Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12580 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 21/05/2010), n.12580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – rel. Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 25670 R.G. 2008, proposto da:

MILENA CONFEZIONI S.p.a., in persona del rappresentante legale pro

tempore, rappresentata e difesa, con procura in calce al ricorso,

dagli avvocati VIRGILLO Claudio e Domenico CAVALIERE, domiciliatario

in Roma, alla Via Corvisieri 46;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliataria in Roma, alla Via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana in data 11 dicembre 2007, depositata col n.

103/31/07 il 22 gennaio 2008.

Udita lai relazione della causa del Dott. Papa;

sentiti gli avvocati Domenico Cavaliere per la ricorrente e Giuseppe

Albenzio per la controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Milena Confezioni S.p.a., destinataria di merci non comunitarie importate a seguito di immissione in “libera pratica” dopo l’introduzione in un deposto fiscale IVA, impugnò gli avvisi di accertamento (n. 7953 del 14 aprile 2006, n. 8335, 8405, 8406, 8407 del 21 aprile 2006, n. 8429, 8465 del 24 aprile 2006, e n. 8495, 8499, 8510, 8512, 8519 e 8534 del 26 aprile 2006) con cui – a seguito di accesso dell’Agenzia delle Dogane, Ufficio di Arezzo – era stato disposto il recupero dell’IVA all’importazione per complessivi Euro 196.642,45, sul presupposto dell’inapplicabilità del beneficio dell’esclusione dall’imposta di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4), stante la introduzione solo virtuale – e non effettiva – della merce nel predetto deposito.

Oppose invero: 1) l’incompetenza della dogana, per essere competente l’Agenzia delle entrate, in quanto l’esenzione definitiva dall’imposta, prevista dalla legge, non avrebbe consentito il recupero a posteriori dei diritti doganali; 2) la violazione dei principi della tutela dell’affidamento e della buona fede (L. n. 212 del 2000, art. 10), giacchè il deposito era stato esercitato senza problemi dal 2000 e controllato nel 2002, con conferma da parte della Dogana della sua regolare gestione; 3) l’assolvimento, in ogni caso, dell’imposta, perchè l’utilizzatore doveva corrisponderla mediante autofatturazione, la cui base imponibile era costituita dal corrispettivo o dal valore dell’operazione effettuata al momento dell’introduzione in deposito della merce.

La Commissione tributaria provinciale di Arezzo, sulla resistenza dell’Agenzia delle Dogane, respinse il ricorso.

2.- La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello della Società, osservando che: 1) non risultava applicabile la L. n. 212 del 2000, art. 10, mancando la prova che la Società si fosse conformata ad indicazioni contenute in atti della p.A., dato che le ispezioni erano avvenute con finalità diverse e che solo nel 2004 il controllo era stato esteso al deposito IVA; 2) quanto al merito, l’affermazione dell’Ufficio era supportata da prova certa, rappresentata dall’esiguo volume del magazzino, del tutto insufficiente ad accogliere la merce risultante dai documenti doganali (IM4/LP); 3) il rigetto dell’eccezione d’incompetenza della Dogana andava confermato, poichè essa presupponeva l’avvenuta introduzione della merce nel magazzino;

4) dato che l’inottemperanza alle prescrizioni dell’art. 50 bis fa venir meno il regime agevolato, non si è avuta duplicazione d’imposta, ma recupero dell’IVA non corrisposta alla dogana, una volta accertata l’irregolarità nella introduzione della merce e nella successiva estrazione, giacchè, proprio a cagione della irregolarità, l’importazione si era trasformata in definitiva, con corrispondente obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione.

3.- La Società propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

4.- La parte erariale resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5.- I motivi di ricorso sono prospettati come segue.

5.1.- “Insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”: sotto tale profilo, il giudice a quo avrebbe inadeguatamente motivato sulla questione di merito, ritenendo – sulla scorta della tesi della Dogana – la prova certa della mancata introduzione delle merci in deposito sulla base della esiguità delle dimensioni del magazzino, senza considerare la prospettazione secondo cui l’introduzione e la susseguente estrazione sarebbero avvenute in maniera frazionata, con onere di prova contraria gravante sull’ente accertatore.

5.2.- “Violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b) e comma 8 – del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 – del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11: art. 360 c.p.c., nn. 2 e 3”: da un lato, la ricorrente ripropone la questione dell’incompetenza della Dogana e, dall’altro – ed, in realtà, correlativamente -, sostiene che l’imposta da recuperare si configura come IVA interna, e non come IVA alla importazione, così da non consentire il recupero del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 70. In relazione a tanto, formula il seguente quesito di diritto: “se una volta che sia stato definito positivamente l’accertamento sulla correttezza delle procedure espletate ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, ed invece successivamente, sulla base della documentazione contabile, l’Ufficio doganale ritenga, ai sensi del suddetto art. 50 bis, che il beneficio ottenuto dalla ditta importatrice del differimento dal pagamento dell’imposta non avrebbe potuto essere concesso, l’Agenzia delle Dogane sia competente ad instaurare il procedimento di revisione D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11, ed al conseguente recupero dell’IVA all’importazione del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 70, ovvero il procedimento di accertamento appartenga alla competenza dell’Agenzia delle Entrate”.

5.3.- “Violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 – Insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”: per tale via la ricorrente censura la sentenza impugnata, per avere, illegittimamente e con incongrua motivazione, respinto la questione riguardante la violazione, da parte dell’Ufficio, del principio del legittimo affidamento.

5.4.- “Violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 6, nonchè del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 1, e art. 70, comma 1: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”:

riproponendo la tesi della duplicazione d’imposta, la ricorrente chiede di verificare “se concretizzi duplicazione di imposizione connessa con la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 6, nonchè con la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 e art. 70, comma 1, il recupero dell’IVA all’importazione derivante dall’annullamento del beneficio del differimento del pagamento del tributo allorchè l’IVA dovuta per le operazioni eseguite di immissione delle merci in libera pratica sia stata già corrisposta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17”.

Con tale impostazione, sostiene che potrebbe al più ipotizzarsi un pagamento differito, implicante un recupero di interessi e, se dovute, di sanzioni.

5.5.- Con la memoria ex art. 378 c.p.c., infine, la Società ricorrente chiede l’applicazione della regola di ius superveniens derivante dal D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5 bis, come convertito dalla L. n. 2 del 2009, secondo cui “la D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis, comma 4, lett. h), convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative ai beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA”. Sostiene che l’interpretazione autentica così effettuata verrebbe a superare la tesi restrittiva offerta dall’amministrazione doganale nel caso in esame; e ne fa discendere che “le operazioni doganali della specie, anche se effettuate in locali limitrofi ai depositi IVA, equivalgono alla effettiva introduzione delle merci nei depositi stessi”.

6.- Il ricorso non può essere accolto.

6.1.- Il primo motivo è inammissibile. La ragione di fondo della inammissibilità è ravvisabile nel fatto della mancanza del “momento di sintesi”, necessario in luogo del quesito di diritto, allorquando si verta in tema di vizio della motivazione (Cass., 3^, 16002/2007;

5^, 2697 e 3441/2008). Ma inammissibilità del motivo sussiste anche se si consideri che il giudice a quo ha ragionevolmente fondato il proprio convincimento sulla “assoluta inidoneità del magazzino a contenere i quantitativi di merce che la documentazione portava in deposito IVA”, a fronte del quale costituisce mera asserzione di merito, non idonea a configurare il vizio denunciato, il persistente richiamo ad operazioni frazionate secondo cui, “una volta pervenuto l’automezzo presso il deposito doganale, tramite un muletto veniva scaricata parte della merce ed introdotta nel deposito, quindi assunta in carico dalla Sped.In S.r.l. (esercente il deposito) nel registro ed immediatamente estratta, dal deposito e ricaricata sul camion, e così più volte fino all’esaurimento della merce”, giungendo persino ad ipotizzare un implicito accordo con i funzionari della Dogana su tali modalità: ricorso, p. 9, in relazione a cui, per giunta, l’onere della prova incombeva sulla contribuente, trattandosi di prospettata vicenda modificativa della pretesa erariale.

6.2.- La seconda censura non è fondata.

La ricorrente costruisce come “differimento” del pagamento dell’imposta un beneficio “sono effettuate senza pagamento dell’imposta” che presuppone la correttezza della introduzione del deposito IVA, con l’effetto (art. 50 bis, comma 4, lett. h) cit.) della “immissione in libera pratica di beni non comunitari”, laddove è evidente che il beneficio concerne l’IVA all’importazione, ed il venir meno di esso non si ripercuote in alcun modo sull’IVA (interna) che grava sull’operazione successiva. Cosicchè la risposta al quesito, ancorchè negativa, è superata dal rilievo per cui, versandosi in materia di recupero dell’IVA all’importazione, assimilata ai diritti di confine, il procedimento non può che seguire la disciplina del codice doganale, restando affidato alla competente Agenzia delle dogane (Cass., 5^, 12333/2001, 10789/2006), che correttamente lo ha, pertanto, osservato, secondo la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11.

6.3.- Inammissibile si rivela anche il terzo mezzo di cassazione.

Oltre che carente della enunciazione del quesito di diritto, la censura non scalfisce l’accertamento di merito, di segno contrario, contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui “non è stata fornita la prova che l’appellante si sia conformata, ad indicazioni dell’A.F.; nè risulta che la stessa amministrazione abbia commesso errori od omissioni direttamente collegati alla condotta della società, tenuto conto del fatto che le ispezioni al magazzino erano state eseguite per finalità diverse e che l’ufficio solo nel 2004 ha esteso il controllo al deposito IVA. La società ha quindi addotto una motivazione derivante da mere congetture non confortate da alcun elemento probatorio”. L’accertamento di merito, correttamente condotto e congruamente motivato, non consente dunque di evidenziare alcun errore dell’Ufficio, tale da indurre la contribuente (secondo il criterio enunciato in Cass., 5^, 5342/2006) ad utilizzare il deposito nella singolare maniera dalla stessa prospettata.

6.4.- Pure l’ultima censura è priva di fondamento. Non è in realtà configurabile la dedotta duplicazione di imposta, non potendo l’avvenuto assolvimento, mediante autofatturazione, dell’IVA interna, compensare il mancato pagamento dell’IVA all’importazione. Basti considerare la diversità del sistema di accertamento dei due tributi, poichè l’IVA all’importazione è – come si è detto – diritto di confine che viene accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo (importazione), con riversamento di una quota parte alla Comunità europea, mentre l’IVA nazionale viene autoliquidata e versata in relazione alla massa di operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente ed inserite nella dichiarazione periodica. Quanto all’autofatturazione delle merci in uscita da un deposito IVA, trattasi di operazione “neutra”, di compensazione dell’IVA nazionale a debito con quella a credito.

L’introduzione della merce d’importazione nel deposito IVA costituisce dunque il presupposto per l’esenzione dall’IVA all’importazione su merci comunitarie, parificate dal Reg. CEE 2932/92 a merci non comunitarie immagazzinate (art. 98, lett. a, b del Codice Doganale Comunitario), fruenti dell’esenzione daziaria perchè vincolate al regime del deposito doganale, stabilito nell’autorizzazione. E poichè il presupposto per fruire di tale esenzione da dazi ed IVA è costituito proprio da quell’immagazzinamento, che nella specie non è avvenuto, consegue che, in difetto del presupposto, l’IVA all’importazione è dovuta.

6.5.- Nè sulla soluzione, negativa per il ricorrente, incide in alcun modo l’invocato ius superveniens: considerare non incidenti sulla introduzione in deposito le prestazioni di servizi (comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali) non interferisce sulla introduzione medesima, propriamente intesa: in locali limitrofi possono eseguirsi attività accessorie – senza incidenza negativa sull’introduzione -, ma non è dato equiparare ad essa una sistemazione “in locali limitrofi ai depositi IVA” (memoria, p. 2), perchè ciò equivarrebbe ad eliminare una seria e coerente nozione di deposito IVA. La conclusione appare del resto confermata dalla stessa relazione illustrativa alla norma di interpretazione autentica, evocata dalla difesa della contribuente nella discussione odierna: in essa – dettata dalla esigenza di consentire operazioni quali gli spostamenti dei containers nei porti italiani, sia per le necessarie operazioni di verifica sia in vista dei trasferimenti per far proseguire la merce verso la destinazione finale – si legge, infatti, che “nessuna violazione può rinvenirsi nell’ipotesi che le descritte semplici operazioni, per esigenze connesse alla funzionalità del deposito, vengano materialmente eseguite nei luoghi limitrofi ovvero adiacenti al deposito IVA”. Si tratta invero di operazioni ben diverse dalla introduzione/estrazione frazionate cui ha sempre fatto riferimento la ricorrente odierna (cfr. supra, n. 5.1 e 6.1), per sopperire alla insufficienza/inadeguatezza del deposito e, così, ad una situazione fin dall’origine contrastante con le risultanze documentali (cfr.

supra, n. 2.2).

6.6.- Onde, sotto tutti i prospettati profili di censura, il ricorso deve essere respinto.

6.7.- Nella novità delle questioni proposte si ravvisano giusti motivi di compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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