Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12584 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35745-2018 proposto da:

G.C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 48, presso lo STUDIO PROFESSIONALE

NATALI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO FAZI;

– ricorrente –

contro

GI.PA., titolare dell’omonima Ditta Individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIAMPAOLO

ANTONELLI, MARIO CHIARINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1478/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSENTINO

ANTONELLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. Gi.Pa. proponeva opposizione avverso il decreto con il quale gli era stato ingiunto il pagamento in favore del sig. G.V.C., titolare della ditta MI.DA., della somma di Euro 17.801,37 oltre accessori, a titolo di saldo del prezzo della fornitura di vini di cui alla fattura accompagnatoria n. 5/2004 di complessivi Euro 29.261,37.

A fondamento dell’opposizione il sig. Gi. deduceva che l’importo complessivamente fatturato era maggiore di quello effettivamente dovuto – giacchè le parti avevano concordato la riduzione del prezzo in ragione della incommerciabilità di una parte la fornitura – e che l’importo effettivamente dovuto era stato interamente pagato per assegni in contanti, come da dichiarazione di quietanza sottoscritta dal venditore, sig. G., sulla copia della fattura rimasta in mano all’opponente.

Il tribunale di Macerata rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo con vittoria di spese.

La Corte di appello di Ancona, adita con l’impugnazione del sig. Gi., ribaltava la decisione di prime cure e, in accoglimento dell’appello, revocava il decreto ingiuntivo opposto.

La Corte distrettuale, dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dal sig. G., ha valorizzato le dichiarazioni delle testimoni F. e V. ha ritenuto che il senso letterale della quietanza sottoscritta dal venditore confermasse l’integrale soddisfacimento della controprestazione dovuta, indipendentemente dall’effettiva corrispondenza di quanto fatturato a quanto realmente corrisposto secondo successivi accordi; secondo il Giudice di secondo grado “la quietanza riportata espressamente sulla fattura n. 5 appare del tutto compatibile, in via logica, con le esigenze di finire il pagamento della specifica fornitura in vista di una regolarizzazione contabile dello sconto praticato attraverso una nota di credito” (pag. 5, terzultimo capoverso).

Il sig. G. ha impugnato per cassazione la sentenza di appello sulla scorta di sei motivi.

Gi.Pa. ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2020, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per omissione della motivazione con conseguente nullità della sentenza – error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 Il ricorrente lamenta l’impossibilità di comprendere il procedimento logico compiuto nella decisone assunta dalla Corte di appello ed i principi di diritto ai quali si sarebbe fatto riferimento. In particolare, nel mezzo di ricorso si lamenta l’assoluta incomprensibilità ed estraneità ai fatti di causa della motivazione dell’impugnata sentenza.

Il motivo non può trovare accoglimento. E’ vero che il percorso motivazionale si presenta non lineare là dove, prima, richiama la

testimonianza F. – confermativa della circostanza che “il prezzo dei vini indicato dal G. nella fattura n. 5 era maggiore di quello concordato” (pag. 4, rigo 2, della sentenza) – e, poi, richiama le testimonianze che riferiscono di uno sconto del 50% proposto dal G. al Gi., successivamente alla fatturazione, “in considerazione della verificata incommerciabilità di alcune unità di prodotto” (pag. 4, righi 13 e segg., della sentenza). Nonostante tale incertezza argomentativa, tuttavia, la ratio decidendi risulta esposta con sufficiente chiarezza là dove la corte territoriale fa riferimento ad “accordi intervenuti successivamente all’emissione delle fatture”, in ragione dei quali la quietanza del G. era stata rilasciata “in vista di una regolarizzazione contabile, mai avvenuta” (pag. 5, righi 4 e segg., della sentenza). La corte di appello ha quindi rispettato il “minimo costituzionale” della motivazione, sia in punto di ammissibilità dell’appello, dando atto delle ragioni del rigetto dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellato, sia in punto di fondatezza dello stesso, spiegando perchè ha ritenuto satisfattivo il pagamento di un importo inferiore a quello fatturato.

Con il secondo motivo di ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 342 c.p.c. per omessa dichiarazione di inammissibilità dell’appello. Sostiene il ricorrente che l’appello promosso dal Gi. doveva dichiararsi inammissibile in quanto sfornito degli elementi richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 342 c.p.c.. Il motivo va giudicato infondato. L’appello non può ritenersi inammissibile, alla stregua del principio, più volte affermato da questa Corte (tra le tante, Cass. 13535/18) che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Con il terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulle eccezioni di inammissibilità dell’atto di appello. In particolare, il sig. G. afferma che la Corte territoriale non avrebbe preso espressamente posizione sulle singole eccezioni dallo stesso formulate in sede di gravame, ma si sarebbe limitata ad una pronuncia generica. Il motivo non ha pregio, perchè la Corte di appello si è pronunciata espressamente sull’eccezione di inammissibilità dell’appello, rigettandola, a pag. 3, quarto capoverso, della sentenza.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c. in cui il giudice dell’appello sarebbe incorsa non ponendo a fondamento della decisione le prove in atti e, precisamente, la fattura accompagnatoria firmata dal destinatario della merce posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto. Anche questo motivo va giudicato infondato, alla luce del principio che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. 1229/19).

Con il quinto motivo di ricorso, riferito al vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2702 c.c. – efficacia probatoria della scrittura privata riconosciuta, il ricorrente argomenta che la fattura accompagnatoria, essendo stata firmata dal sig. Gi. con sottoscrizione mai dal medesimo disconosciuta, si sarebbe dovuta considerare come una prova legale e, quindi, facente piena prova fino a querela di falso. Il motivo va disatteso perchè non risulta pertinente alla ratio decidendi. La Corte d’appello, infatti non ha messo in discussione il fatto che la merce risultante dalla fattura quietanzata fosse stata ricevuta dall’acquirente, nè ha messo in discussione il fatto che il prezzo indicato in tale fattura fosse stato concordato tra le parti, ma ha ritenuto che detto prezzo fosse stato concordemente modificato con patti successivi all’emissione della fattura; patti dei quali la Corte distrettuale – con giudizio di fatto non censurabile se non con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha ritenuto raggiunta la prova sulla base di una valutazione complessiva delle convergenti risultanze della prova testimoniale e della dichiarazione di quietanza firmata dal G..

Con il sesto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione dell’art. 2722 c.c. in cui la Corte dorica sarebbe incorsa nel giudicare ammissibile, e quindi utilizzare ai fini della formazione del proprio convincimento, una prova testimoniale contraria ad documento scritto. In particolare, il ricorrente sottolinea come la Corte di appello avrebbe valorizzato una prova testimoniale raccolta in primo grado (che peraltro si risolveva nella mera conferma, da parte dei testi, di dichiarazione dei medesimi resi in altri procedimenti) da considerarsi in ogni caso

inammissibile perchè contraria alla fattura quietanzata dall’opponente.

Il sesto mezzo va giudicato inammissibile, giacchè il ricorrente non si cura di precisare se (ed in quale atto ed in quali termini) abbia eccepito, prima dello sfogo della prova testimoniale, la relativa di inammissibilità e, dopo lo sfogo della stessa, la relativa nullità. Come questa Corte non ha mancato di chiarire, infatti, l’inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all’atto, o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, l’una eccezione, quella d’inammissibilità, non dovendo essere confusa con l’altra, quella di nullità, nè potendo ad essa sovrapporsi, perchè la prima eccezione opera “ex ante”, per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce “ex post”, per evitare che i suoi effetti si consolidino (cfr. Cass. 21443/13).

Sotto altro aspetto, il sesto motivo è altresì inammissibile perchè non si misura con l’affermazione della sentenza secondo cui il patto sul prezzo che formava oggetto della prova era successivo a quello concluso tra le parti prima dell’emissione della fattura.

Il ricorso va in definitiva rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre ad Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 25 giugno 2020

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