Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12583 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32028-2018 proposto da:

B.R., G.E.D., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA ANTONIO VIVALDI 15, presso lo studio dell’avvocato

MARIADOLORES FURLANETTO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANNALISA BARATTO;

– ricorrenti –

contro

V.D.M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 84, presso lo studio dell’avvocato LAURA RUFINI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il

17/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSENTINO

ANTONELLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

La sig.ra V.d.M.E. vendeva un immobile di sua proprietà ai sigg.ri B.R. e G.E.D. dichiarando che non erano mai stati posti in essere interventi edilizi abusivi o che necessitassero di autorizzazione amministrativa.

Dopo l’acquisto, gli acquirenti depositavano presso il Comune di Torino la denuncia di inizio attività per procedere alla ristrutturazione del bene.

L’ufficio tecnico comunale non autorizzava l’intervento richiesto con la DIA per non conformità dello stato dei luoghi alla documentazione esistente, attesa la mancata autorizzazione per la realizzazione di una soletta in calcestruzzo presente nell’immobile.

Successivamente, la Direzione Opere Pubbliche della regione Piemonte intimava ai proprietari di presentare entro sessanta giorni un progetto strutturale in sanatoria con relazione di calcolo e collaudo statico. Veniva, quindi, rilasciato il permesso di costruire in sanatoria previo pagamento della sanzione amministrativa prevista.

I sigg.ri B.R. e G.E.D. inviavano quindi alla sig.ra V.d.M. una formale diffida, chiedendo il risarcimento del danno subito, e, rimasta la diffida inesitata, convenivano costei davanti al Tribunale di Torino per sentirne accertare l’inadempimento contrattuale e per sentirla condannare alla refusione dei danni ammontanti complessivamente ad oltre Euro 24.000, di cui 16.854,87 a titolo di danno emergente (costo della DIA respinta, degli accertamenti documentali fatti eseguire, della pratica di sanatoria ultimata su richiesta della Direzione Opere Pubbliche della regione Piemonte).

La sig.ra V.d.M. si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la decadenza degli attori dal diritto di garanzia e l’intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria.

Il Tribunale di Torino, riconducendo la fattispecie all’ipotesi di mancanza di qualità essenziali della cosa venduta ex art. 1497 c.c., accoglieva l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta e, pertanto, rigettava la domanda degli attori.

La Corte d’appello di Torino, adita con l’impugnazione dei sigg.ri B. e G., dichiarava l’appello inammissibile ex art. 348 bis c.p.c. ritenendo il medesimo non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto.

Avverso suddetta pronuncia ricorrono per cassazione i sigg.ri B.R. e G.E.D. sulla scorta di tre motivi.

L’intimata ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata alli adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2020 per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e dell’art. 1495 c.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Mediante questo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che gli acquirenti sarebbero stati in grado già al momento della consegna del bene di rilevare, alla stregua degli obblighi di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., l’abuso edilizio ed il conseguente danno. Tale assunto, secondo parte ricorrente, sarebbe erroneo in quanto l’effettiva conoscibilità dell’abuso sarebbe stata possibile solo dopo la determinazione della Divisione Urbanistica ed Edilizia Privata della città di Torino, formatasi in data successiva di ben venticinque mesi alla consegna dell’immobile.

Conseguentemente, il danno si sarebbe manifestato nel momento in cui la parte venditrice si era rifiutata di apporre rimedio all’abuso edilizio in prima persona e, successivamente, di rimborsare quanto speso dagli acquirenti per procedere alla regolarizzazione.

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza della corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che gli acquirenti avrebbero dovuto in ogni caso conoscere l’esistenza di un abuso edilizio nell’immobile acquistato alla stregua degli obblighi di ordinaria diligenza di cui al suddetto articolo.

In particolare, i ricorrenti sostengono che l’art. 1176 c.c. non sarebbe stato correttamente richiamata dalla Corte di appello, in quanto il medesimo si riferirebbe al comportamento da tenere nell’adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto obbligatorio quali, nel caso di specie, il pagamento del prezzo e, d’altro lato, la consegna del bene – e non anche ad ulteriori obblighi a carico dell’acquirente.

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione dell’art. 2946 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1497 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che la corte di appello avrebbe erroneamente esteso il termine di prescrizione di cui agli artt. 1497 e 1495 c.c. all’azione di risarcimento per danni. Sostengono, infatti, i ricorrenti che la domanda di risarcimento dei danni, non espressamente richiamata dall’art. 1497 c.c., doveva considerarsi sottoposta al regime di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..

Il ricorso è inammissibile in quanto è stato proposto contro l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. della Corte di appello, invece che contro la sentenza del tribunale; senza che, tuttavia, le censure – sopra analiticamente riportate – investano vizi propri dell’ordinanza (SSUU 1914/16).

Le argomentazioni svolte nella memoria depositata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., secondo le quali l’impugnata ordinanza sarebbe ricorribile per cassazione perchè “per 13 pagine disserta e argomenta in fatto e in diritto modificando e ampliando le motivazioni del giudice di prime cure” (pag. 2, primo capoverso) non possono trovare raccoglimento alla luce del più recente orientamento di questa Corte, alla cui stregua “è inammissibile il ricorso per cassazione, con il quale si contesti un error in judicando, contro l’ordinanza ex artt. 348 bis e ter c.p.c., motivata con la formulazione del giudizio prognostico di manifesta infondatezza nel merito dell’appello, per il sol fatto che essa, pur condividendo le ragioni della decisione appellata, contenga anche proprie argomentazioni, diverse da quelle prese in considerazione dal giudice di primo grado, perchè tale possibilità è consentita dall’art. 348 ter c.p.c., comma 4, che permette, in tal caso, l’impugnazione della sentenza di primo grado per vizio di motivazione, facoltà esclusa qualora le ragioni delle decisioni di primo e secondo grado siano identiche quanto al giudizio di fatto”; conf. Cass. 23334/19.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 25 giugno 2020

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