Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12584 del 18/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/05/2017, (ud. 30/11/2016, dep.18/05/2017),  n. 12584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22763-2015 proposto da:

A.A., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente incidentale –

contro

A.A., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti all’incidentale –

avverso il decreto n. cron. 4445/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

emesso e depositato il 24/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 7.1.2011 gli odierni ricorrenti adivano la Corte d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, per la durata irragionevole di una procedura fallimentare instaurata innanzi al Tribunale di Napoli nel 1993 ed ancora pendente, ai cui stato passivo erano stati ammessi per il recupero dei loro crediti da lavoro dipendente verso la società fallita.

Resistendo il Ministero della Giustizia, la Corte d’appello, con decreto depositato il 24.3.2015, stimata la durata ragionevole della procedura in sette anni, liquidava in favore di ciascun ricorrente somme differenziate, secondo la data della domanda di ammissione allo stato passivo, limitato l’indennizzo all’importo del credito ammesso ed escluse le frazioni di tempo inferiori a sei mesi, utilizzando in ogni caso un moltiplicatore annuo di Euro 550,00 per i primi tre anni e di Euro 600,00 per ogni anno successivo. Osservava, inoltre, che ai fini della liquidazione dell’indennizzo non rilevava se i ricorrenti avessero o non esperito l’azione nei confronti del Fondo di Garanzia presso l’INPS, non avendo l’amministrazione resistente prodotto documentazione idonea al riguardo, e si richiamava espressamente a Cass. n. 26421/09 circa il non condizionamento dell’indennizzo ex lege Pinto dall’azione del lavoratore nei confronti del predetto Fondo.

La cassazione di tale decreto è chiesta dai ricorrenti di cui in epigrafe, sulla base di due motivi.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso e ricorso incidentale, cui, a loro volta, i ricorrenti resistono con controricorso.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – E’ preliminare l’esame del ricorso incidentale.

1.1. – Col primo motivo il Ministero deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè degli artt. 75 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360c.p.c., n. 3, perchè il decreto impugnato sarebbe del tutto omissivo sull’eccezione del Ministero circa l’effetto ampiamente riduttivo (se non elisivo) dell’intervento surrogatorio del Fondo di Garanzia presso l’INPS. Tenuto conto che dalla narrativa del ricorso emergeva che i crediti avevano ad oggetto esclusivamente il TFR, l’intervento surrogatorio del predetto Fondo aveva determinato il venire meno della legittimazione attiva dei ricorrenti.

1.1.1. – Il motivo è infondato.

Secondo la sentenza n. 26421/09 di questa Corte, espressamente richiamata nel decreto impugnato, il mancato esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali di cui alla L. n. 297 del 1982 ed al D.Lgs. n. 80 del 1992 non condiziona l’insorgenza del diritto all’indennizzo, ai fini della quale è sufficiente la prova del fallimento del datore di lavoro e dell’ammissione del credito al passivo, potendo invece rilevare in sede di liquidazione dell’indennizzo, così da giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo indicato dalla CEDU, ma l’onere di provare detta inerzia compete all’Amministrazione, al fine di argomentare da essa la minore penosità dell’attesa per la definizione del processo.

Nella specie, il Ministero ricorrente lamenta l’omesso esame non d’un fatto specificamente allegato al fine di modulare l’indennizzo in rapporto al paterna sofferto, ma della mera difesa sulla possibilità del fatto stesso, la cui decisività ai fini della controversia resta, in definitiva, dedotta in via di mera ipotesi.

2. – Col secondo motivo si lamenta l’omessa “motivazione” su di un fatto decisivo e discusso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte territoriale avrebbe esaminato la posizione originaria dei ricorrenti, valutandola in senso statico e senza considerare gli sviluppi della procedura.

2.1. – Il motivo è inammissibile per la sua totale genericità. Anche in tal caso parte ricorrente si limita a prospettare temi potenzialmente rilevanti senza tuttavia dimostrane minimamente la decisività nel caso specifico.

3. – Col primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione del L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, e art. 6, par. 1 CEDU, in relazione al n. dell’art. 360 c.p.c., nel senso che, si sostiene, le frazioni di tempo inferiori a sei mesi sarebbero irrilevanti, nella giurisprudenza di questa Corte precedente alle modifiche apportate alla legge Pinto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, quando solo per esse sia stato superato il termine ragionevole di durata del processo presupposto, non anche nei casi in cui tale scostamento sia già considerevole.

3.1. – Il motivo è infondato.

La liquidazione dell’indennizzo è operata sempre su base prettamente equitativa (non a caso la legge parla di “equa riparazione”), e dunque anche nel sistema pregresso era lecito non considerare le frazioni di tempo inferiori a sei mesi. Il che, va aggiunto, non contrasta con la giurisprudenza della Corte EDU, che in effetti è solita liquidare gli indennizzi in cifra arrotondata per anno.

4. – Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e art. 6, par. 1, 13, 19, e 53 CEDU e 24 e 111 Cost., in quanto l’indennizzo sarebbe stato liquidato in maniera non con forme agli standard elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU, senza tener conto delle concrete circostanze individuali e con riduzione, per vari dei ricorrenti, della somma spettante fino a concorrenza del credito ammesso.

4.1. – Il motivo è fondato solo nei sensi e nei limiti di cui appresso.

4.1.1. – Va escluso che il moltiplicatore annuo applicato dalla Corte territoriale sia in sè illegittimo. Ed infatti, in tema di equa riparazione da irragionevole durata del processo fallimentare, per il quale il creditore non abbia neppure dimostrato di aver manifestato nei confronti degli organi della procedura uno specifico interesse alla definizione della stessa, è congrua la liquidazione dell’indennizzo nella misura solitamente riconosciuta per i giudizi amministrativi protrattisi oltre dieci anni, rapportata su base annua a circa Euro 500,00, dovendosi riconoscere al giudice il potere, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, di discostarsi dagli ordinari criteri di liquidazione dei quali deve dar conto in motivazione (v. Cass. n. 16311/14).

4.1.2. – Piuttosto, nel limitare l’equa riparazione all’ammontare del credito ammesso, quanto ai ricorrenti elencati nella tabella di cui a pag. 6 del decreto impugnato, la Corte capitolina richiama la L. n. 89 del 2001, art. 2 – bis, comma 3, come inserito dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012; e pur affermando che tale norma non sia applicabile direttamente alla fattispecie perchè successiva all’instaurazione del giudizio (il ricorso è stato deposito il 7.1.2011), ritiene tuttavia che essa costituisca un utile parametro orientativo. Di qui il contenimento dell’indennizzo, per i suddetti ricorrenti, entro il valore dei rispettivi crediti ammessi al concorso.

Tale decisione, però, non considera che la giurisprudenza di legittimità formatasi prima della ridetta modifica legislativa era indirizzata in senso opposto. Pur ammettendo che la modestia della posta in gioco consentisse di discostarsi dai parametri elaborati dalla Corte EDU (v. Cass. nn. 15268/11 e 12937/12), i precedenti di questa Corte non consentivano di assumere valore della causa presupposta come limite massimo, id est non ammettevano che detto valore potesse fare premio anche sulla durata del ritardo, in maniera tale da impedire riparazioni eccedenti (v. Cass. n. 17682/09), salvo i casi (ma non è questa l’ipotesi) di giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi (v. Cass. n. 633/14).

Ne deriva l’inapplicabilità al pregresso, anche soltanto nel senso “orientativo” cui si è riferita la Corte territoriale, delle disposizioni di cui al D.L. cit., che non hanno natura di interpretazione autentica nè efficacia retroattiva, ma si applicano solo ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (v. Cass. n. 19897/14).

5. – Per le considerazioni svolte il decreto impugnato va cassato in relazione a tale solo motivo, con rinvio, anche per le spese di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale, nel quantificare nuovamente l’indennizzo spettante ai ricorrenti meglio specificati nella tabella di cui alla pag. 6 del decreto stesso, si atterrà al principio di diritto appena richiamato.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, respinte le altre censure e il ricorso incidentale, e cassa il decreto impugnato con rinvio, anche per le spese di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sesta sezione civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2017

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