Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12569 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28307-2007 proposto da:

TETRA SPA, in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RUOZZI EDGARDO con studio in MODENA CORSO CANALCHIARO 116 (avviso

postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARANELLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIALOIA 6 presso lo

studio dell’avvocato KLITSCHE DE LA GRANGE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FERRARI GIANCARLO, giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 78/2007 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 04/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito per il resistente l’Avvocato KLITSCHE DE LA GRANGE TEODORO, che

si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

La Tetra s.p.a. (già SI.MA Ceramiche s.p.a.) ha impugnato un avviso di accertamento con il quale il comune di Maranello ha rettificato la dichiarazione ICI della società relativa all’anno 2000, rideterminando il valore di un’area di mq 43.550 (derivante dal frazionamento di una maggiore superficie di mq 87.000 circa, effettuato nel 1997 in vista di una scissione societaria), per la quale era stato dichiarato il valore di Euro 293.237.51, mentre il comune aveva accertato, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, e art. 6 il maggior valore di Euro 1.936.668,50, “in base alla individuazione della zona di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento necessari per la costruzione, ai criteri di valutazione degli elementi socio economici e caratteristici dell’area”.

La società sostiene che a causa del vincolo di destinazione dell’area in questione (destinata appunto esclusivamente al trasferimento dell’opificio industriale della società), mancherebbe il presupposto perchè possa configurarsi “un valore venale in comune commercio”, per cui non ci sarebbero termini di riferimento per la sua valutazione.

I giudici di merito, in primo ed in secondo grado hanno rigettato il ricorso della società, la quale ricorre oggi per la cassazione della sentenza specificata in epigrafe, sulla base di due motivi. Il comune di Maranello resiste con controricorso illustrato anche con memoria.

La difesa dell’ente comunale ha prodotto istanza per la riunione di ricorsi analoghi relativi ad altre annualità.

Diritto

Preliminarmente, tenuto conto dell’autonomia dei periodi di imposta, non si ritiene opportuno procedere alla riunione degli altri ricorsi, comunque trattati congiuntamente all’odierna udienza.

Nel merito, il ricorso non può trovare accoglimento.

Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 sul rilievo che l’area destinata alla realizzazione di un opificio industriale sarebbe un unicum non valutabile secondo i criteri del valore venale commerciale, per mancanza di validi termini di raffronto. Il rilievo appare infondato. Il fatto che l’area in questione sia destinata alla realizzazione di uno specifico tipo di fabbricato non significa che perciò stesso l’area sia svuotata di valore. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 elenca una serie di parametri in base ai quali è sempre possibile ricostruire comparativamente il valore venale commerciale di un terreno.

Il fatto che sul terreno in questione dovesse essere realizzato necessariamente un opificio industriale da parte della società ricorrente non significa che non si possa attribuire al suolo un valore in funzione della sua dislocazione, dei volumi realizzabili, della presenza di infrastrutture, e così via. Anche in caso di sussistenza di vincoli è possibile stabilire il valore in base ai prezzi medi di mercato per aree aventi analoghe caratteristiche o comunque in base alle sue caratteristiche ed ai consueti criteri di valutazione economica. Semmai, il controllo va fatto sulla correttezza della applicazione del criterio comparativo, che deve tenere conto del vincolo, così come emerge dalla motivazione dell’atto di accertamento. Ma questa è questione che attiene al merito dell’accertamento. Peraltro, non è detto che la specifica destinazione di un suolo alla realizzazione di una particolare tipologia di fabbricato deprima necessariamente il valore dell’area edificabile. La destinazione ad edilizia abitativa di un suolo in zona isolata e non di pregio, o magari in località circondata da opifici industriali, non fa lievitare il valore cosi come avviene invece se viene prevista la realizzazione di fabbricati di tipo industriale. Nessuno acquisterebbe un suolo per realizzare una abitazione familiare in una zona insalubre e magari priva di esercizi commerciali, mentre invece lo stesso suolo acquisterà un valore maggiore se destinato alla realizzazione di fabbricati per i quali non consigliabile l’inserimento in un contesto urbanizzato.

Nè appare fondato il rilievo secondo il quale l’area sarebbe priva di valore commerciale, in quanto soltanto la società che ne era proprietaria poteva realizzare l’opificio. Il vincolo può essere elemento che incide (positivamente o negativamente, a seconda che la destinazione corrisponda o meno alla vocazione economico-sociale del suolo) nella determinazione del valore, ma non un ostacolo alla quantificazione del valore venale dell’area fabbricabile, che comunque, nella specie, è un componente del patrimonio della società proprietaria.

Peraltro non è affatto vero che il vincolo renda incommerciabile l’area in questione, posto che l’opificio da realizzarsi ad opera della società proprietaria poteva benissimo essere oggetto di compravendita di cosa futura, ovvero, una volta realizzato, poteva essere oggetto di normale compravendita, separatamente o unitamente alla società, con un suo distinto valore commerciale o con valore incorporato nel prezzo delle partecipazioni societarie. D’altra parte, la stessa ricorrente afferma che una parte del medesimo suolo sottoposto a vincolo non appartiene più alla società e, quindi, è stato oggetto di un atto di autonoma disposizione, presumibilmente (in mancanza di prova contraria) sulla base di una valutazione commerciale che abbia tenuto conto della specifica destinazione.

La società ricorrente invoca anche il riesame della documentazione già acquisita nei gradi di merito, al fine della corretta determinazione del valore dell’area in questione. Si tratta di richiesta inammissibile in questa sede di legittimità, perchè attiene al giudizio di fatto. Lo stesso dicasi per la deduzione con la quale si assume che il valore dichiarato sarebbe stato accertato come valore finale ai fini dell’invim straordinaria 1991. La censura è priva di autosufficienza e, comunque, è irrilevante perchè a distanza di cinque anni non è detto che il valore sia rimasto immutato. Basta la realizzazione di una strada o di altre infrastrutture per far lievitare verso l’alto il valore di un fondo.

Infine, la società eccepisce che il comune non avrebbe esplicitato i criteri in base ai quali è stato fissato il prezzo unitario per metro quadro. La censura però attiene alla motivazione dell’atto di accertamento e, quindi, al merito del l’accertamento stesso, per cui è inammissibile in questa sede di legittimità.

In definitiva, rispondendo al quesito di diritto formulato a corredo del motivo, va affermato il seguente principio: “è legittimo l’avviso di accertamento ai fini ICI redatto sulla base del valore venale in comune commercio di aree finitime con destinazione industriale, anche quando oggetto dell’accertamento sia un’area in relazione alla quale il P.R.G. vigente preveda l’edificabilità unicamente a favore del proprietario e all’esclusivo scopo che il medesimo vi trasferisca l’opificio industriale esercitato in altra sede”.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. unitamente a vizi di motivazione (in relazione ai quali però manca la formulazione di un quesito-sintesi, per cui, sotto questo profilo, il motivo stesso è inammissibile:

Cass. 2652/2008), prospettando il seguente quesito di diritto: “se l’accertamento di valore ai fini ICI, resosi definitivo in anni pregressi relativamente ad un’area nella stessa situazione di fatto e di diritto, spieghi effetto di giudicato preclusivo per l’annualità successiva”. In linea di principio, non si può affermare il principio della staticità ed immutabilità dei valori immobiliari, per il solo fatto che non ci siano stati negli anni sostanziali modifiche della situazione di fatto o di diritto di un immobile.

Appartiene alla comune esperienza il fatto che i cicli economici possono portare ad impennate dei valori o alla loro totale depressione in ragione di congiunture che prescindono dai localismi.

Se in un anno si verifica un incremento di domanda per un certo tipo di immobili, il valore può lievitare in maniera anche imprevedibile, così come può crollare in momenti di depressione. Ne deriva che è buona regola stimare e misurare anno per anno i valori immobiliari, sulla base dei parametri stabiliti dal legislatore senza che possa essere attribuito alcun valore vincolante a “giudicati estimativi” esterni, riferiti ad annualità differenti da quella di competenza.

Nella specie, poi, il presupposto di fatto (identità della situazione di fatto e di diritto) sulla base del quale viene formulato il quesito è smentito per tabulas perchè non è affatto vero che la situazione di fatto e di diritto sia rimasta immutata rispetto a quella accertata con la sentenza passata in giudicato, relativa agli anni 1993-1995, atteso che la stessa parte ricorrente riferisce che, nell’anno 1997, c’è stato un frazionamento dell’area unitariamente considerata negli gli anni pregressi.

Va comunque precisato che l’affermazione di principio sulla inidoneità del giudicato estimativo a produrre effetti vincolanti esterni, formulata ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, nella specie è assorbita dalla improcedibilità del ricorso, con riferimento al secondo motivo, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto non risulta depositata, presso la cancelleria di questa Corte, la sentenza di merito, asseritamente passata in giudicato, che avrebbe dovuto vincolare la CTR nel pronunciare la sentenza impugnata.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato con la compensazione delle spese del giudizio di legittimità in considerazione dei profili di novità delle questioni prospettate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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