Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12576 del 18/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/05/2017, (ud. 04/04/2017, dep.18/05/2017),  n. 12576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12092/2015 proposto da:

INTERNI ESTERNI SNC DI M.N. E F.M. IN

LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati CARLO EMILIO TRAVERSO, GRAZIELLA

VITTORIA SIMONATI;

– ricorrente –

contro

EUROPEDIL DI PE.PA., rappresentata e difesa dagli avv.ti

TIZIANA PERROTTA e GIOVANNA CRETI e domiciliati in Roma presso la

Corte Suprema di Cassazione;

– controricorrenti –

nonchè

P.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3867/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 04/04/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

1 Rilevato che la ditta Europedil Di Pe.Pa., subappaltatrice di lavori di ristrutturazione di un appartamento in (OMISSIS), convenne in giudizio nel 2006 la snc Interni ed Esterni di M. M. N. e F.M. da cui aveva ricevuto l’incarico, chiedendo il pagamento del compenso nella misura di Euro 20.600,00 oltre IVA per i lavori portati a termine;

che a sostegno della domanda dedusse di avere iniziato i lavori ma di averne dovuto successivamente sospenderne l’esecuzione perchè allontanata dal cantiere dalla proprietaria committente arch. P.C., trasferitasi con la famiglia nell’immobile, mentre i lavori erano in pieno svolgimento;

che la convenuta contestò la pretesa e in via riconvenzionale domandò la risoluzione del contratto di subappalto e il risarcimento dei danni per la difettosa e incompleta esecuzione dei lavori, come emerso da un accertamento tecnico preventivo fatto eseguire anteriormente alla instaurazione del giudizio;

che la committente P., chiamata in causa dalla convenuta per essere garantita, rilevò a sua volta di non avere autorizzato l’appaltatrice Interni Esterni a dare in subappalto i lavori e di avere contestato l’esecuzione dei lavori e pertanto domandò la risoluzione del contratto di appalto per grave inadempimento della appaltatrice e la restituzione dell’importo di Euro 6.670,00 oltre ai danni;

che il Tribunale di Milano con sentenza 3694/2009 rigettò la domanda dell’Europedil e in parziale accoglimento della riconvenzionale della convenuta, dichiarò la risoluzione del contratto di subappalto e dichiarò inammissibili le domande proposte dal terzo chiamato;

che la Corte d’Appello di Torino, adita dalla Europedil ha ribaltato l’esito dl giudizio e in parziale accoglimento del gravame – per quanto ancora interessa in questa sede – dopo avere dichiarato nullo il mezzo di istruzione preventiva per difetto di notifica, disposto consulenza tecnica di ufficio e rinnovazione della stessa con affidamento dell’incarico ad altro ausiliare, ha condannato la Interni Esterni a pagare all’attrice-appellante la somma di Euro 13.658,00 oltre interessi;

che contro tale pronunzia la Interni Esterni snc in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo sviluppato in una duplice articolazione a cui resiste la ditta Europedil con controricorso deducendo preliminarmente la inammissibilità del ricorso per tardiva proposizione, mentre la P. no ha svolto difese in questa sede vista la proposta di manifesta infondatezza formulata dal relatore;

vista la memoria di parte ricorrente;

2 ritenuta innanzitutto l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè la ditta controricorrente non considera che, trattandosi di giudizio “instaurato” nel 2006 (data di notifica dell’atto di citazione nel giudizio di primo grado, a cui occorre ovviamente riferirsi), il termine lungo per impugnare era di un anno (e non già di sei mesi, come erroneamente si assume), sicchè considerata la data di deposito della sentenza (30.10.2014), la notifica del ricorso avvenuta il 30.4.2015 era senz’altro tempestiva perchè avvenuta entro un anno e 31 giorni (periodo di sospensione feriale ridotto a partire dal 2015);

3 rilevato che la ricorrente deduce “violazione o in subordine falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 156 e 157 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” rimproverando alla Corte d’Appello di avere ritenuto nullo l’accertamento tecnico preventivo per difetto di notifica del ricorso senza considerare invece l’intervenuta sanatoria della nullità per effetto della partecipazione ai sopralluoghi del responsabile della ditta Europedil; che sotto altro profilo contesta la decisione rimproverando alla Corte d’Appello di non aver motivato sul perchè a fronte di due relazioni di consulenza tecnica aveva prescelto la seconda e di non avere considerato che, come rilevato, il secondo CTU arch. Ma., intervenuto dopo molti anni aveva visionato uno stato dei luoghi ormai diverso perchè molti interventi erano stati completati nelle more dalla stessa committente P.;

ritenuto che la articolata censura è inammissibile;

ritenuta innanzitutto l’inammissibilità per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) sul tema della nullità dell’ATP perchè la lunga critica avverso la declaratoria di nullità dell’accertamento tecnico preventivo perde totalmente di consistenza perchè le sue risultanze furono in ogni caso confermate nel giudizio di gravame dallo stesso ingegnere A., nominato consulente tecnico dalla Corte torinese ed autore di un elaborato peritale redatto in conformità a quanto in precedenza accertato in sede di istruzione preventiva (lo ammette la stessa ricorrente a pag. 3 e 13 del ricorso): la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che l’interesse all’impugnazione – inteso quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire e la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo – deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelabile, identificabile nella concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, non essendo sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica (tra le tante, v. Sez. U., Sentenza n. 12637 del 19/05/2008 Rv. 603219);

ritenuto che pertanto il problema si sposta sul versante della ratio decidendi utilizzata dalla Corte d’Appello e fondata non già sulla relazione di consulenza dell’ing. A. (confermativa, come si è detto, dei rilievi svolti in, sede di ATP), quanto piuttosto su quella svolta dal secondo consulente, l’architetto Ma., a seguito del provvedimento di rinnovazione delle indagini (sempre adottato dalla Corte d’Appello dopo che l’ing. A., chiamato a chiarimenti, aveva dichiarato “di avere già risposto nei propri elaborati e di non essere in grado di fornire una risposta diversa”: v. pag. 3 sentenza impugnata);

rilevato che sotto tale profilo (ratio utilizzata dalla Corte d’Appello per quantificare gli importi spettanti alla ditta attrice a titolo di compenso per il subappalto) il ricorso si rivela ugualmente inammissibile perchè introduce censure alla motivazione della sentenza, oggi non più denunziabili in cassazione per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

ritenuto che pertanto il ricorso deve essere respinto con addebito di spese a carico della parte soccombente;

considerato, infine, che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato respinto, per cui sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro 2.300,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2017

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