Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1258 del 23/01/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 1258 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 10764-2012 proposto da:
AGOSTINI ANGELA MARIA, elettivamente domiciliata

in

ROMA, PIAZZA DEI GIURECONSULTI 26, presso lo studio
dell’avvocato GUSTAVO MARIA FELLI, rappresentata e
difesa dall’avvocata PIERLUIGI SPADAVECCHIA giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

2014
3605

contro

COMUNE DI SANTA VITTORIA IN MATENANO, in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 44, presso lo studio

Data pubblicazione: 23/01/2015

dell’avvocato MARTA LETTIERI, rappresentato e difeso
dall’avvocato MARIA VITTORIA GIROTTI giusta delega a
margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 280/2011 della CORTE D’APPELLO

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott.
NICOLA DE MARINIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di ANCONA, depositata il 14/04/2011;

SVOLGIMENTO DELPROCESSO
Con sentenza del 14 aprile 2011, la Corte d’Appello di Ancona confermava la decisione
con cui il Tribunale di Fermo respingeva la domanda proposta da Angela Maria Agostini
per conseguire il risarcimento dei danni subiti per effetto della pluralità di condotte, assunte
come illecite e unitariamente qualificate come “mobbing”, poste in essere
dall’Amministrazione del Comune di Santa Vittoria in Matenano.
La pronuncia discende dall’aver la Corte territoriale escluso, rispetto alla condizione di

responsabilità dell’Ente datore, per essere quella condizione di disagio addebitata non solo
in via generale a tutti i soggetti coinvolti nel rapporto e, in particolare, a chiunque si
trovasse in posizione di preminenza nei suoi confronti/ma altresì senza specificarne la
motivazione, così da non consentire di escluderne un diverso e giustificato fondamento
motivazionale, come appare in relazione al denunciato “demansionamento,
depauperamento e annientamento professionale” che sembra piuttosto conseguire da una
indisponibilità della lavoratrice a collaborare nello svolgimento di compiti accessori, non
smentita dall’esposizione delle ragioni concrete, che non vanno oltre la ritenuta
prevaricazione, del rifiuto opposto, non potendo pertanto ritenersi assolto l’onere della
prova in ordine all’addebitabilità della condotta a dolo o colpa del datore e non ad una
situazione oggettiva (Ente di piccole dimensioni, con organico presumibilmente limitato
tenuto a rispondere ad incombenze varie riconducibile a responsabilità del datore
stesso, da escludersi anche sotto il profilo dell’inadempimento dell’obbligo di cui all’art.
2087 c.c. considerata la natura del danno allegato consistente in una affezione che rende il
malato particolarmente sensibile a cause presunte ed incongrue implicando il rischio di
addebitare alla condotta altrui la responsabilità di danni che sono collegati soltanto
dall’immaginario del soggetto leso tanto più a fronte di fatti non tali da integrare fattori
causali autonomi ed efficaci né da essere percepiti dal datore di gravità sufficiente a
cagionare danno.
Per la cassazione di tale decisione ricorre Angela Maria Agostini, affidando
l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, il Comune di Santa
Vittoria in Matenano
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 c.c., 2087 c.c. anche in relazione all’art. 1228 c.c., 2043 c.c. nonchè il vizio di
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia,

disagio ambientale avvertita dall’Agostini e accertata come sostanzialmente sussistente, la

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lamentando come la Corte territoriale, ritenute sussistenti le condotte dalla ricorrente
imputate all’Ente datore, abbia illegittimamente ritenuto la necessità della prova
dell’elemento psicologico della condotta medesima, in contrasto con l’art. 2087 c.c.,
accollandone l’onere alla dipendente, in contrasto con l’art. 2967 c.c. ed abbia
incongruamente, anche perché prese in considerazione solo parzialmente, valutato sotto il
profilo eziologico le condotte medesime.
Il motivo è infondato.

illiceità di cui la componente psicologica è elemento essenziale e della cui prova è
certamente onerato l’attore. Va a riguardo ricordato l’orientamento consolidatosi nella
giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità del mobbing
lavorativo, devono ravvisarsi da parte del datore di lavoro comportamenti, anche protratti
nel tempo, rivelatori, in modo inequivoco, di un’esplicita volontà di quest’ultimo di
emarginazione del dipendente, occorrendo, pertanto dedurre e provare la ricorrenza di una
pluralità di condotte, anche di diversa natura, tutte dirette (oggettivamente) all’espulsione
dal contesto lavorativo, o comunque connotate da un alto tasso di vessatori età e
prevaricazione, nonché sorrette (soggettivamente) da un intento persecutorio e tra loro
intrinsecamente collegate dall’unico fine intenzionale di isolare il dipendente (v. da ultimo
Cass. 6 agosto 2014, n. 17698 e Cass. 7 agosto 2013, n. 18836). Di tanto si avvede la stessa
ricorrente che, con estrema disinvoltura, passa dall’affermazione della non necessità della
prova dell’elemento psicologico della condotta a quella della conseguita prova della
)
“connotazione emulativa e pretestuosa degli episodi dedotti”, evidentemente mirando ad

(2)

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La ricorrente palesemente confonde l’accertamento del fatto materiale con quello della sua

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una diversa valutazione in fatto, intento riflesso nel tentativo operato di superare, senza
opporvi alcuna censura, il punto nodale dell’iter logico-giuridico seguito dalla Corte
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territoriale • M:Zyuna tale connotazione non poteva attribuirsi alle condotte in parola in

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difetto della stessa allegazione di circostanze, in particolare relative all’organizzazione del
lavoro nell’Ente, tali da escludere che le condotte medesime, se non indotte dallo stesso
atteggiamento non collaborativo della dipendente, come lascerebbe presumere l’eccessivo
rigore del rifiuto di compiti accessori, fossero determinate da condizione oggettive non
riconducibili alla responsabilità dell’Ente datore neppure sotto il profilo
dell’inadempimento dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c..
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 100 per esborsi ed euro 5.000,00 per
compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 novembre 2014
Il Pre

Il Consigliere est.

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