Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1258 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5384/2019 proposto da:

K.J., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38,

presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo rappresenta

e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5354/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2020 dal Cons. Dott. GORJAN SERGIO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

K.J. – cittadino della (OMISSIS) – ebbe a proporre avanti il Tribunale di Roma ricorso avverso la decisione della locale Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di ottenimento della protezione in relazione a tutti gli istituti previsti.

Il richiedente asilo ebbe a rappresentare d’aver abbandonato il suo Paese poichè accusato di tentato omicidio di un suo antagonista in una disputa afferente il possesso di un terreno.

Il Tribunale capitolino ebbe a rigettare la domanda del richiedente in relazione a tutti gli istituti previsti dalla normativa in tema di protezione internazionale, ritenendo che l’episodio di violenza narrato non era veritiero e non sussistenti elementi fattuali e giuridici adeguati a sostenere il riconoscimento di una delle forme di protezione previste dalla normativa in tema.

Il K. propose gravame avanti la Corte d’Appello di Roma, che respinse l’impugnazione rilevando il mancato rideposito del suo fascicolo di parte con la comparsa conclusionale, fatto che impediva l’accesso ai documenti utili a valutare la fondatezza del gravame; la carenza di specificità delle ragioni d’impugnazione e osservando comunque come il tentato omicidio per motivi di interesse economico, ex se, non poteva configurare ragione valida per la protezione internazionale, risultando reato punito anche per l’Ordinamento italiano.

Il K. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte capitolina articolato su quattro motivi.

Il Ministero degli Interni, benchè ritualmente vocato, ha depositato solo nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dal K. risulta inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce vizio di omesso esame delle dichiarazioni da lui rese in sede di procedimento amministrativo e delle allegazioni prodotte in causa al fine di valutare la sua situazione personale, nonchè mancata attivazione del poter istruttorio officioso del Giudice ed omessa sua audizione.

La censura appare inammissibile posto che non si confronta con la motivazione presente nella sentenza impugnata sul punto.

Difatti la Corte capitolina ha evidenziato come parte impugnante non aveva ridepositato con la comparsa conclusionale il suo fascicolo di parte – e detta affermazione non risulta specificatamente contestata nel ricorso -, sicchè il Giudice d’appello non era stato messo nelle fattuali condizioni d’apprezzare gli elementi probatori – compreso il verbale di audizione del ricorrente avanti la Commissione territoriale – presenti in detto fascicolo.

Altresì la Corte romana ha precisato che in atti si ritrovava copia dell’ordinanza pronunziata dal Tribunale e che non era nemmeno pervenuto il fascicolo d’ufficio, sicchè ebbe a pronunziare sentenza circa il merito della lite siccome insegna costantemente questo Supremo Collegio – Cass. sez. 1 n. 6936/03, Cass. sez. 3 n. 18787/05, Cass. sez. 2 n. 3466/82 -.

Parte ricorrente si limita a dedurre che era sempre possibile al Collegio decidente sollecitare la parte al rideposito del fascicolo mancante, siccome acquisire il fascicolo d’ufficio di primo grado, ovvero sentire l’appellante se concorrevano dei dubbi circa il suo racconto.

Detto argomento critico non supera la corretta soluzione adottata dalla Corte capitolina, sulla scorta de risalente e costante insegnamento di questa Suprema Corte al riguardo, posto che – Cass. sez. 1 n. 2761/17, Cass. sez. 3 n. 1678/16 – non concorre alcun obbligo del Giudice d’appello di decidere la causa solo dopo aver acquisito il fascicolo di prime cure e tale difetto non assume rilievo viziante salvo che – ed al riguardo parte ricorrente nulla di specifico deduce – il ricorrente per cassazione non indichi quali elementi decisivi ai fini della soluzione della causa erano presenti in detto fascicolo.

Inoltre il K. nemmeno contesta di aver ritirato il suo fascicolo di parte ad esito della fase di trattazione del procedimento di secondo grado – Cass. sez. 2 n. 1063/85 -, sicchè è dato certo che intervenne ritiro da parte sua e mancato rideposito del fascicolo con la comparsa conclusionale.

Dunque correttamente la Corte territoriale, preso atto della condotta processuale della parte e non apparendo necessario il fascicolo d’ufficio ai fini della decisione, in sintonia con il costante insegnamento di questo Supremo Collegio, ha deciso la causa nel merito sulla scorta dei dati fattuali nella sua disponibilità.

Pertanto il ricorrente non può lamentare la mancata rimessione della lite in fase di trattazione con sollecitazione officiosa al rideposito da parte del Collegio romano ovvero la sua mancata audizione, poichè conseguenze dirette della sua condotta processuale, che non impediva al Giudice di decidere comunque la lite. Di conseguenza la riproposizione in questo giudizio di legittimità dei fascicoli di parte, mancanti in sede d’appello, non supera la corretta decisione assunta dalla Corte romana ed inammissibile appare la richiesta a questa Corte di legittimità di valutare gli elementi probatori non sottoposti alla Corte d’Appello.

Con la seconda doglianza il K. deduce omesso esame di un fatto decisivo ossia la situazione di pericolosità e di violenza esistente in Nigeria, nonchè omesso esame delle fonti informative utili al riguardo.

La censura appare inammissibile poichè generica in quanto si compendia nella apodittica deduzione di omesso esame di un fatto che, invece, all’evidenza risulta esaminato dal Collegio romano nella sentenza impugnata con puntuale motivazione relativamente alla quale il ricorrente non si confronta.

Difatti la Corte capitolina ha partitamente messo in evidenza, da un lato, la genericità delle ragioni di gravame – ritrascrivendole – e, dall’altro, ha puntualizzato come l’assenza del fascicolo di parte impediva di conoscere i dati fattuali essenziali per poter procedere alla valutazione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), stante la diversa situazione socio-politica esistente nelle varie zone della Nigeria.

Quindi il dedotto vizio di omesso esame palesemente non concorre poichè la Corte distrettuale ha esaminato partitamente la questione alla luce delle ragioni esposte in atto di gravame e delle prove disponibili.

Il K. poi denunzia con il terzo motivo di ricorso la violazione del disposto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, omesso esame delle fonti informative ed omessa applicazione dell’art. 10 Cost., poichè il Collegio romano non ebbe a riconoscere il suo diritto alla protezione sussidiaria.

Anche detta censura appare inammissibile posto che non viene operato alcun confronto con la motivazione esposta dalla Corte territoriale, dianzi partitamente richiamata nell’esaminare la precedente ragione di impugnazione.

L’argomento critico si compendia nell’esposizione di propria elaborazione dei dati fattuali non forniti alla Corte di merito, a causa del mancato rideposito del fascicolo di parte, senza anche una specifica contestazione circa il rilievo di carenza di specificità del motivo di gravame e carenza dei dati fattuali utili alla valutazione, che si lamenta errata o mancata.

Difatti la cognizione del Giudice d’appello risulta delimitata dal devolutum con l’atto di gravame, sicchè era onere – non osservato – del K., al fine della specificità del mezzo d’impugnazione mosso, riportare il passo del suo atto d’appello in cui muoveva critica alla statuizione di prime cure sul punto per consentire l’apprezzamento di questa Corte al riguardo.

Con il quarto mezzo d’impugnazione il ricorrente rileva l’erronea applicazione delle norme D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e art. 19 e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., nonchè omessa pronunzia sul punto.

L’argomentazione critica sviluppata nel ricorso si riduce all’esposizione della struttura dogmatica dell’istituto, a richiami di arresti giurisprudenziali ed alla ritrascrizione di articoli di legge per concludere apoditticamente che sul punto la Corte capitolina non ha esposto motivazione.

La doglianza appare generica in quanto non autosufficiente, poichè era specifico onere del ricorrente, deducendo un omesso esame di una questione sottoposta alla Corte d’Appello con l’atto di gravame, dedurre d’aver esposto specifico motivo di gravame sul punto, anche ritrascrivendolo al fine di consentire l’esame della questione da parte di questa Corte di legittimità.

Al riguardo nel ricorso non v’è alcun cenno specifico, specie a fronte della puntuale attestazione – presente nella sentenza impugnata – che l’argomentazione elaborata nell’atto d’appello si componeva solamente di una ricostruzione dogmatico-giurisprudenziale della normativa in tema di protezione internazionale con riferimento particolare solo alla protezione sussidiaria.

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione poichè non costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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