del 27.01.2021, Rv. 660313 – 01; Sez. 1, n. 29147 del 21.12.2020, Rv. 660108 – 01);

secondo questo orientamento, in caso di assenza o di radicale insufficienza delle indicazioni relative alle fonti consultate dal giudice di merito, il motivo di ricorso non deve necessariamente contenere l’indicazione delle fonti alternativamente prospettate dal ricorrente, ma può limitarsi a evidenziare il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, così come declinato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone l’indicazione specifica delle fonti aggiornate al momento della decisione, non potendosi presumere, in assenza di tale indicazione, l’assolvimento dell’obbligo di legge (Sez. 1, n. 2461 del 3.2.2001);

l’opinione prevalente, ma non del tutto incontrastata, ritiene che la violazione da parte del giudice del dovere di “cooperazione istruttoria” configuri un error in procedendo poichè la norma di azione concretizza un obbligo di attività del giudice, a cui la normativa dell’Unione e la disciplina nazionale assegnano una funzione strumentale rispetto all’accertamento del diritto alla protezione internazionale, in relazione all’onere della prova attenuato che grava sul richiedente asilo;

è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte normalmente esige dalla parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, la impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira a eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Sez.2, 02.08.2019, n. 20874; Sez.1, 6.3.2019 n. 6518; Sez.3, 13.2.2019 n. 4159; Sez.2, 9.8.2017 n. 19759; Sez.3, 27.1.2014 n. 1612; Sez. 3, 13.05.2014, n. 10327);

tuttavia, nel caso in esame, per il richiedente asilo viene ravvisato un pregiudizio in re ipsa che svincola il ricorrente dalla allegazione o dalla dimostrazione delle conseguenze pregiudizievoli scaturite dall’inadempimento del dovere del giudice;

infatti, diversamente ragionando, secondo questo orientamento, si verrebbe a riattribuire al ricorrente non solo l’onere di allegazione ma anche quello della prova, interferendo con i tratti fondanti della disciplina armonizzata dell’Unione;

lo stesso concetto potrebbe essere espresso anche ponendo in evidenza la necessaria ricaduta dell’inadempimento del dovere di attività del giudice sul contenuto della decisione, mutilata del necessario accertamento sulle questioni efficacemente innescate dall’allegazione del richiedente asilo;

appaiono peraltro evidenti sia l’esigenza di coordinamento di questo orientamento con la giurisprudenza della Corte in tema di denuncia di nullità processuali, sia la necessità inderogabile di armonizzare le soluzioni interpretative con il diritto dell’Unione Europea;

9. secondo un altro e più recente orientamento, le cui pronunce capo fila sono quelle della Sez. 1, n. 21932 del 09.10.2020, Rv. 659234 – 01 e n. 22769 del 20/10/2020, Rv. 659276 – 01 (al quale si iscrivono anche Sez.1 n. 2720, 2721, 2728 e 2730 del 4.2.2021), invece, chi intenda denunciare con ricorso per cassazione la violazione da parte del giudice di merito del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere rigettato la domanda senza indicare le fonti di informazione da cui ha tratto le conclusioni, ha l’onere di allegare che esistono COI (Country of Origin Informations) aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c.;

il requisito dell’interesse a ricorrere, quale condizione di ammissibilità dell’impugnazione, richiederebbe quindi al ricorrente l’onere di dimostrare il fondamento della sua richiesta, ingiustamente sacrificato dall’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria, in una prospettiva in cui non pare immediatamente evidente il confine fra la verifica delle condizioni di ammissibilità dell’impugnazione e il merito della domanda;

le pronunce del secondo orientamento, nell’affermare l’onere di allegazione e trascrizione (o almeno di citazione e sintesi) delle COI pretermesse, sembrano riferirsi anche a fonti e documenti non prodotti – o non necessariamente prodotti nel giudizio di merito – e il cui esame verrebbe in rilievo per la prima volta nel giudizio di legittimità quale condizione di ammissibilità della censura;

da qui scaturisce l’esigenza di ricomporre il contrasto di giurisprudenza nonchè di approfondire: (a) se i relativi documenti possano essere introdotti per la prima volta nel giudizio di legittimità, in deroga all’art. 372 c.p.c.; (b) se la parte possa limitarsi ad una mera allegazione “vestita” delle fonti informative alternative; (c) se, ancora, l’effettiva esistenza e il concreto contenuto delle predette fonti informative alternative rientrino o esulino dai controlli di competenza della Corte di cassazione;

11. non è forse fuor di luogo ipotizzare che la soluzione delle questioni proposte possa risentire anche del rito seguito e possa differenziarsi a seconda della possibilità o meno di appellare la decisione di primo grado nel merito, proponendo uno specifico motivo di gravame sul punto;

12. si pone pertanto un complesso problema ermeneutico, non esente da stretti collegamenti con il diritto dell’Unione Europea e con i principi generali in tema di deduzione degli errores in procedendo;

per questa ragione non ricorrono le ipotesi previste dall’art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, e che il ricorso deve essere rimesso alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3;

PQM

La Corte:

rimette il ricorso alla pubblica udienza della 1 Sezione civile.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

 

 

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