Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12579 del 17/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12579 Anno 2015
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 7963-2009 proposto da:
PELLEGRINI PIERINO PPLPRN28R07L084R, in proprio e
quale procuratore generale e speciale di BRUNA
PELLEGRINI IN BATTAGLIA e EUGENIO PELLEGRINI,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 47,
presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARBARA
BOSSI;
– ricorrente contro

D’ADDEZIO GIUSEPPINA DDDGPP48C59G484R, elettivamente

Data pubblicazione: 17/06/2015

domiciliato in ROMA, VIA APPIA NUOVA 679, presso lo
studio dell’avvocato GOFFREDO MARIA BARBANTINI, che lo
rappresenta e difende;
SALA ALMA SLALMA41B43M840B, elettivamente domiciliato
in ROMA, PIAZZA CAMERINO 15, presso lo studio

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO
SIMONE;
SALA

GIORGIO

SLAGRG53A09D416G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GRAMSCI 16, presso lo studio
dell’avvocato FRANCO PANDOLFO, rappresentato e difeso
dagli avvocati GIANFRANCO BARELLI, ENRICO MOSCATI;
– controricorrenti nonchè contro

SALA SILVANA, SALA ENRICO, SALA ROSANNA, SALA RENATO;

intimati

avverso la sentenza n. 264/2008 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 04/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/03/2015 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato BARBANTINI Goffredo Maria, difensore
della resistente D’ADDEZIO G., che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per

dell’avvocato ROMOLO GIUSEPPE CIPRIANI, che lo

l’inammissibilità in subordine il rigetto del ricorso.

U(‘S

SVOLGIMENTODELPROCESSO

Con

citazione

del

3/11/1997

Pierino

Pellegrini

conveniva in giudizio i propri confinanti Giuseppina
D’Addezio nonchè Alma, Giorgio, Enrico, Renato e
Rosanna Sala, titolari di servitù di passo sul fondo

l’intrusione di terzi nella sua proprietà, chiedeva
accertarsi il proprio diritto di apporre due cancelli a
chiusura della strada di sua proprietà sulla quale era
esercitato il passaggio; si dichiarava disposto a
consegnare ai proprietari dei fondi dominanti, la
chiave di apertura dei cancelli.
Il contraddittorio era integrato nei confronti di Sala
Silvana, altra comproprietaria di fondo dominante.
Tutti i convenuti chiedevano il rigetto della domanda
attorea.
Intervenivano in causa anche Bruna ed Eugenio
Pellegrini i quali, comproprietari dei fondi serventi,
aderivano alla domanda dell’attore.
Con sentenza del 24/11/2003 il Tribunale di Como
rigettava la domanda dei proprietari del fondo servente
ritenendo:
– che, in relazione alle caratteristiche della strada e
dei fondi come rilevate e descritte nella CTU,

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dell’attore e, deducendo di volere impedire

l’apposizione

dei

due

cancelli,

quand’anche

accompagnata dalla consegna della chiave di apertura,
avrebbe reso più gravoso l’esercizio della servitù
senza peraltro risolvere il problema della protezione
del fondo che sarebbe rimasto comunque accessibile;

accesso carraio alternativo a quello dedotto in
giudizio in quanto quello indicato dall’attore come
percorso alternativo risultava particolarmente
disagevole a causa di un restringimento costituito da
un corpo scala in muratura;
– che la posa del cancello avrebbe di fatto inibito la
normale vita di relazione non essendo ipotizzabile la
consegna delle chiavi al numero indeterminato di
soggetti che si relazionavano con i nuclei familiari
dei proprietari dei fondi dominanti.
L’appello proposto da Pellegrini Pierino, in proprio e
quale procuratore generale e speciale dei fratelli
Bruna ed Eugenio, era rigettato dalla Corte di Appello
di Milano con sentenza del 4/2/2008 con motivazioni di
merito in gran parte analoghe a quelle del giudice di
primo grado che trascriveva nella sentenza di appello,
aggiungendo ulteriori argomentazioni.
La Corte distrettuale rilevava:

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– che i convenuti non disponevano affatto di un valido

-

che l’apposizione dei cancelli non realizzava la

chiusura del fondo, così ponendosi al di fuori della
previsione dell’art. 841 c.c., non sussistendo neppure
prova che l’attore avesse subito atti vandalici
ripetuti, perché, a tale riguardo v’era stata una sola

– che in ogni caso, anche a volere ritenere applicabile
alla fattispecie l’art. 1064 c.c.

(che prevede la

possibilità, per il proprietario del fondo servente, di
chiudere il fondo del fondo gravato da servitù a
condizione di lasciare libero e comodo l’ingresso a chi
ha un diritto di servitù), era sufficiente ad escludere
la condizione della comodità di ingresso il fatto che
si rendeva necessario compiere, sui due cancelli tra
loro distanziati, quattro operazioni, due di apertura e
due di chiusura e tenuto conto dello stato dei luoghi,
in particolare della lunghezza del percorso e del fatto
che non v’era visuale del punto iniziale del tracciato
a chi si trovasse sul fondo dominante;

che nella descritta situazione era ultronea la

(comunque indimostrata)possibilità di raggiungere per
altra via il fondo dominante, posto che i requisiti di
comodità e libertà devono essere valutati in relazione
alla già costituita servitù.

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denuncia risalente al Luglio 1997;

Pellegrini Pierino, in proprio e quale procuratore
generale e speciale dei fratelli Bruna ed Eugenio ha
proposto ricorso affidato a tre motivi.
Sala Alma, D’Addezio Giuseppina e Sala Giorgio hanno
resistito con tre distinti controricorsi.

memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la
violazione e falsa applicazione dell’art. 841 c.c.
sostenendo:
– che la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto
che il diritto di chiudere il fondo, riconosciuto
dall’art. 841 c.c., comporti la necessità di una
chiusura totale del fondo e non attribuisca invece al
proprietario il diritto di proteggere il proprio fondo
da ingerenze di terzi senza necessità di realizzare una
recinzione totale;
– che sarebbe erronea e illogica la motivazione secondo
la quale mancherebbe la prova che gli atti vandalici
commessi in danno della proprietà siano stati commessi
transitando sulla strada oggetto di servitù perché
dalla denuncia di danneggiamento risulta che furono
danneggiate le piantumazioni poste lungo la strada;

D’Addezio Giuseppina e Sala Giorgio hanno depositato

- che la tutela di cui all’art. 841 c.c. è accordata
senza la necessità di provare alcun danno.
I ricorrenti,

formulando i quesiti di diritto,

chiedono:
– se il riconoscimento del diritto di protezione del
previsto

dall’art.

841

c.c.

implichi

necessariamente che il fondo stesso debba essere
completamente recintato o se la tutela possa essere
attuata anche mediante limitati manufatti idonei ad
evitare o limitare l’ingerenza dei terzi;
– se il diritto di protezione di cui all’art. 841 c.c.
possa essere riconosciuto unicamente nel caso in cui
vengano provate l’esistenza di pregressi danneggiamenti
subiti dal fondo e le modalità di accesso allo stesso
da parte dei danneggiati.
1.1 n primo motivo, così come i relativi quesiti, non
attingono la ratio decidendi della sentenza impugnata:
i ricorrenti infondatamente invocano l’applicazione di
una norma che non è applicabile senza il coordinamento
con l’art. 1064 c.c. laddove si tratti di risolvere il
conflitto tra i diritti dei proprietari dei fondi
dominanti e il diritto del proprietario del fondo
servente.

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fondo

Infatti, il conflitto tra il proprietario del fondo
servente e il titolare della servitù di passaggio è
regolato dall’art. 1064, secondo comma, c.c., nel senso
di garantire a quest’ultimo il libero e comodo
esercizio della servitù, in base ad un bilanciamento

reale di godimento, delle precedenti modalità del suo
esercizio, dello stato e della configurazione dei
luoghi.
La questione posta (se il proprietario del fondo ha
diritto ex art. 841 c.c. a recintare anche solo
parzialmente il proprio fondo e senza necessità di dare
la prova di danneggiamenti o della necessità della
chiusura) non inficia la seconda ratio decidendi (non
oggetto di censura in questo primo motivo, ma solo nel
secondo motivo, su quale v.

infra) della sentenza della

Corte di Appello per la quale l’apposizione dei due
cancelli, pur con la consegna della chiave di apertura,
non avrebbe lasciato libero e comodo l’ingresso e ciò
in violazione di quanto disposto dall’art. 1064 c.c.
L’argomento della Corte di Appello secondo cui
l’esigenza di protezione non sarebbe stata realizzata
con la semplice apposizione dei due cancelli, diventa
superfluo e il ricorrente è privo di interesse alla

che tenga conto del contenuto specifico del diritto

relativa contestazione; la stessa Corte di Appello
(pag. 8 della sentenza) ha affermato essere ultronea
(oltre che indimostrata) la possibilità di raggiungere
per altra via il fondo dominante “posto che i requisiti
di comodità e libertà debbono essere valutati in

La Corte di Appello ha dunque deciso in modo conforme
ai principi (qui condivisi) già affermati da questa
Corte secondo i quali il conflitto tra il proprietario
del fondo servente, cui è assicurata dall’art. 841 c.c.
la facoltà di chiusura del fondo e il titolare della
servitù di passaggio è regolato dall’art. 1064, secondo
comma, c.c., nel senso di garantire a quest’ultimo il
libero e comodo esercizio della servitù, in base ad un
bilanciamento che tenga conto del contenuto specifico
del diritto reale di godimento, delle precedenti
modalità del suo esercizio, dello stato e della
configurazione dei luoghi (cfr. Cass. 28/11/2012 n.
21129).
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la
violazione e falsa applicazione del combinato disposto
degli artt. 841 e 1064 c.c. e il difetto di
motivazione.

9

relazione alla già costituita servitù”.

I ricorrenti sostengono che la Corte territoriale non
avrebbe applicato il criterio del contemperamento degli
opposti interessi, ossia l’interesse alla sicurezza e
riservatezza del proprietario del fondo servente e gli
interessi dei proprietari dei fondi dominanti non

avessero subito un pregiudizio effettivo e non tenendo
conto che i fondi dominanti erano serviti da una strada
comunale di maggiore larghezza, minor pendenza e
migliore pavimentazione.
A dire dei ricorrenti:
– l’interesse del proprietario del fondo servente
doveva ritenersi prevalente rispetto al trascurabile
disagio dei proprietari dei fondi dominanti i quali,
per raggiungere i loro fondi, avrebbero potuto servirsi
di altra via (la via Volta);
– invece la Corte di Appello, travisando

prove in

atti, ha ritenuto inidonea la strada alternativa e non
ha considerato quanto da lui affermato circa la
possibilità di chiudere i cancelli solo nelle ore
notturne e di concedere ogni più utile dispositivo per
una comoda apertura dei cancelli.
I ricorrenti formulando il quesito di diritto, chiedono
se l’esistenza di una valido percorso alternativo, non

verificando se questi dall’apposizione dei cancelli

correttamente apprezzato dal giudice di merito a causa
di una omessa o erronea interpretazione delle
risultanze istruttorie, possa consentire l’applicazione
del criterio di contemperamento dei contrapposti
diritti tutelati dagli artt. 841 e 1064 c.c..

dalla sentenza della Corte di Appello che trascrive e
fa proprie le argomentazioni della sentenza appellata,
aveva evidenziato:
– che lo sviluppo e il dislivello del tracciato rendeva
disagevole la fermata e la sosta di autovetture su
fondo sterrato, che si sarebbero rese necessarie per
l’apertura manuale dei cancelli;
– che i fondi dominanti erano rappresentati da immobili
anche ad uso residenziale, occupati da plurime persone
plurimi nuclei familiari, soggetti normalmente alle
visite domiciliari di conoscenti, parenti e fornitori e
che pertanto la posa dei cancelli avrebbe inibito di
fatto ai titolari della servitù lo svolgimento della
normale vita di relazione, non essendo ipotizzabile la
consegna delle chiavi ad una sfera così estesa di terzi
soggetti.
La Corte di Appello ha ritenuto comunque già
sufficiente, per escludere la comodità dell’ingresso la

2.1. Il Giudice di primo grado, secondo quanto risulta

condizione della comodità di ingresso il fatto che, a
seguito dell’apposizione di due cancelli, si rendeva
necessario compiere, sui due cancelli tra loro
distanziati, quattro operazioni, due di apertura e due
di chiusura, operazioni che comportavano corrispondenti

ha tenuto conto dello stato dei luoghi, in particolare
della lunghezza del percorso e del fatto che non v’era
visuale del punto iniziale del tracciato a chi si
trovasse sul fondo dominante.
La Corte di Appello ha inoltre confermato l’inesistenza
di un valido accesso alternativo (in quanto privo di
manutenzione e non omogeneo in termini di larghezza,
diversa essendo quella di una strada campestre
all’aperto e quella di uno spazio interno tra
murature), già esclusa dal primo giudice sul rilievo
che l’accesso alternativo era disagevole a causa di un
restringimento costituito da un corpo di scala in
murature.
Con riferimento ai criteri che devono essere seguiti
per risolvere il conflitto tra il proprietario del
fondo servente e il titolare della servitù di passaggio
e alla affermata violazione del combinato disposto
degli artt. 841 e 1064 c.c., si osserva che tale

12

discese dall’autovettura e risalite sulla autovettura e

conflitto come già in precedenza evidenziato è regolato
dall’art. 1064 c.c., nel senso che il proprietario ha
diritto (ex art. 841 c.c.) di chiudere il fondo, ma a
condizione che sia lasciato libero e comodo l’ingresso
a chi ha un diritto di servitù che renda necessario il

Resta inoltre applicabile il divieto di cui all’art.
1067 c.c., per il quale il proprietario del fondo

“non

può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire
l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo”.
Questa norma, come già il secondo comma dell’art. 1064
c.c. non vieta qualsiasi innovazione perché, altrimenti
verrebbe sacrificato il diritto, riconosciuto al
proprietario del fondo dominante a chiudere il proprio
fondo l’interesse del proprietario del fondo, ma vieta
solo quelle che rendano più gravosa la situazione del
fondo servente.
L’aggravamento non è dato dall’innovazione in sè, ma
dall’incidenza di essa rispetto al modo in cui è stata
goduta la servitù, venendo in rilievo, quindi, la
frequenza del passaggio, la caratteristica dei luoghi,
le particolari esigenze del transito ed ogni altra
precedente condizione di esercizio (cfr. Cass.
23/9/2013 n. 21744).

13

passaggio per il fondo.

Da questi principi non si è discostata la Corte
territoriale.
Quanto alla motivazione, si osserva che la Corte
distrettuale, nell’ambito della valutazione di merito
ad essa riservata, ha accertato con adeguata

reso non comodo l’ingresso per il fatto

“di dover per

ben quattro volte scendere e salire sull’autovettura
laddove la lunghezza del percorso e il fatto che non vi
sia visuale del punto iniziale del tracciato a chi si
trovi sul fondo dominante valgono ad inequivocabilmente
escludere la libertà di ingresso (non a terzi ma) al
fondo dominante”

(pag. 8 della sentenza di appello).

La Corte di Appello ha altresì affermato che
l’esistenza di altro accesso diviene irrilevante in
quanto i requisiti di comodità e libertà del fondo
devono essere valutati in relazione alla già costituita
servitù; neppure questa parte della motivazione è stata
censurata nel motivo
La prima motivazione, in sé plausibile, non ha formato
oggetto di censura (come, d’altra parte, risulta anche
dalla stessa formulazione del quesito che fa
riferimento alla mancato apprezzamento dell’esistenza
di un percorso alternativo), se non con generiche

14

motivazione che l’apposizione dei due cancelli avrebbe

affermazioni con le quali non è contestata la
motivazione in sé e, invece, è censurata la mancata
valutazione dell’esistenza di un percorso alternativo
che secondo i ricorrenti dovrebbe ritenersi idoneo e
che invece la Corte di Appello, non apprezzando

ritenuto inidoneo.
In altri termini, i ricorrenti lamentano che la Corte
di Appello avrebbe dovuto dare rilevanza all’esistenza
del percorso alternativo e, poi, pur prendendo atto che
tale percorso alternativo è stato ad abundantiam,
ritenuto inidoneo, censurano anche questa motivazione
meramente aggiuntiva.
Tuttavia, come detto, la prima motivazione, in sé
decisiva, non è stata adeguatamente censurata e non
assume decisività la censura sulla motivazione
aggiuntiva.
Va aggiunto che le opere vietate dal proprietario del
fondo servente dall’art. 1067, comma secondo c.c. sono
quelle che si riflettono alterandole, sul contenuto
essenziale dell’altrui diritto di servitù quale
determinato dal titolo, sì da incidere sull’andatura e
sull’estensione dell’uutilitas”
stesso

diritto:

la

norma

15

oggetto di
non

tutela,

quello
quindi,

correttamente le risultanze istruttorie, avrebbe

l'”utilitas” che di fatto il proprietario del fondo
dominante ritenga di trarre dalla servitù, ma quella
assicurata nel suo contenuto essenziale dal titolo e
sul punto la Corte di Appello, come detto, ha motivato
adeguatamente, osservano che i requisiti di comodità e

alla già costituita servitù.
Quanto alla possibilità (affermata nel motivo di
ricorso) di adozione di particolari modalità temporali
di chiusura dei cancelli o dell’uso di dispositivi per
una comoda apertura, si osserva che dalla sentenza di
appello risulta soltanto (v. pag. 3) che l’odierno
ricorrente aveva offerto la chiave dei realizzandi
cancelli e nel ricorso non viene indicato dove e
quando sarebbe stata affermata tale possibilità;
pertanto la questione proposta risulta nuova e comunque
non specifica e non oggetto di uno specifico quesito.
Anche il secondo motivo di ricorso deve quindi essere
rigettato.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la
violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e
l’omessa motivazione in ordine all’attribuzione delle
spese di soccombenza e lamentano di essere stati
condannati all’integrale pagamento delle spese

16

libertà del fondo devono essere valutati in relazione

processuali

nonostante

il

rigetto

dell’appello

incidentale della D’Addezio.
I ricorrenti assumono che, attesa la soccombenza della
D’Addezio sull’appello incidentale e la legittimità
della loro domanda di chiusura del fondo, le spese del

o almeno la Corte di Appello avrebbe dovuto motivare la
mancata compensazione e, formulando il quesito di
diritto, chiedono se in caso di rigetto dell’appello
incidentale di una convenuta possano essere poste
integralmente a carico dell’appellante le spese del
grado senza che la Corte di appello motivi la propria
decisione, tenuto conto anche della legittimità della
domanda formulata dall’appellante principale ai sensi
dell’art. 841 c.c.
3.1 La Corte di Appello ha rigettato l’appello
incidentale della D’Addezio ritenendo insussistente
l’errore (dedotto quale motivo di impugnazione) sulla
mancata proposizione di domanda riconvenzionale; ha
altresì ritenuto infondate le eccezioni relative al
difetto di legittimazione del Pellegrini.
Il motivo di ricorso è infondato e deve essere
rigettato in quanto l’appellante principale era
soccombente anche nei confronti della D’Addezio e la

17

I

giudizio di appello avrebbero dovuto essere compensate

compensazione delle spese è meramente discrezionale;
dal contesto della motivazione si desume che nel
giudizio di appello l’appellante incidentale era
rimasta soccombente solo per quanto riguarda questioni
processuali marginali rispetto all’oggetto sostanziale

non espressa, la prevalente soccombenza dell’appellante
principale; non v’è violazione dell’art. 91 in quanto
l’individuazione della parte soccombente che, come tale
deve essere condannata al pagamento delle spese, va
condotta in relazione all’esito finale del processo e
con una valutazione globale e unitaria.
5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con
la condanna dei ricorrenti, in quanto soccombenti, al
pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione
liquidate come in dispositivo a favore dei
controricorrenti D’Addezio Giuseppina il cui difensore
ha depositato controricorso, ha depositato memoria ed è
intervenuto alla pubblica udienza, a favore di Sala
Giorgio, il cui difensore ha depositato controricorso e
memoria e a favore di Sala Alma, il cui difensore ha
depositato controricorso.
P.Q.M.

18

della controversia risultando così evidente ancorché

La Corte rigetta

il ricorso e condanna in solido i

ricorrenti a pagare le spese di questo giudizio di
cassazione che liquida:
– in euro 2.700,00 per compensi oltre euro 200,00 per
esborsi per

oltre 15% sul compenso per spese

D’Addezio Giuseppina;
– in euro 2.500,00 per compensi oltre euro 200,00 per
esborsi per

oltre 15% sul compenso per spese

forfetarie, oltre accessori di legge a favore di Sala
Giorgio;
– in euro 2.200,00 per compensi oltre euro 200,00 per
esborsi per

oltre 15% sul compenso per spese

forfetarie, oltre accessori di legge a favore di Sala
Alma.
Così deciso in Roma, addì 19/3/2015.

forfetarie, oltre accessori di legge a favore di

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