Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12574 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 36655/2018 R.G. proposto da:

V.G., rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro Niccoli,

elettivamente domiciliata in Roma, Circumvallazione Clodia 163/171,

presso lo studio dell’avv. Greta Zografaki.

– ricorrente –

contro

R.G., rappresentato e difeso dall’avv. Simonetta

Vannucci, elettivamente domiciliato in Roma alla Via Molveno n. 53,

presso l’avv. Edoardo Bitterman.

– controricorrente –

e

VE.MA. E VE.LE., rappresentati e difesi dall’avv.

Francesco Mancini e dall’avv. Michele Mancini, con domicilio in

Empoli alla Via Tinto da Battifolle n. 3/5.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1848/2018,

depositata in data 6.8.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

16.1.2020 dal Consigliere Dott. Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.G. ha evocato in giudizio V.G. dinanzi al tribunale di Firenze, deducendo di aver stipulato con la convenuta, in data 11.11.2006, un contratto preliminare di vendita di un appezzamento di terreno sito in (OMISSIS), e della quota di 600/1000 di un fabbricato rurale e di un annesso resede; che il definitivo doveva esser concluso entro il 31.3.2007 e – comunque – non prima del rilascio della concessione in sanatoria e del frazionamento catastale, prevedendosi inoltre che, se alla data del 31.3.2007 non fosse stata rilasciata detta concessione, le parti avrebbero potuto accordarsi per la stipula dell’atto alle condizioni attuali.

Ha altresì dedotto che alla scadenza del termine contrattuale la promittente venditrice non aveva proceduto al frazionamento dell’immobile, per cui l’attore aveva receduto dal contratto in data 28.10.2008.

Ha chiesto di accertare la legittimità del recesso ex art. 1385 c.c. e di condannare la convenuta al pagamento di Euro 50.000,00, pari al doppio della caparra e all’importo dell’acconto versato.

La convenuta ha resistito alla domanda, chiedendo la chiamata in causa di Ve.Ma. e Ve.Le., dai quali aveva in precedenza acquistato l’immobile, chiedendo di essere manlevata in caso di condanna.

Il tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che l’onere di procedere al frazionamento dell’immobile fosse a carico del promissario acquirente e rilevando, inoltre, che nelle more era stata rilasciata la concessione in sanatoria.

Su appello del R., la Corte di Firenze ha riformato la decisione ed ha accolto le domande proposte in primo grado, respingendo l’azione di manleva, sull’assunto che:

ogni questione relativa alla legittima vendita del bene in relazione alla mera presentazione della domanda di sanatoria interessava il precedente contratto di compravendita rogato dal notaio Lazzeroni in data 10.7.2006, con il quale V.G. e T.V. aveva acquistato l’immobile da Ve.Ma. e Ve.Le., con clausola nella quale si dava atto che “per gli aumenti di volume riguardanti il fabbricato e per la realizzazione del fabbricato ad uso voliera, in assenza di provvedimenti autorizzativi, era stata presentata ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, domanda di sanatoria n. 14842 del 30.4.1986”;

che la successiva promessa di vendita contemplava il rilascio della concessione in sanatoria e l’effettuazione del frazionamento quale oggetto di una condizione sospensiva che non si era avverata, ostando al trasferimento degli immobili;

che il rilascio della concessione era avvenuta solo nel 2010 a distanza di circa un anno e mezzo dalla scadenza del termine contrattuale e, comunque, dopo l’esercizio del recesso.

La cassazione dell’intera sentenza è chiesta da V.G. con ricorso in due motivi illustrati con memoria.

R.G. e Ve.Le. e Ve.Ma. hanno proposto separati controricorsi.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente fondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza, R.G. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1371 c.c., L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 12, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il rilascio della concessione in sanatoria costituisse oggetto di una condizione sospensiva del contratto, omettendo di considerare che detta concessione era stata comunque rilasciata per silenzio assenso, decorsi 24 mesi dalla domanda dei precedenti titolari, presentata in data 30.4.1986. Di conseguenza, il contratto andava interpretato, considerando che le parti avevano erroneamente attribuito rilievo al provvedimento di sanatoria, tutt’altro che necessario per le successive operazioni di frazionamento.

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto assume la ricorrente, la sentenza ha con giudizio in fatto – stabilito che il rilascio della concessione edilizia era intervenuta solo dopo un rilevante lasso di tempo dal momento della scadenza del termine per la conclusione del definitivo e dopo il recesso della promissaria acquirente.

Su tale presupposto la Corte distrettuale ha giudicato legittimo il recesso ex art. 1385 c.c., sulla premessa – desunta dal tenore letterale delle clausole contrattuali – che le parti avevano espressamente condizionato l’efficacia del contratto al successivo frazionamento, cui non era stato possibile procedere a causa dell’abusività dell’immobile.

Riguardo alla valenza della clausola condizionale, la ricorrente, nel prospettare la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, ha inteso sostenere che le parti avevano erroneamente conferito rilievo al frazionamento ai fini della stipula del definitivo, cui poteva procedersi a seguito dell’avvenuta sanatoria degli abusi.

Tale assunto è però teso a proporre una personale lettura del documento contrattuale, senza evidenziare in quale punto la Corte distrettuale abbia violato le regole di ermeneutica del contratto e da cosa derivi la denunciata violazione di legge.

L’interpretazione dei contratti e degli atti negoziali in genere, in quanto accertamento della comune volontà delle parti, costituisce attività esclusiva del giudice di merito, dovendo il sindacato di legittimità limitarsi alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale.

Il ricorrente che ne deduca la violazione, deve precisare in quale modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri asseritamente violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benchè genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. 28319/2017; Cass. 25728/2013; Cass. 1754/2006).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 106 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contestando al giudice distrettuale di aver respinto l’appello incidentale condizionato con cui V.G. aveva chiesto di essere manlevata da Ve.Ma. e Leda Ve. in caso di condanna, dando erroneamente rilievo all’autonomia dei rapporti instaurati dalle parti.

A parere della ricorrente, la domanda principale doveva considerarsi automaticamente estesa a Ve.Ma. e Ve.Le., chiamati in causa a titolo di garanzia impropria, poichè questi ultimi si erano impegnati nei confronti di V.G., con rogito per notar Lazzaroni del 10.7.2006, ad ottenere la regolarizzazione del bene e a curare la pratica di rilascio della concessione in sanatoria. La censura è fondata nei termini che seguono.

E’ anzitutto da escludere che la domanda di accertamento della legittimità del recesso ex art. 1385 c.c. e di pagamento del doppio della caparra si fosse automaticamente estesa ai Ve., terzi chiamati in causa dalla V., per essere tenuti indenni dagli effetti della condanna.

La suddetta chiamata in causa era stata effettuata dalla ricorrente senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva e con la richiesta di esser tenuta indenne in caso di soccombenza, qualora il contratto fosse stato ritenuto sottoposto alla condizione sospensiva della sanatoria dell’immobile (cfr. ricorso, pag. 3-4; sentenza impugnata, pagg. 3 e 4).

La domanda principale e quella di manleva si fondavano, quindi, su due distinti ed autonomi rapporti contrattuali.

In siffatta ipotesi la posizione assunta dal terzo non contrastava, ma anzi coesisteva con quella del convenuto, occorrendo – per gli effetti invocati dalla ricorrente – che l’attore proponesse nei confronti dei chiamati un’autonoma domanda giudiziale.

Il principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova – difatti applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione del convenuto dalla pretesa dell’attore, in ragione del fatto che il terzo sia stato indicato come unico obbligato in luogo dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia sia in senso soggettivo che oggettivo, restando impregiudicata, in ragione di detta duplice alternatività, l’unicità del complessivo rapporto controverso.

Tale estensione non opera allorquando il chiamante faccia invece valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall’attore come “causa petendi” (Cass. 13131/2006; Cass. 13374/2007; Cass. 12317/2011; Cass. 8411/2016; Cass. 25559/2008; Cass. 27525/2009).

2.1. Ciò posto, l’azione di manleva non poteva – tuttavia – esser respinta sul presupposto dell’autonomia dei singoli rapporti contrattuali, nè per il fatto che il preliminare non conteneva alcun riferimento all’impegno, assunto dai Ve., di curare la pratica di regolarizzazione dell’immobile, dato che, con la chiamata in giudizio di questi ultimi, la V. aveva inteso far accertare l’inadempimento dell’obbligo assunto nel contratto del 10.7.2006, invocando uno specifico titolo di responsabilità dei propri danti causa.

La manleva proposta dalla V. non era dunque preclusa per il solo fatto che quest’ultima, per sua libera scelta, aveva subordinato il preliminare alla regolarizzazione dell’immobile entro un dato termine (31.3.2007), occorrendo accertare – agli effetti di cui si discute – se a tale data i Ve. fossero incorsi in un ritardo colpevole nel completamento della pratica di condono (che come accertato dal giudice di merito, si era perfezionata solo nel 2010), potendo configurarsi a loro carico una responsabilità contrattuale per i danni subiti dalla V. a causa del mancato perfezionamento della vendita successiva e, dunque, dell’incerta commerciabilità del bene, stabilendo se, alla data del 31.3.2007, fosse decorso un termine ragionevole per completarne la regolarizzazione, per fatto imputabile ai chiamati in causa.

E’ quindi respinto il primo motivo di ricorso, mentre è accolto il secondo.

La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Depositato in cancelleria il 25 giugno 2020

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