Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1258 del 18/01/2019

Cassazione civile sez. III, 18/01/2019, (ud. 05/07/2018, dep. 18/01/2019), n.1258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3480-2017 proposto da:

T.L., M.E., M.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato STEFANO DI MEO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO VITALIZI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Dirigente dott.

A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38,

presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARIA CATERINA FARRUGGIA giusta

procura in calce al controricorso;

S.C., C.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA OSLAVIA N. 39, presso lo studio dell’avvocato DIEGO

SOLLECCHIA, rappresentati e difesi dall’avvocato UGO BOIRIVANT

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1184/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha

concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

C.G. il giorno (OMISSIS), mentre percorreva l'(OMISSIS), alla guida di una autovettura Lancia Y di proprietà della madre S.C. ed assicurata presso la Carige Assicurazioni SpA sulla quale viaggiavano, quali trasportati, anche M.L. e D.C., sull'(OMISSIS), perse il controllo dell’autovettura, e, invadendo la corsia opposta, impattò con una Golf Wolkswagen, condotta Da B.A. su cui viaggiava, quale trasportata, Cr.Cl.. A seguito dell’urto il trasportato M.L. riportò conseguenze molto gravi e morì a distanza di pochi giorni. I prossimi congiunti del M.L.T., ed M.E., in proprio e quali genitori della figlia allora minorenne G., presentarono ricorso per far accertare la responsabilità del C. in ordine al sinistro e per sentire condannare i convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Il ricorso venne riunito ad altra causa promossa da B.A. e Cr.Cl. per il risarcimento dei danni da loro subiti. Fu acquisita prova testimoniale, svolte due CTU, una di natura tecnica, per la ricostruzione della dinamica del sinistro, l’altra di natura psichiatrica e medico-legale sulle persone di tutti i danneggiati. All’esito di detta istruttoria ed acquisita una relazione di parte relativa alle condizioni di M.G., sorella del defunto, il Tribunale di Livorno, con sentenza del 2013 condannò i convenuti in solido al pagamento, in favore di T.L., di Euro 250.000, oltre interessi legali sulla somma devalutata e rivalutata, nonchè delle ulteriori somme di Euro 67.400, oltre interessi legali e di Euro 7.434,14 oltre accessori; in favore di M.E., della somma di Euro 250.000 oltre interessi, devalutata e rivalutata, nonchè della somma di Euro 20.174,00, oltre accessori e di quella di Euro 1134,14 oltre accessori; in favore di M.G., la somma di Euro 80.000, devalutata e rivalutata, oltre accessori, nonchè di quella di Euro 660,00 oltre accessori; in favore di T.L. ed M.E. la somma di Euro 6.996,36 oltre accessori; nonchè in favore dei congiunti del defunto la refusione delle spese di lite. Il giudice di primo grado, aderendo alle conclusioni del CTU, decise di non accogliere la domanda dei ricorrenti di risarcimento del danno biologico subito da M.G. e quello del danno patrimoniale subito dai ricorrenti in conseguenza del decesso del congiunto.

La Corte d’Appello di Firenze, adita da T.L., M.E. e M.G., con sentenza n. 1184 del 15/7/2016, ha rigettato il primo motivo di appello relativo al quantum della liquidazione del danno morale iure proprio sofferto dagli appellanti, rilevando la mancanza di una specifica censura sui criteri adottati per la liquidazione del danno; ha rigettato il secondo motivo relativo alla mancata personalizzazione del danno sulla base delle Tabelle di Milano, previa valutazione della non automaticità della personalizzazione; ha ritenuto inammissibile il terzo motivo di appello relativo all’omessa liquidazione del danno biologico asseritamente subito da M.G.; ha rigettato il quarto motivo di appello relativo al mancato riconoscimento del danno patrimoniale conseguente all’avvenuta assunzione di una dipendente nell’azienda familiare ed ha parzialmente accolto il quinto motivo relativo all’omesso aumento delle spese legali in ragione della pluralità delle parti processuali presenti in giudizio, condannando C.G., S.C. e l’Amissima Assicurazioni SpA a pagare, in favore di T. e dei M. l’ulteriore somma di Euro 10.125,00 a titolo di spese legali del primo grado, oltre che ad una parte di quelle del grado di appello, in ragione della parziale compensazione delle medesime.

Avverso quest’ultima sentenza T.L., E. e M.G. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria. Resistono con distinti controricorsi S.C. e C.G., d’un lato, e l’Amissima Assicurazioni S.p.A., dall’altro. Il P.G. ha depositato le proprie conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (violazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il motivo di appello relativo all’incongruità del quantum risarcitorio stabilito per il danno morale-parentale subito. Ad avviso dei ricorrenti la sentenza avrebbe errato nel non aver ritenuto “specifiche” le doglianze degli appellanti sulla quantificazione del danno, laddove la critica esplicitamente formulata era rivolta al non aver tenuto in considerazione i valori massimi della Tabelle, piuttosto che i valori medi, in ragione dell’età della vittima e della particolarità del caso. In secondo luogo, sempre nell’ambito del primo motivo di ricorso, censurano la sentenza per non aver ritenuto di disporre un supplemento di indagini peritali sulla persona di Giulia M., in presenza di indici significativi di una sofferenza che aveva caratteristiche non riconducibili ad una normale e fisiologica tristezza per la perdita del fratello, ma ad una vera e propria patologia.

2. Con il secondo motivo (violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) censurano la sentenza nella parte in cui si non avrebbe svolto una nuova valutazione delle circostanze valorizzate dal giudice di prime cure per la determinazione del danno morale da perdita del rapporto parentale, trincerandosi dietro l’argomentazione che detta liquidazione restava affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice del merito.

3. Con il terzo motivo (violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) censurano la sentenza per pretesa mancanza assoluta di motivazione in ordine al nesso causale tra il decesso di M.L. e l’assunzione, da parte dei genitori del medesimo, di una dipendente che potesse svolgerne le mansioni sul luogo di lavoro.

4. I motivi possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e vanno dichiarati tutti inammissibili, in quanto volti a sollecitare questa Corte ad un riesame degli elementi di fatto e ad una più appagante ricostruzione della fattispecie, preclusa all’esame del giudice di legittimità. Con riguardo al primo motivo, con il quale si chiede una censura della declaratoria di inammissibilità dei motivi di appello relativi al quantum del risarcimento, i ricorrenti censurano la sentenza per non aver posto a base della quantificazione del danno i valori massimi, in ragione della giovane età del defunto e delle sue particolari condizioni, anzichè i valori medi. Il motivo è inammissibile in quanto non consente di desumere che alla Corte d’Appello fossero state rivolte doglianze sufficientemente specifiche e comunque tali da non giustificare la declaratoria di inammissibilità cui è pervenuto il Giudice d’appello. Come è noto, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella impugnata sentenza in quanto, per la natura del giudizio a critica vincolata proprio del processo di cassazione, il requisito di specificità non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione sia basato su una riproposizione dei motivi di appello (Cass., 1, n. 10420 del 18/5/2005: “I motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa. Invero, il ricorrente – incidentale, come quello principale – ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il “devolutum” della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individua bili nella decisione.” Si veda altresì Cass., 1, n. 13592 del 12/6/2006; Cass., 3, n. 15882 del 17/7/2007, Cass., 6-5 n. 1479 del 22/1/2018).

Il secondo motivo, con il quale si censura la motivazione dell’impugnata sentenza per aver omesso di pronunciare sulla richiesta in aumento del danno morale parentale e sul danno biologico di M.G., pure è inammissibile perchè la Corte territoriale ha compiutamente giustificato le ragioni per le quali la motivazione del primo giudice era esaustiva e condivisibile, essendo quella di M.G., ad avviso del CTU, una condizione fisiologica e non patologica. Peraltro il motivo presenta vizi di autosufficienza non avendo i ricorrenti trascritto le doglianze sollevate con il terzo motivo di appello dalle quali emergerebbero lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal giudice di primo grado. Ne consegue l’inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso.

Quanto al terzo motivo di ricorso, con il quale si censura un vizio motivazionale relativo al mancato riconoscimento del danno patrimoniale dei congiunti per aver dovuto assumere una dipendente in luogo del figlio L., esso è inammissibile sotto più concorrenti profili. Innanzitutto esso inferisce su una valutazione del materiale probatorio raccolto in primo grado che ha costituito il fondamento della sentenza di prime cure, confermata dal giudice d’appello, senza che i ricorrenti abbiano mai attaccato i criteri seguiti dai giudici di merito per procedere alla quantificazione. Quanto alla mancata quantificazione del preteso danno patrimoniale conseguente alla necessità dell’assunzione di una persona che potesse sostituire il defunto sul luogo di lavoro, la sentenza ha esaustivamente motivato nel senso della mancanza di elementi per stabilire il nesso di causalità tra il decesso di M.L. e l’assunzione, avvenuta peraltro dopo due anni dal fatto, di una persona che lo sostituisse al lavoro, sicchè la censura appare del tutto inammissibile in quanto volta ad un riesame dei fatti e ad una diversa e più appagante ricostruzione della fattispecie. Il motivo è altresì inammissibile in quanto non è conforme alle statuizioni di questa Corte relative al difetto di motivazione che, specialmente nel caso in esame in cui è dedotto quale violazione dell’art. 132 c.p.c., è sindacabile solo se la motivazione manchi del tutto come parte del documento sentenza nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione o quando formalmente vi sia come parte di quel documento ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio o con passaggi logici talmente incongrui da non permettere di individuarla. Dalle lettura della impugnata sentenza non si evince alcun vizio argomentativo ma anzi la correttezza di una appropriata motivazione non censurabile nel giudizio di legittimità.

5. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con le conseguenze sulle spese, liquidate come in dispositivo, e sul cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuna parte resistente in Euro 2.800 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15 %. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale della Sezione Terza Civile, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2019

Sommario

IntestazioneFattoDirittoP.Q.M.

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