Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12569 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17657-2018 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

DELFANTE 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO DE JORIO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

dagli avvocati EMILIA FAVATA, LUCIANA ROMEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 104/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

la Corte d’appello di Roma in riforma della sentenza di primo grado impugnata dall’Inail rigettava la domanda di C.E. volta ad ottenere la condanna dell’Istituto al pagamento della rendita ai superstiti in ragione dell’accertata natura professionale della malattia di cui aveva sofferto il dante causa e che ne aveva determinato il decesso. A fondamento della sentenza la Corte osservava che la ricorrente avesse agito ben oltre la scadenza del termine triennale di prescrizione di cui al Testo Unico n. 1124 del 1965, art. 112, atteso che nel 1985 il de cuius aveva presentato denuncia di malattia professionale, con opposizione nel 1988; con lettera del 1989 il procuratore della C. informò l’INAIL del decesso chiedendo la rendita a nome degli eredi (ivi inclusa la C.); in data 30.10.1995 la C. aveva presentato ricorso all’Inail per mancata definizione della pratica relativa alla rendita.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione C.E. con tre motivi illustrati da memoria, ai quali ha resistito l’Inail con controricorso.

E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

RILEVATO

CHE:

1.- Col primo motivo viene dedotta violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., per violazione del principio di specificità dell’appello proposto dall’Inail secondo l’eccezione già sollevata in appello e che la Corte d’appello aveva disatteso.

Il motivo inammissibile perchè viola il principio di specificità dal momento che non trascrive nè produce lo stesso ricorso in appello dell’Inail.

2.- Col secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del testo unico n. 1124 nel 1965, art. 112, come novellato dalla sentenza della Corte Cost. n. 129/1986, e degli artt. 2935,2009143 e 2145 c.c..

Si sostiene che la ricorrente, prima della sentenza della Corte d’appello numero 1015/2009 depositata il 6 marzo 2010 (con cui furono accolte le domande relative al licenziamento ed alla malattia professionale del de cuius), non potesse avere certezza della natura professionale della malattia subita dal medesimo de cuius. Si sostiene inoltre che la Corte d’appello non avesse affrontato la questione dell’interruzione della prescrizione a seguito dell’edili actionis con la quale si rivendica il proprio diritto come statuito dalla Corte Cost. con la sentenza n. 129/1986;

3.- Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24,111 Cost., e del combinato disposto dell’art. 117 Cost., e della CEDU, artt. 1, 13, e art. 6 paragrafo 1; la sentenza gravata non appare conforme alla normativa costituzionale ed Europea in materia di giusto processo ed effettività della tutela giurisdizionale.

4. I due motivi di ricorso sono inammissibili perchè non si confrontano con il decisum e comunque perchè sollevano questioni giuridiche palesamente infondate ex art. 360 bis c.p.c..

5.- Ed invero, come osservato dai giudici d’appello, dopo la morte del congiunto la ricorrente aveva avanzato già nel 1989 domanda all’INAIL tramite il procuratore per ottenere la rendita ai superstiti ed aveva poi proposto pure ricorso amministrativo in data 30.10.1995. Mentre ha agito in giudizio solo nel 2011 quando era ampiamente decorso il termine triennale di prescrizione previsto dal TU, art. 112. Da ciò si evince che i giudici del merito abbiano ritenuto che al momento della domanda amministrativa la ricorrente fosse consapevole della natura professionale della malattia in questione attraverso un giudizio di fatto non censurabile in questa sede al difuori dai paradigmi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, neppure azionato in ricorso.

6.- Si tratta peraltro di un giudizio che è del tutto conforme al diritto, dal momento che ai fini del decorso della prescrizione in questione occorre la conoscenza della natura professionale della malattia desumibile da fatti certi ed esterni alla persona da tutelare e che siano però riferibili alla stessa persona. E nel caso di specie è stata la stessa parte che, per la ritenuta natura professionale della malattia del cuius, aveva chiesto la rendita ai superstiti per malattia professionale già nel 1989 ed aveva agito poi nel 1995 con ricorso in sede amministrativa, salvo poi intentare l’azione giudiziale oltre il termine di prescrizione triennale.

7.- La sentenza della Corte d’appello si sottrae perciò alle censure sollevate con il ricorso e rispetta l’orientamento fondamentale della materia (su cui da ultimo v. ordinanza n. 2842 del 06/02/2018) fissato nella nota pronuncia di questa Corte di Cass. n. 5090/2001 secondo la quale dopo le sentenze nn. 116/1969 e 206/1998 della Corte Cost. il dies a quo di decorrenza della prescrizione deve essere individuato con riferimento ad uno o più fatti che diano certezza, ricavata anche da presunzioni semplici, della conoscenza da parte dell’assicurato dell’esistenza dello stato morboso, dell’eziologia professionale della malattia e del raggiungimento della soglia indennizzabile.

8.- Va peraltro precisato che le menzionate pronunce della Corte Cost. non incidono minimamente sulla decisione della controversia. Ed invero, a differenza di quanto mostra di ritenere il ricorrente, a seguito delle stesse pronunce costituzionali il fondamentale presupposto per la decorrenza della prescrizione (la conoscenza della natura professionale della malattia in una soglia indennizzabile) è stato ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità alle presunzioni semplici recuperando valore alla domanda ammnistrativa ed alla relativa certificazione, anche se non più in chiave di presunzione assoluta, ma appunto sul terreno degli artt. 2727 e 2729 c.c..

9.- A nulla conta dunque la sentenza della Corte Cost. 129/1979 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma 1), posto che il termine di prescrizione era decorso prima del deposito del ricorso introduttivo che non poteva avere quindi alcun effetto interruttivo.

Neppure conta la sentenza n. 116/1969 perchè non si discute di una prestazione che fosse atta a raggiungere un minimo indennizzabile dopo la presentazione della domanda (ma si discute di rendita ai superstiti a seguito di decesso per malattia professionale).

Nemmeno rileva la sentenza della Corte Cost. n. 206/1988 perchè non si pone un problema di accertamento della malattia oltre il termine di indennizzabilità dalla cessazione del lavoro in base alla tabella.

10- Deve essere quindi dichiarata l’inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del c.u. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 4200 di cui Euro 4000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del c.u. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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