Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12569 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27174/2017 proposto da:

Molisannio S.p.a. in liquidazione volontaria ed in concordato

preventivo, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Cremera n. 11, presso lo

studio dell’avvocato Formiconi Antonio, rappresentata e difesa

dall’avvocato Prozzo Roberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.R., F.A., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Pietro della Valle n. 1, presso lo studio dell’avvocato Molinaro

Luigi, rappresentati e difesi dall’avvocato Cancellario Camillo,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 3058/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Benevento, in accoglimento della domanda risarcitoria proposta da Molisannio s.p.a. in liquidazione volontaria e in concordato preventivo, accertava che F.R. si era reso responsabile del reato di bancarotta preferenziale, quale direttore generale della società, e inoltre, ove pure non avesse rivestito tale qualifica, quale autore a titolo di concorso nel reato stesso; accertava inoltre la simulazione relativa di un rapporto bancario intestato a F.A., che reputava dover essere ricondotto allo stesso R., e condannava quest’ultimo al pagamento della somma di Euro 283.176,10, oltre rivalutazione ed interessi in favore dell’attrice; condannava per il medesimo titolo lo stesso F.R. e F.A. al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 25.000,00 per danni morali.

2. – Interposto gravame, la Corte di appello di Napoli riformava la sentenza impugnata e rigettava la domanda proposta da Molisannio. Rilevava che F.R. non poteva essere qualificato direttore generale in assenza del conferimento di tale carica da parte dell’assemblea o del consiglio di amministrazione della società; escludeva, inoltre, che lo stesso potesse essere considerato come autore, a titolo di concorso, del reato di bancarotta preferenziale, risultando evidenza del solo trasferimento di somme dal conto personale di F.R. a quello della figlia A.: circostanza, questa, che in sè non valeva a integrare la fattispecie di illecito che era stata contestata all’appellante.

3. – La sentenza della Corte partenopea, pubblicata il 30 giugno 2017, è stata impugnata per cassazione da Molisannio. Il ricorso è articolato in cinque motivi. Resistono con controricorso F.R. ed A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Viene anzitutto opposta l’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del primo motivo di appello e la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Viene dedotto che Molisannio aveva eccepito come il primo motivo di gravame, con cui F. aveva contestato di aver ricoperto la carica di direttore generale della società, era inammissibile, in quanto l’appellante aveva posto in discussione una circostanza che non aveva contestato al momento della costituzione in giudizio e che quindi doveva ritenersi definitivamente ed irreversibilmente accertata.

Il motivo è inammissibile.

Esso è carente di autosufficienza in quanto non reca la puntuale trascrizione del motivo di appello che si assume non esaminato. Il rilievo non è fine a se stesso, giacchè, a fronte della mancata esplicitazione del mezzo di gravame è finanche precluso comprendere la precisa natura dell’eccezione svolta: elemento, questo, che si rivela cruciale giacchè, come è sottolineato dalla stessa istante, il mancato esame, da parte del giudice del merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Cass. 10 novembre 2015, n. 22952; Cass. 12 gennaio 2016, n. 321; Cass. 14 marzo 2018, n. 6174).

2. – Col secondo motivo vengono lamentate la violazione – la falsa applicazione degli artt. 115,163 e 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e la violazione del principio di non contestazione. E’ spiegato che la ricorrente aveva proposto la domanda con un atto di citazione estremamente circostanziato, in cui aveva più volte espressamente sottolineato che F. aveva ricoperto la carica di direttore generale della società, che in tale qualità gli erano stati contestati diversi reati fallimentari e che la sua condotta integrava una bancarotta preferenziale. Nel costituirsi in giudizio, lo stesso controricorrente – prosegue l’istante – non aveva contestato specificamente i fatti posti a fondamento della domanda e aveva articolato una difesa del tutto generica.

Il motivo è privo di fondamento.

E’ la stressa istante a dare atto, a pag. 15 del ricorso, che F., nella propria comparsa di risposta, ebbe a rilevare che egli avrebbe potuto rispondere della bancarotta solo ove fosse “dimostrata la sua qualità di direttore generale ovvero vi (avesse) altrimenti concorso con gli altri amministratori”: locuzione, questa, che, nel prospettare la necessità di una prova dell’indicata qualità, smentisce, con tutta evidenza, che la circostanza potesse reputarsi pacifica in causa.

3. – Il terzo mezzo prospetta l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e la motivazione apparente. Ricorda la ricorrente che la Corte di merito aveva ritenuto incontroversa l’insussistenza degli elementi formali che consentivano di qualificare F.R. direttore generale della società: lo stesso giudice distrettuale, tuttavia, avrebbe omesso di esaminare tutte le argomentazioni e l’intera documentazione rilevante a tal fine.

Il motivo è inammissibile.

Esso si risolve in una non consentita rivisitazione delle risultanze probatorie.

La scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (così, da ultimo, Cass. 4 luglio 2017, n. 16467) e dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 31 luglio 2017, n. 19011).

D’altro canto, un apprezzamento improprio del materiale probatorio sottoposto al giudice del merito non è deducibile in sede di legittimità come vizio di motivazione. Va qui ricordato che nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che integra una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, “a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Nella fattispecie non può nemmeno farsi questione di motivazione apparente, giacchè il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello è del tutto chiaro, mentre la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977).

4. – Con il quarto mezzo la sentenza impugnata è censurata per violazione falsa applicazione degli artt. 115,163 e 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. E’ spiegato che la ricorrente, nell’atto di citazione, aveva chiaramente evidenziato, attraverso una puntuale ricostruzione delle vicende societarie, che F. aveva prelevato dai propri libretti tutte le somme che vi aveva in precedenza depositato e che ciò era stato fatto in pendenza dell’ispezione della Guardia di Finanza, e addirittura dopo la cancellazione della società dall’elenco degli intermediari finanziari, così da sfuggire alla falcidia concordataria che invece aveva colpito tutti i risparmiatori. I convenuti poi, nel costituirsi in giudizio, avrebbero contestato del tutto genericamente la fondatezza della domanda.

Col quinto motivo viene denunciata l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia ed è dedotto che il provvedimento impugnato sarebbe munito di una motivazione meramente apparente. L’istante prende in considerazione l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui la società in concordato si era limitata a ritenere che il trasferimento di somme dal conto personale di F. al conto della figlia A. integrasse un’ipotesi di bancarotta preferenziale senza provare la violazione della par condicio creditorum. Oppone la ricorrente di non aver mai affermato che la bancarotta fosse integrata dal detto trasferimento di somme, avendo invece sempre sostenuto che F. “aveva posto in essere una bancarotta preferenziale “ritirando” le somme depositate sui libretti a dispetto degli altri “risparmiatori” che avevano invece dovuto subire la falcidia concordataria”.

I due motivi, che si prestano a uno scrutinio congiunto, sono inammissibili.

La Corte di appello, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato come ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria la violazione della par condicio creditorum, oltre che il dolo specifico costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualità di un danno per gli altri, per cui la condotta illecita non consiste nell’indebito superamento del patrimonio del debitore ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori. Ha poi osservato che il trasferimento di somme dal conto personale di F.R. a quello della figlia A. non risultava essere decisivo in assenza della violazione della richiamata par condicio creditorum. La Corte di merito ha inteso in sintesi valorizzare la mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie di cui alla L. Fall., art. 216, comma 3, consistente nell’eseguire pagamenti o simulare titoli di prelazione allo scopo di favorire, a danno dei creditori, taluni di essi.

Ciò posto, il quarto motivo appare carente di autosufficienza, in quanto non riproduce il contenuto delle allegazioni cui la ricorrente intende attribuire rilievo.

Il richiamo, su cui è incentrato il quinto motivo, alla condotta attuata da F.R. attraverso il ritiro di somme depositate sui libretti a discapito di non meglio identificati risparmiatori (pag. 23 del ricorso) non appare concludente: e infatti, tale passaggio, oltre a scontare il difetto di autosufficienza evidenziato con riguardo al quarto motivo (giacchè l’istante manca di riprodurre nel ricorso per cassazione la pertinente deduzione difensiva che assume svolta nel precorso giudizio di merito), non è idoneo a superare l’accertamento di fatto, insindacabile in questa sede, del mancato prodursi del risultato consistente non già nell’indebito depauperamento dell’attivo patrimoniale, quanto piuttosto nell’alterazione dell’ordine con cui devono essere soddisfatti i creditori, privilegiati e chirografari. Nè, sul punto, può farsi questione del denunciato vizio motivazionale, dal momento che la Corte di merito ha dato compiutamente ragione della decisione assunta e, in assenza di dettagliati ragguagli quanto al contenuto delle deduzioni svolte, nel giudizio di merito, da Molisannio, non vi è modo di sostenere che la motivazione spesa sia da considerarsi meramente apparente.

5. – Il ricorso va dichiarato in conclusione inammissibile.

6. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

 

 

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