Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12567 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17511/2005 proposto da:

TETRA SPA, in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RUOZZI Edgardo con studio in MODENA CORSO CANALCHIARO 116, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARANELLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo

studio dell’avvocato KLITSCHE DE LA GRANGE TEODORO, rappresentato e

difeso dall’avvocato FERRARI Giancarlo, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19/2004 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 14/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito per il resistente l’Avvocato KLITSCHE DE LA GRANGE TEODORO per

delega Avv. FERRARI GIANCARLO, che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

La Tetra s.p.a. (già Si.Mi Ceramiche s.p.a.) ha impugnato, con separati ricorsi, due avvisi di accertamento con i quali il comune di Maranello ha rettificato le dichiarazioni ICI della società relative agli anni 1996 e 1997.

In particolare, l’avviso relativo all’anno 1996 riguarda un’area della estensione di mq 87.000, per il quale era stato dichiarato il valore di L. 740 milioni, mentre il comune aveva accertato, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, e art. 6, il maggior valore di L. 7 miliardi e 134 milioni, tenendo conto “della zona territoriale di ubicazione, ed in particolare del vincolo posto sull’area … che ne prevede la destinazione per il trasferimento dell’opificio industriale della SI.MA Ceramiche, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno per la costruzione, a criteri di valutazione degli elementi socioeconomici caratteristici dell’area”. Lo stesso avviso riguarda anche una minore area di mq 5.774 il cui valore dichiarato di L. 161.128.000 è stato rettificato in L. 1.016.224.000.

L’avviso relativo al 1997 riguarda solo la rettifica del valore della maggiore superficie vincolata alla realizzazione dell’opificio industriale.

La società sostiene che, in relazione alla maggiore area, a causa del vincolo di destinazione, mancherebbe il presupposto perchè possa configurarsi “un valore venale in comune commercio”, per cui non ci sarebbero termini di riferimento per la sua valutazione. Il valore della superficie minore, invece, asservita ad un edificio, sarebbe inglobato in quello dell’immobile principale, in quanto pertinenza dello stesso.

La commissione tributaria provinciale ha accolto i ricorsi, previa riunione, sul rilievo della sostanziale inedificabilità del maggiore appezzamento e della natura pertinenziale della minore superficie. La commissione tributaria regionale, invece, accogliendo in parte l’appello dell’ufficio, “in via equitativa”, ha ridotto del 50% il valore accertato, rilento alla superficie maggiore, confermando totalmente l’accertamento per la superficie minore.

La società ricorre per la cassazione della sentenza di appello, meglio specificata in epigrafe, sulla base di due motivi. Il comune di Maranello resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

La difesa dell’ente comunale ha prodotto istanza per la riunione di ricorsi analoghi relativi ad altre annualità.

Diritto

Preliminarmente, tenuto conto dell’autonomia dei periodi di imposta, non si ritiene opportuno procedere alla riunione degli altri ricorsi, comunque trattati congiuntamente all’odierna udienza.

Nel merito, il ricorso non può trovare accoglimento.

Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, sul rilievo che l’arca destinata alla realizzazione di un opificio industriale sarebbe un unicum non valutabile secondo i criteri del valore venale commerciale, per mancanza di validi termini di raffronto. Il rilievo appare infondato. Il fatto che l’area in questione sia destinata alla realizzazione di uno specifico tipo di fabbricato non significa che perciò stesso l’area sia svuotata di valore. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, elenca una serie di parametri in base ai quali è sempre possibile ricostruire comparativamente il valore venale commerciale di un terreno. Il fatto che sul terreno in questione dovesse essere realizzato necessariamente un opificio industriale da parte della società ricorrente non significa che non si possa attribuire al suolo un valore in funzione della sua dislocazione, dei volumi realizzabili, della presenza di infrastrutture, e così via.

Anche in caso di sussistenza di vincoli è possibile stabilire il valore in base ai prezzi – medi di mercato per aree aventi analoghe caratteristiche o comunque in base alle sue caratteristiche ed ai consueti criteri di valutazione economica. Semmai, il controllo va fatto sulla correttezza della applicazione del criterio comparativo, che deve tenere conto del vincolo, così come emerge dalla motivazione dell’atto di accertamento. Ma questa è questione che attiene al merito dell’accertamento. Peraltro, non è detto che la specifica destinazione di un suolo alla realizzazione di una particolare tipologia di fabbricato deprima necessariamente il valore dell’area edificabile. La destinazione ad edilizia abitativa di un suolo in zona isolata e non di pregio, o magari in località circondata da opifici industriali, non fa lievitare il valore cosi come avviene invece se viene prevista la realizzazione di fabbricati di tipo industriale. Nessuno acquisterebbe un suolo per realizzare una abitazione familiare in una zona insalubre e magari priva di esercizi commerciali, mentre invece lo stesso suolo acquisterà un valore maggiore se destinato alla realizzazione di fabbricati per i quali non è consigliabile l’inserimento in un contesto urbanizzato.

Nè appare fondato il rilievo secondo il quale l’area sarebbe priva di valore commerciale, in quanto soltanto la società che ne era proprietaria poteva realizzare l’opificio. Il vincolo può essere elemento che incide (positivamente o negativamente, a seconda che la destinazione corrisponda o meno alla vocazione economico-sociale del suolo) nella determinazione del valore, ma non un ostacolo alla quantificazione del valore venale dell’area fabbricabile, che comunque, nella specie, è un componente del patrimonio della società proprietaria.

Peraltro non è affatto vero che il vincolo renda incommerciabile l’area in questione, posto che l’opificio da realizzarsi ad opera della società proprietaria poteva benissimo essere oggetto di compravendita di cosa futura, ovvero, una volta realizzato, poteva essere oggetto di normale compravendita, separatamente o unitamente alla società, con un suo distinto valore commerciale o con valore incorporato nel prezzo delle partecipazioni societarie.

La società ricorrente invoca anche il riesame della documentazione già acquisita nei gradi di merito, al fine della corretta determinazione del valore dell’area in questione. Si tratta di richiesta inammissibile in questa sede di legittimità, perchè attiene al giudizio di fatto. Lo stesso dicasi per la deduzione con la quale si assume che il valore dichiarato sarebbe stato accertato come valore finale ai fini dell’invim straordinaria 1991. La censura è priva di autosufficienza e, comunque, è irrilevante perchè a distanza di cinque anni non è detto che il valore sia rimasto immutato. Basta la realizzazione di una strada o di altre infrastrutture per far lievitare verso l’alto il valore di un fondo.

Infine, la società eccepisce che il comune non avrebbe esplicitato i criteri in base ai quali il prezzo unitario era stato fissato nella misura di L. 82.000 per metro quadro. La censura però attiene alla motivazione dell’atto di accertamento e, quindi, al merito dell’accertamento stesso, per cui è inammissibile in questa sede di legittimità.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. a) e art. 5, comma 6, in quanto l’area di dimensione minore, nel 1996, doveva considerarsi pertinenza di fabbricato e non più area autonomamente edificabile. A sostegno di tale tesi, la società invoca documenti allegati al ricorso introduttivo, richiedendo ancora una volta una inammissibile valutazione di merito.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato con la compensazione delle spese del giudizio di legittimità in considerazione dell’alterno esito del giudizio di merito e della novità della questione principale prospettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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