Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12568 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20098/2006 proposto da:

TETRA SPA, in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RUOZZI Edgardo con studio in MODENA CORSO CANALCHIARO 116 (avviso

postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARANELLO;

– intimato –

sul ricorso 24678/2006 proposto da:

COMUNE DI MARANELLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo

studio dell’avvocato KLITSCHE DE LA GRANDE TEODORO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRARI GIANCARLO,

giusta delega in calce;

– controricorrente e ric. inc.le –

contro

TETRA SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 27/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 24/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito per il resistente l’Avvocato KLITSCHE DE LA GRANGE TEODORO per

delega Avv. FERRARI GIANCARLO, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto principale,

assorbito quello incidentale.

 

Fatto

La Tetra s.p.a. (già Si.ma Ceramiche s.p.a.) ha impugnato, con separati ricorsi, due avvisi di accertamento con i quali il comune di Maranello ha rettificato la dichiarazione ICI della società relativa all’anno 1998.

In particolare, trattasi di due avvisi di accertamento (il secondo dei quali di rettifica parziale in autotutela di taluni errori riconosciuti) con i quali è stato rideterminato il valore di un’area di mq 43.550 (derivante dal frazionamento di una maggiore superficie di mq 87.000 circa, effettuato nel 1997 in vista di una scissione societaria), per la quale era stato dichiarato il valore di Euro 200.643,50, mentre il comune aveva accertato, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, e art. 6, il maggior valore di Euro 1.844.342,50, tenendo conto “della zona territoriale di ubicazione, ed in particolare del vincolo posto sull’area … che ne prevede la destinazione per il trasferimento dell’opificio industriale della TETRA S.p.A., all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno per la costruzione, a criteri di valutazione degli elementi socioeconomici caratteristici dell’area”.

La società sostiene che a causa del vincolo di destinazione dell’area in questione, mancherebbe il presupposto perchè possa configurarsi “un valore venale in comune commercio”, per cui non ci sarebbero termini di riferimento per la sua valutazione.

La commissione tributaria provinciale ha accolto i ricorsi, previa riunione, sul rilievo della sostanziale inedificabilità del suolo in questione. La commissione tributaria regionale, invece, accogliendo in parte l’appello dell’ufficio, “in via equitativa”, ha ridotto del 50% il valore accertato.

La società ricorre per la cassazione della sentenza di appello, meglio specificata in epigrafe, sulla base di un unico motivo. Il comune di Maranello resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, illustrati anche con memoria. La difesa dell’ente comunale ha prodotto istanza per la riunione di ricorsi analoghi relativi ad altre annualità.

Diritto

Preliminarmente, tenuto conto dell’autonomia dei periodi di imposta, non si ritiene opportuno procedere alla riunione degli altri ricorsi, comunque trattati congiuntamente all’odierna udienza. Vanno riuniti invece il ricorso principale ed il ricorso incidentale, proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Nel merito nessuno dei due ricorsi può trovare accoglimento.

Con l’unico motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, sul rilievo che l’area destinata alla realizzazione di un opificio industriale sarebbe un unicum non valutabile secondo i criteri del valore venale commerciale, per mancanza di validi termini di raffronto. Il rilievo appare infondato. Il fatto che l’area in questione sia destinata alla realizzazione di uno specifico tipo di fabbricato non significa che perciò stesso l’area sia svuotata di valore. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, elenca una serie di parametri in base ai quali è sempre possibile ricostruire comparativamente il valore venale commerciale di un terreno. Il fatto che sul terreno in questione dovesse essere realizzato necessariamente un opificio industriale da parte della società ricorrente non significa che non si possa attribuire al suolo un valore in funzione della sua dislocazione, dei volumi realizzabili, della presenza di infrastrutture, e così via. Anche in caso di sussistenza di vincoli è possibile stabilire il valore in base ai prezzi medi di mercato per aree aventi analoghe caratteristiche o comunque in base alle sue caratteristiche ed ai consueti criteri di valutazione economica. Semmai, il controllo va fatto sulla correttezza della applicazione del criterio comparativo, che deve tenere conto del vincolo, così come emerge dalla motivazione dell’atto di accertamento. Ma questa è questione che attiene al merito dell’accertamento. Peraltro, non è detto che la specifica destinazione di un suolo alla realizzazione di una particolare tipologia di fabbricato deprima necessariamente il valore dell’area edificabile. La destinazione ad edilizia abitativa di un suolo in zona isolata e non di pregio, o magari in località circondata da opifici industriali, non fa lievitare il valore così come avviene invece se viene prevista la realizzazione di fabbricati di tipo industriale. Nessuno acquisterebbe un suolo per realizzare una abitazione familiare in una zona insalubre e magari priva di esercizi commerciali, mentre invece lo stesso suolo acquisterà un valore maggiore se destinato alla realizzazione di fabbricati per i quali non è consigliabile l’inserimento in un contesto urbanizzato.

Nè appare fondato il rilievo secondo il quale l’area sarebbe priva di valore commerciale, in quanto soltanto la società che ne era proprietaria poteva realizzare l’opificio. Il vincolo può essere elemento che incide (positivamente o negativamente, a seconda che la destinazione corrisponda o meno alla vocazione economico-sociale del suolo) nella determinazione del valore, ma non un ostacolo alla quantificazione del valore venale dell’area fabbricabile, che comunque, nella specie, è un componente del patrimonio della società proprietaria.

Peraltro non è affatto vero che il vincolo renda incommerciabile l’area in questione, posto che l’opificio da realizzarsi ad opera della società proprietaria poteva benissimo essere oggetto di compravendita di cosa futura, ovvero, una volta realizzato, poteva essere oggetto di normale compravendita, separatamente o unitamente alla società, con un suo distinto valore commerciale o con valore incorporato nel prezzo delle partecipazioni societarie. D’altra parte, la stessa ricorrente afferma che una parte del medesimo suolo sottoposto a vincolo non appartiene più alla società e, quindi, è stato oggetto di un atto di autonoma disposizione, presumibilmente (in mancanza di prova contraria) sulla base di una valutazione commerciale che abbia tenuto conto della specifica destinazione.

La società ricorrente invoca anche il riesame della documentazione già acquisita nei gradi di merito, al fine della corretta determinazione del valore dell’area in questione. Si tratta di richiesta inammissibile in questa sede di legittimità, perchè attiene al giudizio di fatto. Lo stesso dicasi per la deduzione con la quale si assume che il valore dichiarato sarebbe stato accertato come valore finale ai fini dell’invim straordinaria 1991. La censura è priva di autosufficienza e, comunque, è irrilevante perchè a distanza di cinque anni non è detto che il valore sia rimasto immutato. Basta la realizzazione di una strada o di altre infrastrutture per far lievitare verso l’alto il valore di un fondo.

Infine, la società eccepisce che il comune non avrebbe esplicitato i criteri in base ai quali il prezzo unitario era stato fissato nella misura di L. 82.000 per metro quadro. La censura però attiene alla motivazione dell’atto di accertamento e, quindi, al merito dell’accertamento stesso, per cui è inammissibile in questa sede di legittimità.

Infine, la parte ricorrente eccepisce in maniera del tutto informale che la CTR non avrebbe tenuto conto di un precedente giudicato di merito avente ad oggetto la valutandone della stessa area negli anni 1993, 1994 e 1995.

L’eccezione è del tutto irrituale ed irricevibile, perchè trattasi di questione che andava prospettata con autonomo motivo di ricorso, con specifico riferimento al tipo di violazione che si intendeva denunciare (violazione dell’art. 2909 c.c., omessa pronuncia o vizio di motivazione) in base a scelte difensive, in relazione alle quali il giudice non può svolgere opera di supplenza. La censura è anche carente di autosufficienza oltre che irrilevante ai fini della valutazione di merito, trattandosi di una valutazione risalente negli anni, precedente il frazionamento della superficie medesima che certamente ha comportato un diverso assetto socioeconomico della zona. Infine, ove mai si volesse attribuire alla eccezione la dignità del motivo di ricorso, la censura sarebbe comunque inammissibile, non soltanto perchè non autosufficiente, ma anche perchè avrebbe dovuto essere supportata dal deposito, presso la cancelleria della Corte, della sentenza asseritamente passata in giudicato.

Con il ricorso incidentale, il comune di Maranello denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, in quanto la CTR avrebbe erroneamente disatteso i criteri stabiliti dal legislatore per affidarsi ad un non condivisibile criterio equitativo. La censura sarebbe fondata anche perchè, pur senza enunciarlo, la difesa dell’ente comunale lamenta anche una contraddittorietà della motivazione della CTR perchè questa, dopo avere affermato che il comune conosce meglio la situazione socio economica del territorio, abbatte del 50% il valore accertato dallo stesso comune, in nome di un criterio di equità che non è previsto dal legislatore, smentendo quindi la precedente affermazione della maggiore affidabilità della valutazione comunale. Ma il motivo è inammissibile perchè la quantificazione del valore non è basato soltanto sull’esito di un giudizio di equità della CTR, bensì anche, e principalmente, sull’affermata esigenza di “omogeneità”, rispetto “alla sentenza della CTR di Bologna n. 19 del 29/3/2004 depositata il 14/6/2004 dalla sezione 8, il cui contenuto si condivide pienamente, determinando il valore imponibile nella misura del 50% di quello accertato dal Comune” (ultimo periodo della sentenza impugnata). In altri termini, la vera ratio decidendi su cui è basato l’accertamento di valore è quella della condivisione dei motivi della sentenza richiamata (una sorta di motivazione per relationem, che però non viene contestata in questa sede) e della necessità di uniformarsi alla stessa per ragioni di omogeneità (una sorta di efficacia esterna della sentenza, che prescinde dal passaggio in giudicato, che comunque non è stata contestata). Tale ratio non risulta impugnata e, quindi, rende irrilevante (rectius:

inammissibile per carenza di interesse) la censura che riguarda altro brano della motivazione, la cui eliminazione non travolgerebbe il giudizio finale sul valore dell’immobile in questione.

Conseguentemente, entrambi i ricorsi riuniti vanno rigettati, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità per la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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