Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12585 del 17/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12585 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 26088 — 2009 R.G. proposto da:
Avvocato FRANCESCO TERRAZZINO — c.f. TRRFNC52M10H159E — rappresentato e
difeso congiuntamente e disgiuntamente da se medesimo e in virtù di procura speciale a
margine del ricorso dall’avvocato Gaetano Caponnetto, COLLURA MARIA ROSA — c.f.
CLLMRS57R54A351I – rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente in virtù di
procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Francesco Terrazzino e dall’avvocato
Gaetano Caponnetto, entrambi elettivamente domiciliati in Roma, al viale G. Mazzini, n. 55,
presso lo studio dell’avvocato professor Antonio Sinesio.
RICORRENTI
contro
CHIODO ROSA — c.f. CHDRS068K64L840J — (quale unica erede di Alfonso Chiodo),
rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente in virtù di procura speciale per
scrittura privata autenticata nella sottoscrizione in data 21.1.2013 a ministero notar Giuseppe

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Data pubblicazione: 17/06/2015

Fanara dall’avvocato Giacomo Triolo e dall’avvocato Ignazio Valenza ed elettivamente
domiciliata in Roma, alla via Manfredi, n. 11, presso lo studio dell’avvocato Giulio Valenti.
CONTRORICORRENTE
Avverso la sentenza n. 1228 dei 6.6/29.9.2008 della corte d’appello di Palermo,

dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Francesco Terrazzino, per se medesimo e per la ricorrente Maria Rosa
Collura,
Udito l’avvocato Giacomo Triolo per la controricorrente,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per il rigetto del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 4.6.1996 Alfonso Chiodo citava a comparire innanzi al
tribunale di Agrigento Francesco Terrazzino e Maria Rosa Collura.
Esponeva che con rogito per notar Giuseppe Saieva del 17.9.1988 aveva alienato ai
convenuti, coniugi in regime di comunione dei beni, il fabbricato sito in Agrigento, località
San Leone, via Olimpo, n. 42, la cui costruzione era stata ultimata nel corso dell’anno 1976;
che all’atto della stipula aveva dichiarato che l’immobile era stato costruito in assenza di
concessione edilizia e che nondimeno aveva proposto domanda di concessione in sanatoria;
che il prezzo era stato pattuito in lire 100.000.000, somma comprensiva pur dell’importo di
lire 10.852.051, corrispondente all’ammontare dell’oblazione pagata ai fini del rilascio della
sanatoria.
Chiedeva, giacché il manufatto era stato realizzato in zona “A”, soggetta a vincolo di
inedificabilità assoluta, dichiararsi la nullità dell’atto di compravendita e condannarsi i

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Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 26 marzo 2015 dal consigliere

convenuti alla restituzione del cespite previo rimborso, da parte sua, dell’importo di lire
100.000.000 ricevuto.
Costituitisi, i convenuti instavano per il rigetto dell’avversa domanda.
Eccepivano peraltro l’intervenuta prescrizione dell’avversa pretesa.

condanna dell’attore alla restituzione del prezzo ed al risarcimento del danno sofferto.
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 886/2001 il tribunale adito rigettava la
domanda dell’attore, compensava integralmente le spese di lite e poneva a carico di ciascuna
parte la giusta metà delle spese di c.t.u..
Interponeva appello Alfonso Chiodo.
Resistevano Francesco Terrazzino e Maria Rosa Collura; altresì esperivano appello
incidentale condizionato.
Con sentenza n. 1228 dei 6.6/29.9.2008 la corte d’appello di Palermo, in riforma
dell’impugnata sentenza, dichiarava la nullità del contratto di compravendita per notar
Giuseppe Saieva del 17.9.1988 avente ad oggetto il fabbricato sito in Agrigento, località San
Leone, via Olimpo, n. 42, condannava Francesco Terrazzino e Maria Rosa Collura a restituire
ad Alfonso Chiodo il predetto cespite, condannava Alfonso Chiodo a corrispondere a
Francesco Terrazzino e Maria Rosa Collura la somma di euro 67.139,40, oltre interessi legali
dal 17.9.1988 al dì del pagamento, faceva ordine al competente conservatore dei RR. II. di
provvedere all’annotazione della sentenza, compensava integralmente tra le parti le spese di
entrambi i gradi e poneva a carico di ciascuna parte la giusta metà delle spese di c.t.u..
Esplicitava la corte di merito che “l’unità immobiliare in esame risale al 1976 ed è stata
realizzata in assenza di concessione edilizia, nella zona del Comune di Agrigento, che è
gravata, a norma del D.M. 15 maggio 1968 e successive modificazioni, da un vincolo di

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In via riconvenzionale, in ipotesi di accoglimento dell’avversa domanda, chiedevano la

inedificabilità assoluta a tutela di interessi ambientali ed archeologici” (così sentenza
d’appello, pag. 5).

Esplicitava inoltre, al cospetto in particolare dell’art. 33 della legge n. 47/1985 —
previsione che “esclude la sanatoria di opere realizzate in contrasto con vincoli di

un’interpretazione teleologicamente orientata, che l’art. 40 della medesima legge n. 47/1985
non valeva a legittimare “i trasferimenti di beni realizzati in contrasto con vincoli di
inedificabilità assoluta, con conseguente inidoneità, ai fini della validità dell’atto di
trasferimento, dell’allegazione di una domanda di concessione in sanatoria relativa ad un
edificio realizzato in area sottoposta a tale vincolo” (così sentenza d’appello, pag. 7); che “è
evidente del resto che, in presenza di un vincolo che impedisce la sanabilità dell’opera, (…) la
richiesta di sanatoria e il versamento di parte dell’oblazione (…) altro non è che un vuoto
simulacro, del tutto inefficace ai fini della regolarizzazione edilizia” (così sentenza d’appello,
pag. 8).

Esplicitava ancora che l’art. 25 della legge regionale siciliana n. 37/1985, il cui ultimo
comma “stabiliva (…) che l’esame delle richieste di concessione in sanatoria per le opere
eseguite nell’ambito delle zone vincolate ai sensi della decretazione ministeriale del 1968 e
del 1971 rimanesse sospeso fino all’emanazione del (…) decreto del Presidente della
Regione” (così sentenza d’appello, pag. 9) di delimitazione dei confini del parco archeologico
di Agrigento, non aveva inciso sul delineato assetto normativo, perché si era limitato “a
prevedere un differimento dell’esame delle domande di concessione in sanatoria e non ha
invece modificato il vincolo di inedificabilità” (così sentenza d’appello, pag. 9), sicché non
era mutata “la condizione di non sanabilità del bene” (così ricorso, pag. 9).
Esplicitava infine, quanto alle domande degli appellati, che “non può (…) trovare
accoglimento la domanda di rimborso delle spese di registrazione dell’atto, delle altre spese
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inedificabilità di varia natura” (così sentenza d’appello, pag. 6) — e nel quadro di

accessorie sostenute in dipendenza dell’acquisto e di quelle relative alla definizione del
condono, nonché la domanda di risarcimento dell’ulteriore danno per la perdita del bene
acquistato” (così sentenza d’appello, pag. 11); che invero “la causa di invalidità non solo era
riconoscibile, ma era perfettamente conosciuta dall’acquirente, il quale era al corrente dello

12); che era “infondata, infine, la richiesta di subordinare la consegna dell’immobile alla
restituzione del prezzo, in assenza di nonne che prevedevano il diritto di ritenzione” (così
sentenza d’appello, pag. 12).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso Francesco Terrazzino e Maria Rosa Collura;
ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione
anche in ordine alle spese di lite.
Alfonso Chiodo ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il
favore delle spese del giudizio di legittimità.
Con memoria in data 25.10.2012, a seguito del decesso — in data 4.12.2010 – di Alfonso
Chiodo, si è costituita sua figlia, Rosa Chiodo, sua unica erede.
In data 17.3.2015 Francesco Terrazzino e Maria Rosa Collura hanno depositato memoria
ex art. 378 c.p.c..
Hanno in via preliminare eccepito l’improcedibilità del controricorso, giacché depositato
in cancelleria in data 18.1.2010, ovvero allorché era ampiamente decorso il termine di venti
giorni, ex art. 370, 3° co., c.p.c., a far data dal 23.12.2009, dì della notifica ad essi ricorrenti
dello stesso controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (art. 360, 3° comma c.p.c. in relazione all’art. 100 c.p.c. e all’art. 1421 c.c.) nonché

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stato giuridico, sotto il profilo urbanistico, del bene acquistato” (così sentenza d’appello, pag.

omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un elemento controverso e decisivo
per il giudizio (art. 360, 5 0 comma c.p.c.)” (così ricorso, pag. 4).
Adducono che l’apodittico riscontro dell’interesse ad agire operato dalla corte di merito
deye ritenersi errato ed in palese contrasto con gli artt. 1421 c.c. e 100 c.p.c.; che la

rilevante> dipendente dall’asserita nullità” (così ricorso, pag. 6); che d’altronde il venditore è
“il soggetto che ha proprio dato luogo all’asserita nullità, ha percepito interamente il
corrispettivo della vendita sicché (…), ove si pronunciasse la nullità (…), (…) riacquisterebbe
la titolarità del diritto di proprietà su di un bene incommerciabile” (così ricorso, pag. 6 7);

che inoltre “soltanto tardivamente ed in sede di gravame il venditore ha cercato di
rappresentare un proprio interesse ad agire” (così ricorso, pag. 7).
Il motivo non merita seguito.
E’ sufficiente, per un verso, il riferimento all’insegnamento n. 7017 del 27.7.1994 di
questa Corte di legittimità — invero debitamente richiamato dalla corte distrettuale — alla cui
stregua la locuzione “chiunque vi ha interesse”, che l’art. 1421 c.c. usa per individuare i
soggetti legittimati ad esperire l’azione di nullità di un contratto, si riferisce ai terzi che, non
avendo sottoscritto il contratto, sono rimasti estranei ad esso e non già alle parti stipulanti,
che, in quanto tali, sono sempre legittimate all’esercizio di detta azione, essendo in re ipsa il
loro interesse all’accertamento della nullità.
E’ sufficiente, per altro verso, con precipuo riferimento alla condicio actionis
dell’interesse ad agire e pur nel segno dell’insegnamento di questa Corte, secondo cui la
legittimazione generale all’azione di nullità, prevista dall’art. 1421 c.c., non esime l’attore dal
dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse a norma dell’art. 100 c.p.c. (cfr.
Cass. 4.2.2014, n. 2447), che la corte territoriale ha dato ineccepibilmente ed esaustivamente
conto dell’interesse ad agire sotteso all’iniziativa assunta da Alfonso Chiodo – ai fini della
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controparte “non ha minimamente fornito la prova di aver subito , e cioè dopo il 17/3/1985 (…), e non

già, come nel nostro caso, per i manufatti costruiti prima del 17/3/1985″ (così ricorso, pag.
11); che, al contempo, il contenuto dell’art. 15, 7° co., della legge 28.1.1977, n. 10, “finisce

col dare (…) ragione ai ricorrenti e (…) confermare (…) la perfetta commerciabilità del bene
e l’inammissibilità dell’eccepita nullità” (così ricorso, pag. 11); che “così stando le cose,
diviene significativa ed efficace la norma regionale (artt. 23, 24, 25 e 26 della L.R. 37/1985)”
(così ricorso, pag. 12); che “la disciplina speciale di cui agli artt. 25 e 26 della L.R. n. 37/85

(…) ha introdotto per il solo Comune di Agrigento una sorta di moratoria per gli edifici
ricadenti nelle zone di cui al decreto Gui Mancini, consentendo ed imponendo la
presentazione delle domande in sanatoria, in attesa di un decreto del Presidente della Regione
Siciliana che individuasse i confini delle zone da assoggettare a differenziati vincoli” (così
ricorso, pagg. 12 – 13); che, “pertanto (…) il notaio ha validamente rogato l’atto poiché

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mortis causa agli eredi” (così sentenza d’appello, pag. 5) (cfr. Cass. 28.6.2010, n. 15355,

sussistevano tutti i requisiti richiesti dall’art. 40 L. 47/85: presentazione di valida domanda di
sanatoria, avvenuto pagamento di almeno due rate dell’oblazione, il che vuol dire che
l’immobile era senz’altro commerciabile” (così ricorso, pag. 13) e poiché “al momento della
stipula (…), e cioè il 17/9/1988, l’immobile non era certamente insanabile per come

(così ricorso, pag. 16); che invero “tali norme, se avessero voluto espressamente escludere

l’ammissibilità di domande di sanatoria nelle zone A del D.M. Gui Mancini, ben avrebbero
potuto espressamente escluderle” (così ricorso, pag. 16), sicché non prevedevano
“differenziazioni di zone vincolate” (così ricorso, pag. 16), ma semmai specificavano “la
necessità di andare a rideterminare e individuare i confini ed i relativi vincoli da imporre sul
territorio” (così ricorso, pag. 16); che in ogni caso unicamente con la legge regionale n. 20 del
3.11.2000 si è provveduto alla perimetrazione e regolamentazione del parco archeologico di
Agrigento ed alla data di proposizione del ricorso a questa Corte “il Comune di Agrigento e la
Sopraintendenza ai BB.CC.AA. non hanno ancora esitato la domanda di sanatoria proposta
dal venditore Chiodo e, pertanto, il procedimento è tuttora pendente” (così ricorso, pagg. 18

19).

Il motivo è immeritevole di seguito.
E’ fuor di discussione, nella fattispecie, che l’opera edilizia de qua agitur è stata realizzata
senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire, che è stata edificata nella
zona “A” del comune di Agrigento, gravata, a norma del d.m. 15.5.1968 e succ. modific., da
un preesistente vincolo di inedificabilità assoluta a tutela di interessi ambientali ed
archeologici, che è stata ultimata nell’anno 1976 (05-. ricorso, pag. 2).
Su tale scorta, e contrariamente a quanto assumono i ricorrenti, l’opera per cui è

controversia soggiace alle previsioni degli artt. 31, 32 e 33 della legge 28.2.1985, n. 47

8

espressamente previsto dai citati artt. 25 e 26 della L.R. 37/1985, ma semmai il contrario”

(articoli non abrogati dall’art. 136 d.p.r. 6.6.2001, n. 380, e rimasti in vigore ai sensi
dell’art. 137 del medesimo d.p.r.).
Segnatamente, e conformemente a quanto affermato dalla corte palermitana, alla
previsione dell’art. 33 cit. che, in deroga alla generale possibilità di sanatoria ex art. 31 cit.

le altre, le opere eseguite in contrasto con preesistenti vincoli imposti da leggi statali e
regionali nonché da strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici,
archeologici, paesistici, ambientali e idrogeologici.
In questo quadro non solo non rileva nel caso di specie la previsione dell’art. 17 della
legge n. 47/1985, articolo peraltro abrogato ex art. 137, 2° co., lett. f), d.p.r. n. 380/2001, ma
va senz’altro condivisa l’affermazione della corte distrettuale, alla cui stregua “la disciplina
dell’art. 40 1. 47/85 non legittima, invece, i trasferimenti di beni realizzati in contrasto con
vincoli di inedificabilità assoluta” (così sentenza d’appello, pag. 7).
In questo quadro va specificato inoltre che non si è acquisito riscontro dell’avvenuta
emanazione né evidentemente del relativo contenuto del decreto del presidente della Regione
Sicilia da emanarsi ai sensi dell’art. 25 della legge regionale siciliana n. 37/1985 diretto a
definire i confini del parco archeologico di Agrigento.
Più esattamente, si rimarca al riguardo che nella memoria ex art. 378 c.p.c., depositata in
data 17.3.2015, i ricorrenti — a pag. 4 – così testualmente si esprimono: “in virtù della predetta
norma del legislatore regionale è verosimile che l’emanando provvedimento legislativo
regionale renderà ammissibile la domanda di concessione in sanatoria per le costruzioni
eseguite in zona vincolata”.
In questo quadro va puntualizzato ancora che non può che ribadirsi l’affermazione della
corte d’appello, secondo cui “a nulla vale considerare (…) l’eventualità di una futura modifica

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delle opere ultimate entro la data del l° ottobre 1983, reputa non suscettibili di sanatoria, tra

del vincolo di inedificabilità ad opera del decreto del Presidente della Regione” (così sentenza
d’appello, pag. 9).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (art. 360, 3° comma c.p.c. in relazione agli artt. 1337 c.c., 1338 c.c., 1224 c.c., 1470

elemento controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, 5° comma c.p.c.)” (così ricorso, pag.
19).

Adducono che la corte di merito, nel respingere le domande di essi ricorrenti, “legittima
un soggetto che ha operato in mala fede e penalizza oltremodo i ricorrenti acquirenti che
invece hanno operato ed acquistato in perfetta buona fede” (così ricorso, pag. 20); che,
viceversa, la corte “avrebbe dovuto (…) motivare (…), ponendo a base del proprio
convincimento tutto il comportamento tenuto dalle parti, dalla stipula del preliminare alle fasi
successive” (così ricorso, pag. 20); che “la buona fede degli acquirenti è (…) dimostrata dalla
mancata sottoscrizione di controscritture di garanzia o all’apposizione di condizioni
sospensive o risolutive nell’atto pubblico di compravendita” (così ricorso, pag. 21); che
ulteriore conferma della buona fede degli acquirenti “è data dal fatto che (…) hanno realizzato
nel tempo opere interne di completamento e migliorie, a dimostrazione che nessuna riserva o
preoccupazione potevano avere in ordine alla piena legittimità e validità dell’atto” (così
ricorso, pag. 21); che da ciò deriva il diritto di essi ricorrenti al riconoscimento delle spese e

al risarcimento dei danni per la perdita dell’immobile, da liquidarsi secondo il valore di
mercato; che inoltre “ha errato la Corte nel non ritenere ammissibile la ritenzione
dell’immobile fino all’effettivo integrale pagamento della somma dovuta ai ricorrenti” (così
ricorso, pag. 21).

Il motivo non merita seguito.

10

c.c., 1362 c.c., 1152 c.c.), nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un

Si premette che il motivo in disamina si specifica e si qualifica essenzialmente — se non
esclusivamente – in relazione alla previsione del n. 5) del 1° co. dell’art. 360 c.p.c..
Ai fini invero della testé compiuta qualificazione occorre tener conto, da un lato, che col
motivo de quo si sollecita sostanzialmente questa Corte, sulla scorta di un preteso migliore e

indotto la corte di merito a rigettare l’appello incidentale condizionato che gli attuali ricorrenti
hanno a tempo debito esperito (“la Corte di appello (…) ritiene che i ricorrenti fossero a
conoscenza della causa di invalidità e pertanto non potessero invocare la responsabilità della
controparte”: così ricorso, pag. 20); dall’altro, che è il vizio di motivazione denunciabile

come motivo di ricorso ex art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. che concerne propriamente
l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr.
Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Il motivo, dunque, involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di
valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto
convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c..
E, pertanto, si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una
nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr.
Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto
ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e coerente sul
piano logico – formale.
Si rappresenta in particolare che la corte non solo ha specificato che nell’atto pubblico di
compravendita era espressamente indicato che l’immobile era stato costruito senza
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più appagante coordinamento dei dati acquisiti, a rivalutare le circostanze “di fatto” che hanno

concessione ed insisteva nella zona “A” del territorio del comune di Agrigento, ma ha
ulteriormente soggiunto che la piena consapevolezza dell’acquirente in ordine allo stato
giuridico dell’immobile risultava “dalla scrittura privata depositata dal Chiodo il 27 giugno
1997 e contenuta nel fascicolo di ufficio di primo grado” (così sentenza d’appello, pag. 12).

censura da parte dei ricorrenti.

Si giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente grado di legittimità.
Tanto in dipendenza della carattere davvero paradossale della vicenda de qua.
Ambedue le parti in lite ambiscono ad acquisire e a garantirsi il frutto di un’attività
materiale senza dubbio connotata dallo stigma dell’illiceità.
Ambedue le parti in lite, evidentemente, confidano sull’inerzia dell’autorità competente
deputata alla demolizione di quanto eseguito in spregio ai prescritti divieti in un’area
archeologica indiscutibilmente “unica” nel suo genere.
Le ragioni che suggeriscono l’integrale compensazione rendono vana la delibazione
dell’eccezione di improcedibilità del controricorso.
In ogni caso si evidenzia, per un verso, che l’art. 370, 2° co., c.p.c. richiama
esclusivamente gli artt. 365 e 366 c.p.c., non già l’art. 369, Pco., c.p.c.; per altro verso, che
l’art. 370, 3° co., c.p.c. non prefigura il deposito in cancelleria del controricorso entro venti
giorni dal dì della notificazione a pena di improcedibilità, siccome, viceversa, l’art. 369, 1°
co., C.P.C..
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti in lite le spese del presente
grado di legittimità.

12

E, si badi, siffatti specifici passaggi motivazionali non sono stati fatti segno di alcuna

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

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