Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12566 del 22/05/2018


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Civile Sent. Sez. U Num. 12566 Anno 2018
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso 20403-2012 proposto da:
BALLOCCHI Riccardo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria, n. 5, presso lo studio dell’Avvocato Laura Tricerri, che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato Alessandro Borachia;
– ricorrente contro
VITTORIA ASSICURAZIONI s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma,
VIA G. Paisiello, n. 40, presso lo studio dell’Avvocato David Morganti,
rappresentata e difesa dall’Avvocato Ricardo Duykers Mannocci;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 22/05/2018

contro
PEDROTEC s.r.l. e MAURRI Mauro;
– intimati e nei confronti di
BALLOCCHI Gisberto, LOMBARDI Franca e NOTARANGELO Ilaria;

avverso la sentenza n. 466/2012 della Corte d’appello di Genova, depositata il 20 aprile 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13
febbraio 2018 dal Consigliere Alberto Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Carmelo Sgroi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Ricardo Duykers Mannocci.

FATTI DI CAUSA
1. – Con citazione notificata il 5 dicembre 2000, Riccardo Ballocchi convenne in giudizio Mauro Maurri, la Pedrotec s.r.l. e la Vittoria
Assicurazioni s.p.a. per sentirli condannare al risarcimento del danno
subito a seguito di un sinistro stradale verificatosi il 7 aprile 2000 allorché esso attore, alla guida di un motociclo, venne a collisione con
un autocarro di proprietà della Pedrotec condotto dal Maurri e assicurato con la Vittoria Assicurazioni s.p.a.
Costituendosi in giudizio, la Vittoria Assicurazioni contestò che la
responsabilità dell’incidente fosse interamente attribuibile al conducente Maurri.
Intervennero volontariamente in giudizio Ilaria Notarangelo, moglie del Ballocchi e proprietaria del motoveicolo da questo condotto,
nonché Gisberto Ballocchi e Franca Lombardi, genitori dell’attore,

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– intimati –

chiedendo, tutti, il risarcimento dei danni non patrimoniali a loro volta
patiti a seguito dell’incidente occorso al prossimo congiunto e, la sola
Notarangelo, domandando anche il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita del motociclo.
Ritenuto il concorso di colpa dell’attore nella misura di un terzo,

all’attore, la somma di euro 206.672,28; all’intervenuta Notarangelo,
la somma di euro 4.290,21 a titolo di danno patrimoniale nonché di
euro 5.000 a titolo di danno morale; agli intervenuti Ballocchi e Lombardi, a titolo di danno morale, la somma di euro 3.000 ciascuno.
2. – I convenuti proposero appello lamentando, per quanto qui
ancora interessa, che il danno patrimoniale era stato liquidato in misura eccessiva, perché il Tribunale non aveva detratto dall’importo
spettante all’attore il valore della rendita che l’Istituto nazionale per
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro aveva preso a corrispondergli a causa dell’invalidità permanente causata dall’incidente stradale, qualificato come infortunio in itinere.
3. – La Corte d’appello di Genova, con sentenza resa pubblica
mediante deposito in cancelleria il 20 aprile 2012, ha accolto in parte
l’appello, ritenendo che da quanto liquidato a favore di Riccardo Bal!occhi a titolo di risarcimento del danno doveva essere detratto il valore capitalizzato della rendita INAIL ricevuta per il medesimo evento
dannoso.
La Corte territoriale ha rilevato che le somme riconosciute dal
primo giudice a titolo di danno patrimoniale (euro 120.157,09) sono
da intendere interamente assorbite dalla rendita per invalidità permanente del 40% liquidata a favore del Ballocchi nella misura capitale
di euro 160.194,85.
Secondo la Corte territoriale, è irrilevante la circostanza che
l’INAIL non abbia esercitato, verso i danneggianti e la loro assicurazione, il diritto di regresso di cui all’art. 11 del d.P.R. 30 giugno 1965,

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l’adito Tribunale di La Spezia condannò i convenuti a pagare:

n. 1124, ed è del pari ininfluente l’invocata prescrizione di tale diritto
al regresso, giacché “non si comprende quale motivo avrebbe il danneggiato Ballocchi di dolersi della perdita subita da INAIL o del correlativo vantaggio di Pedrotec, Maurri e Vittoria”: una volta ottenuto il
proprio ristoro, “il danneggiato non ha alcun interesse alla corretta di-

è configurabile “un interesse giuridicamente tutelabile del danneggiato ad ottenere una duplicazione di risarcimenti”.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il Bal!occhi ha proposto ricorso, con atto notificato il 20 agosto 2012.
Il ricorso è articolato in due motivi ed illustrato da memoria.
Ha resistito, con controricorso illustrato da memoria, la Vittoria
Assicurazioni.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
5. – La Terza Sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria 22 giugno 2017, n. 15535, ha rimesso gli atti al Primo Presidente
per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione, sollevata con il
primo motivo di impugnazione, se dall’ammontare del danno risarcibile si debba scomputare la rendita per l’inabilità permanente riconosciuta dall’INAIL a seguito di infortunio occorso al lavoratore durante
il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello
di lavoro.
Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La questione rimessa all’esame di queste Sezioni Unite è se
dal computo del pregiudizio sofferto dal lavoratore a seguito di infortunio sulle vie del lavoro causato dal fatto illecito di un terzo, vada
defalcata la rendita per l’inabilità permanente costituita dall’INAIL.

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stribuzione di tale onere tra danneggianti e INAIL”, tanto più che non

2. – La questione è posta con il primo motivo di ricorso.
Con esso il Ballocchi – danneggiato a seguito di incidente stradale
e beneficiario di rendita INAIL, essendo stato riconosciuto che trattavasi di infortunio in itinere – deduce la violazione e falsa applicazione
dell’art. 10, sesto e settimo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 in

che la sentenza impugnata, decurtando dall’ammontare del risarcimento l’importo della rendita, avrebbe finito con lo svuotare di contenuto la responsabilità del terzo responsabile dell’infortunio, estraneo
al rapporto di lavoro e al rapporto assicurativo antinfortunistico.
Ad avviso del ricorrente, non vi sarebbe alcun motivo per cui dal
risarcimento dovuto dal terzo responsabile debba essere detratto il
valore di una prestazione indennitaria (la rendita corrisposta
dall’INAIL) che altri (il datore di lavoro) ha procurato al danneggiato
in quanto parte di un rapporto di lavoro.
Secondo il ricorrente, neppure sarebbe fondata la considerazione,
fatta propria dalla Corte d’appello, secondo cui, ammettendosi il cumulo, il danneggiato verrebbe a fruire di una duplicazione di risarcimento. Tale evenienza, infatti, potrebbe in concreto verificarsi solo allorché l’assicuratore sociale non si surroghi nei diritti del danneggiato
verso il danneggiante. Se l’INAIL non si avvale della facoltà di surroga, il danneggiato, ancorché abbia già riscosso l’indennità assicurativa, potrebbe agire per il risarcimento totale senza che il terzo responsabile possa opporgli l’avvenuta riscossione dell’indennità stessa.
3. – Sulla questione se dal risarcimento dei danni da sinistro stradale, qualificato come infortunio in itinere, debba essere o meno detratta la rendita INAIL per l’inabilità permanente corrisposta al danneggiato, si registra un contrasto di giurisprudenza.
3.1. – Secondo un orientamento – espresso da Cass., Sez. III, 15
ottobre 2009, n. 21897 – la costituzione, da parte dell’assicuratore
sociale, di una rendita in favore dei prossimi congiunti di persona de-

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relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., sostenendo

ceduta in conseguenza di un sinistro stradale in itinere, non esclude
né riduce in alcun modo il loro diritto al risarcimento del danno patrimoniale nei confronti del responsabile, non operando in tale ipotesi il
principio della compensatio lucri cum damno, a causa della diversità
del titolo giustificativo della rendita rispetto a quello del risarcimento.
In base a questo indirizzo, “non sussiste alcuna duplicazione del

danno ai sensi dell’art. 1916 cod. civ., che concerne il diritto di surrogazione dell’assicuratore verso il responsabile, e non già il diritto del
medesimo di eccepire il pagamento del terzo assicuratore sociale come fatto estintivo o compensativo del proprio debito”.
3.2. – Prevalente è l’orientamento, di segno opposto, nel senso
del diffalco: le somme liquidate dall’INAIL in favore del danneggiato
da sinistro stradale a titolo di rendita vanno detratte, in base al principio indennitario, dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato da parte del terzo responsabile.
Questo orientamento – espresso da Cass., Sez. III, 15 aprile
1998, n. 3806, e da Cass., Sez. III, 15 luglio 2005, n. 15022, e ribadito, da ultimo, da Cass., Sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25733 – si
fonda sui seguenti argomenti:
il valore capitale della rendita INAIL corrisponde a valore patrimoniale già risarcito, non ulteriormente computabile a favore
del danneggiato, onde evitare duplicazioni di risarcimento sia in
favore del danneggiato che a carico del responsabile o del suo
assicuratore;
nelle assicurazioni sociali, quando l’istituto comunica al terzo
responsabile che il caso è stato ammesso all’assistenza prevista
dalla legge ed agli indennizzi e lo preavverte della volontà di
esercitare il diritto di surroga, la certezza e l’automatismo delle
successive prestazioni sono elementi sufficienti per integrare i
presupposti richiesti dall’art. 1916 cod. civ. e determinano

et
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l’impossibilità, per il terzo responsabile, di opporre eventuali
successivi accordi intervenuti con il danneggiato;
– in caso di esercizio da parte dell’INAIL dell’azione di surroga
(che rappresenta una peculiare forma di successione a titolo
particolare nel diritto di credito del danneggiato) nei confronti

all’istituto previdenziale per la quota corrispondente
all’indennizzo assicurativo da questo corrisposto, con la conseguenza che l’infortunato perde, entro tale limite, la legittimazione all’azione risarcitoria, conservando il diritto ad ottenere
nei confronti del responsabile il residuo risarcimento ove il danno sia solo in parte coperto dalla detta prestazione assicurativa.
3.2.1. – Il Collegio della Terza Sezione prospetta come preferibile
quest’ultimo indirizzo.
Il Collegio rimettente dichiara di auspicare che il problema interpretativo alla base della questione sia risolto secondo i seguenti principi: (a) alla vittima di un fatto illecito spetta il risarcimento del danno
esistente nel suo patrimonio al momento della liquidazione; (b) nella
stima di questo danno occorre tenere conto dei vantaggi che, prima
della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, a condizione che il vantaggio possa dirsi causato del fatto illecito; (c) per stabilire se il vantaggio sia stato causato dal fatto illecito
deve applicarsi la stessa regola di causalità utilizzata per accertare se
il danno sia conseguenza dell’illecito.
Ad avviso del Collegio rimettente, a pretendere la medesimezza
del titolo per il danno e per il lucro ai fini dell’operatività della compensatio lucri cum damno anche nelle fattispecie che si caratterizzano

per la presenza di rapporti giuridici trilaterali, si finirebbe per negare
di fatto qualsiasi spazio all’istituto, essendo assai raro (se non impossibile) che un fatto illecito possa provocare da sé solo, ossia senza il
concorso di nessun altro fattore umano o giuridico, sia una perdita,

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del responsabile del danno, il credito del leso si trasferisce

sia un guadagno. Si tratterebbe invece unicamente di stabilire se il
lucro costituisca o meno una conseguenza immediata e diretta del
fatto illecito ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. Qualificare d’altra parte
molti vantaggi come occasionati e non causati dal fatto illecito sarebbe incoerente con la moderna nozione di causalità giuridica: pertanto,

di fonte normativa o negoziale, costitutiva di una provvidenza indennitaria a favore del danneggiato, pure siffatta provvidenza – si sostiene – rappresenta un effetto giuridico immediato e diretto della condotta che quel danno ha provocato, giacché da essa deriva secondo
un processo di lineare regolarità causale.
Secondo la lettura proposta nell’ordinanza di rimessione, il cumulo
dei benefici, rispettivamente di carattere indennitario e risarcitorio,
determinerebbe nei fatti una locupletazione del danneggiato, strutturalmente incompatibile con la natura meramente reintegratoria della
responsabilità civile, tenuto conto che il risarcimento non può creare
in favore del danneggiato una situazione migliore di quella in cui si
sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo
nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito.
4. – Come correttamente rileva l’ordinanza interlocutoria della
Terza Sezione, la soluzione della specifica questione rimessa
all’esame delle Sezioni Unite coinvolge un tema di carattere più generale, che attiene alla individuazione della attuale portata del principio
della

compensatio lucri cum damno

e sollecita una risposta

all’interrogativo se e a quali condizioni, nella determinazione del risarcimento del danno da fatto illecito, accanto alla poste negative si
debbano considerare, operando una somma algebrica, le poste positive che, successivamente al fatto illecito, si presentano nel patrimonio
del danneggiato.

allorquando il fatto di danno sia anche coelemento di una fattispecie,

L’ordinanza di rimessione pone questo tema a oggetto di un quesito di portata più ampia di quello riguardante la detraibilità o meno
della rendita INAIL: se la compensatio “possa operare come regola
generale del diritto civile ovvero in relazione soltanto a determinate
fattispecie”; “se nella liquidazione del danno debba tenersi conto del

fatto illecito”, percependo emolumenti versatigli non solo da assicuratori sociali (come nella specie), bensì anche “da assicuratori privati …
ovvero anche da terzi, ma comunque in virtù di atti indipendenti dalla
volontà del danneggiante”.
Tale interrogativo, al quale è sottesa una richiesta indistinta e
omologante di tutte le possibili evenienze legate al sopravvenire, al
fatto illecito produttivo di conseguenze dannose, di benefici collaterali
al danneggiato, viene esaminato dalle Sezioni Unite nei limiti della
sua rilevanza: fino al punto, cioè, in cui esso rappresenta un presupposto o una premessa sistematica indispensabile per l’enunciazione, a
risoluzione del contrasto di giurisprudenza, di un principio di diritto
legato all’orizzonte di attesa della fattispecie concreta.
Questa delimitazione di ambito e di prospettiva non è frutto di
una scelta discrezionale del Collegio decidente, ma conseguenza che
si ricollega alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali
delle Sezioni Unite, alle quali è affidata, non l’enunciazione di principi
generali e astratti o di verità dogmatiche sul diritto, ma la soluzione
di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili
alle specificità del singolo caso della vita. Se ne ha una conferma nella stessa previsione dell’art. 363 cod. proc. civ., perché anche là dove
la Corte di cassazione è chiamata ad enunciare un principio di diritto
nell’interesse della legge, si tratta tuttavia del principio di diritto al
quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione
della specifica controversia.

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vantaggio che la vittima abbia comunque ottenuto in conseguenza del

4.1. – L’esistenza dell’istituto della compensatio, inteso come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno,
non è controversa nella giurisprudenza di questa Corte, trovando il
proprio fondamento nella idea del danno risarcibile quale risultato di
una valutazione globale degli effetti prodotti dall’atto dannoso.

quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura
del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato.
Questo principio è desumibile dall’art. 1223 cod. civ., il quale stabilisce che il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita
subita dal danneggiato come il mancato guadagno, in quanto siano
conseguenza immediata e diretta del fatto illecito. Tale norma implica, in linea logica, che l’accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati
all’illecito in applicazione della regola della causalità giuridica. Se così
non fosse – se, cioè, nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell’illecito non si considerassero anche le poste positive derivate dal fatto dannoso – il danneggiato ne trarrebbe un ingiusto profitto, oltre i limiti del risarcimento riconosciuto dall’ordinamento giuridico (Cass., Sez. III, 11 luglio
1978, n. 3507).
In altri termini, il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella
stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse
subito l’illecito: come l’ammontare del risarcimento non può superare
quello del danno effettivamente prodotto, così occorre tener conto
degli eventuali effetti vantaggiosi che il fatto dannoso ha provocato a

Se l’atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio,

favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione
del risarcimento.
4.2. – Controversi sono piuttosto la portata e l’ambito di operatività della figura, ossia i limiti entro i quali la compensati° può trovare
applicazione, soprattutto là dove il vantaggio acquisito al patrimonio

diverso e vi siano due soggetti obbligati, appunto sulla base di fonti
differenti.
E’ la situazione che si verifica quando, accanto al rapporto tra il
danneggiato e chi è chiamato a rispondere civilmente dell’evento
dannoso, si profila un rapporto tra lo stesso danneggiato ed un soggetto diverso, a sua volta obbligato, per legge o per contratto, ad
erogare al primo un beneficio collaterale: si pensi all’assicurazione
privata contro i danni, nella quale l’assicuratore, verso il pagamento
di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti,
del danno ad esso prodotto da un sinistro; si considerino i benefici
della sicurezza e dell’assistenza sociale, da quelli legati al rapporto di
lavoro (e scaturenti dalla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali) a quelli rivolti ad assicurare ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale; si pensi, ancora, alle numerose previsioni di legge che contemplano indennizzi o speciali elargizioni che lo Stato corrisponde, per ragioni di solidarietà, a coloro che subiscono un danno in occasione di
disastri o tragedie e alle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata.
La vicenda concreta all’esame delle Sezioni Unite si colloca in
quest’ambito. In caso di infortunio sulle vie del lavoro scaturito da un
fatto illecito di un terzo estraneo al rapporto giuridico previdenziale,
la vittima può contare su un sistema combinato di tutele, basato sul
concorso delle regole della protezione sociale garantita dall’INAIL e di
quanto riveniente dalle regole civilistiche in materia di responsabilità.

del danneggiato in connessione con il fatto illecito derivi da un titolo

Il duplice rapporto bilaterale è quindi rappresentato, per un verso, dal
welfare garantito dal sistema di assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro, che dà titolo ad ottenere le prestazioni
dell’assicurazione, e, per l’altro verso, dalla relazione creata dal fatto
illecito del terzo, permeata dalla disciplina della responsabilità civile.

l’incremento patrimoniale realizzatosi in connessione con l’evento
dannoso per effetto del beneficio collaterale avente un proprio titolo e
una relazione causale con un diverso soggetto tenuto per legge o per
contratto ad erogare quella provvidenza, debba restare nel patrimonio del danneggiato cumulandosi con il risarcimento del danno o debba essere considerato ai fini della corrispondente diminuzione
dell’ammontare del risarcimento.
4.3. – Restano fuori dal quesito rivolto alle Sezioni Unite le ipotesi
in cui, pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a
corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria.
In queste ipotesi vale la regola del diffalco, dall’ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente una cospirante
finalità compensativa.
La compensatio opera cioè in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra il soggetto autore dell’illecito tenuto al risarcimento e quello
chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l’effetto di assicurare
al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza
duplicazioni.
Questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha infatti affermato che
l’indennizzo corrisposto al danneggiato, ai sensi della legge 25 febbraio 1992, n. 210, a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto
deve essere integralmente scomputato dalle somme spettanti a titolo
di risarcimento del danno, venendo altrimenti la vittima a godere di
un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un

In questa ed in altre fattispecie similari si tratta di stabilire se

medesimo soggetto (il Ministero della salute) due diverse attribuzioni
patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass., Sez. U., 11
gennaio 2008, n. 584; Cass., Sez. III, 14 marzo 2013, n. 6573).
Alla medesima conclusione è pervenuta la giurisprudenza amministrativa.
Chiamato a stabilire, nell’espressione nomofilattica dell’Adunanza

Plenaria, se la somma dovuta dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente per lesione della salute conseguente alla esalazione
di amianto nei luoghi di lavoro sia cumulabile con l’indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell’infermità da
causa di servizio ovvero se tale indennizzo debba essere decurtato
dal risarcimento del danno, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1
del 2018, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “la presenza
di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da
atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi
aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo
stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione
della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione
compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo
con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di
risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”.
Preme qui sottolineare i fondamentali passaggi attraverso i quali
si snoda l’argomentazione che sostiene la decisione del giudice amministrativo: (a) “l’applicazione delle regole della causalità giuridica
impone che venga liquidato soltanto il danno effettivamente subito
dal danneggiato”; (b) “il riconoscimento del cumulo implicherebbe
l’attribuzione alla responsabilità contrattuale di una funzione punitiva”, giacché l’esistenza “di un solo soggetto responsabile e obbligato
comporterebbe per esso l’obbligo di corrispondere una somma supe1,1
– 13 –

riore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato con
ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo”: risultato, questo, non ammissibile, difettando “una espressa previsione legislativa
che contempli un illecito punitivo e dunque autorizzi un rimedio sovracompensativo”, non essendo nemmeno configurabile “una duplice

l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni
concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonché la
semplicità del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità”.
4.4. – Tornando all’ambito operativo della compensatio in presenza di una duplicità di posizioni pretensive di un soggetto verso due
soggetti diversi tenuti, ciascuno, in base ad un differente titolo, occorre rilevare che la prevalente giurisprudenza di questa Corte ritiene
che per le fattispecie rientranti in questa categoria valga, in linea generale, la soluzione del cumulo del vantaggio conseguente all’illecito,
non quella del diffalco.
Si afferma, così, che la compensatio è operante solo quando il
pregiudizio e l’incremento discendano entrambi, con rapporto immediato e diretto, dallo stesso fatto, sicché se ad alleviare le conseguenze dannose subentra un beneficio che trae origine da un titolo diverso
ed indipendente dal fatto illecito generatore di danno, di tale beneficio
non può tenersi conto nella liquidazione del danno, profilandosi in tal
caso un rapporto di mera occasionalità che non può giustificare alcun
diffalco. In altri termini, la detrazione può trovare applicazione solo
nel caso in cui il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza
immediata e diretta del fatto illecito, quali suoi effetti contrapposti;
essa invece non opera quando il vantaggio derivi da un titolo diverso
ed indipendente dall’illecito stesso, il quale costituisce soltanto la
condizione perché il diverso titolo spieghi la sua efficacia (Cass., Sez.

causa dell’attribuzione patrimoniale”; (c) “nella fattispecie in esame

III, 15 aprile 1993, n. 4475; Cass., Sez. III, 28 luglio 2005, n.
15822).
Secondo questa prospettiva, la diversità dei titoli delle obbligazioni – il fatto illecito, da un lato; la norma di legge (ad esempio, nel caso di percezione di benefici da parte di enti previdenziali, assicuratori

so di percezione di indennizzi assicurativi), dall’altro – costituisce una
idonea causa di giustificazione delle differenti attribuzioni patrimoniali: conseguentemente, la condotta illecita rappresenta, non la causa
del beneficio collaterale, ma la mera occasione di esso.
4.5. – L’ordinanza di rinnessione esattamente constata che è assai
raro che le poste attive e passive abbiano entrambe titolo nel fatto illecito. Richiamando la nozione di causalità che si è venuta sviluppando nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha da tempo abbandonato la distinzione scolastica tra causa remota, causa prossima ed
occasione, sostituendola con la nozione di regolarità causale (Cass.,
Sez. III, 13 settembre 2000, n. 12103), l’ordinanza propone di superare l’inconveniente di una interpretazione “asimmetrica” dell’art.
1223 cod. civ.: una interpretazione che, quando si tratta di accertare
il danno, ritiene che il rapporto fra illecito ed evento può anche non
essere diretto ed immediato (Cass., Sez. III, 21 dicembre 2001, n.
16163; Cass., Sez. III, 4 luglio 2006, n. 15274), mentre esige al contrario che lo sia, quando passa ad accertare il vantaggio per avventura originato dal medesimo fatto illecito.
4.6. – Le Sezioni Unite ritengono che la sollecitazione a compiere
la verifica in tema di assorbimento del beneficio nel danno in base a
un test eziologico unitario, secondo il medesimo criterio causale prescelto per dire risarcibili le poste dannose, non possa spingersi fino al
punto di attribuire rilevanza a ogni vantaggio indiretto o mediato,
perché ciò condurrebbe ad un’eccessiva dilatazione delle poste impu-

sociali, pubbliche amministrazioni) o il contratto (ad esempio, nel ca-

tabili al risarcimento, finendo con il considerare il verificarsi stesso del
vantaggio un merito da riconoscere al danneggiante.
Così, non possono rientrare nel raggio di operatività della com-

pensatio i casi in cui il vantaggio si presenta come il frutto di scelte
autonome e del sacrificio del danneggiato, come avviene nell’ipotesi
della nuova prestazione lavorativa da parte del superstite, prima non

occupato, in conseguenza della morte del congiunto.
Allo stesso modo, nel determinare il risarcimento del danno, non
sono computabili gli effetti favorevoli derivanti dall’acquisto
dell’eredità da parte degli eredi della vittima: la successione ereditaria, infatti, è legata non già al fatto di quella morte, bensì al fatto della morte in generale, che si sarebbe verificata (anche se in un momento successivo) in ogni caso, a prescindere dall’illecito.
Si tratta di un esito interpretativo che discende pianamente
dall’insegnamento della dottrina, la quale ha evidenziato che le conseguenze vantaggiose, come quelle dannose, possono computarsi solo finché rientrino nella serie causale dell’illecito, da determinarsi secondo un criterio adeguato di causalità, sicché il beneficio non è computabile in detrazione con l’applicazione della compensatio allorché
trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causale.
4.7. – Nei casi appena indicati il criterio del nesso causale funge
realmente da argine all’operare dello scomputo da compensatio.
Più in generale, il Collegio ritiene che affidare il criterio di selezione tra i casi in cui ammettere o negare il cumulo all’asettico utilizzo
delle medesime regole anche per il vantaggio, finisca per ridurre la
quantificazione del danno, e l’accertamento della sua stessa esistenza, ad una mera operazione contabile, trascurando così la doverosa
indagine sulla ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale entrata nel patrimonio del danneggiato.
Invece, ai fini della delineazione di quel criterio di selezione, proprio da tale indagine occorre muovere, guardando alla funzione di cui

/ ,\

il beneficio collaterale si rivela essere espressione, per accertare se
esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento.
E’ un approccio ermeneutico, questo, che da tempo la scienza giuridica offre alla comunità interpretante, rilevando che la determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causai-

dell’illecito: sicché in tanto le prestazioni del terzo incidono sul danno
in quanto siano erogate in funzione di risarcimento del pregiudizio
subito dal danneggiato. La prospettiva non è quindi quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la
causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria.
Ed è una linea d’indagine tanto più ineludibile oggi, in vista di
un’apertura al confronto con l’elaborazione della dottrina civilistica
europea.
Infatti, i Principles of European Tort Law, all’art. 10:103, prevedono che, nel determinare l’ammontare dei danni, i vantaggi ottenuti
dal danneggiato a causa dell’evento dannoso devono essere presi in
considerazione, salvo che ciò non sia conciliabile con lo scopo dei
vantaggi (unless this cannot be reconciled with the purpose of the
bene fit).
Analoga è la direttiva seguita dal Draft Common Frame of Reference. Secondo l’art. 6:103 del libro VI, dedicato alla equalisation of
benefits, i vantaggi derivanti al soggetto che abbia sofferto un danno
giuridicamente rilevante in conseguenza dell’evento dannoso non
debbono essere presi in considerazione nel quantificare il danno, a
meno che sia giusto e ragionevole farlo, avuto riguardo al tipo di
danno sofferto, alla natura della responsabilità addebitata alla persona che ha causato il danno e, quando il beneficio sia erogato da un
terzo, allo scopo perseguito conferendo il beneficio.
Nell’una e nell’altra prospettiva, pertanto, si è ben lontani dal
suggerire una regola categoriale destinata ad operare in modo “bilan-

mente giustificato in funzione di rimozione dell’effetto dannoso

cistico”: c’è, piuttosto, l’invito ad instaurare un confronto tra il danno
e il vantaggio che di volta in volta viene in rilievo, alla ricerca della
ragione giustificatrice del beneficio collaterale e, quindi, di una ragionevole applicazione del diffalco.
La selezione tra i casi in cui ammettere o negare il diffalco deve

quella che è stata definita la “giustizia” del beneficio e, in questo ambito, considerando la funzione specifica svolta dal vantaggio.
Così, nel caso di assicurazione sulla vita, l’indennità si cumula con
il risarcimento, perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta
in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi, e l’indennità,
vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è
quello di beneficiare il danneggiante.
4.8. – Una verifica per classi di casi si impone anche per accertare
se l’ordinamento abbia coordinato le diverse risposte istituzionali, del
danno da una parte e del beneficio dall’altra, prevedendo un meccanismo di surroga o di rivalsa, capace di valorizzare l’indifferenza del risarcimento, ma nello stesso tempo di evitare che quanto erogato dal
terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per
l’autore dell’illecito.
Solo attraverso la predisposizione di quel meccanismo, teso ad
assicurare che il danneggiante rimanga esposto all’azione di “recupe-

essere fatta, dunque, per classi di casi, passando attraverso il filtro di

ro” ad opera del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio
collaterale, potrà aversi detrazione della posta positiva dal risarcimento.
Se così non fosse, se cioè il responsabile dell’illecito, attraverso il
non-cumulo, potesse vedere alleggerita la propria posizione debitoria
per il solo fatto che il danneggiato ha ricevuto, in connessione con
l’evento dannoso, una provvidenza indennitaria grazie all’intervento
del terzo, e ciò anche quando difetti la previsione di uno strumento di

– 18 –

ak

riequilibrio e di riallineamento delle poste, si avrebbe una sofferenza
del sistema, finendosi con il premiare, senza merito specifico, chi si è
comportato in modo negligente.
Non corrisponde infatti al principio di razionalità-equità, e non è
coerente con la poliedricità delle funzioni della responsabilità civile
(cfr. Cass., Sez. U., 5 luglio 2017, n. 16601), che la sottrazione del

vantaggio sia consentita in tutte quelle vicende in cui l’elisione del
danno con il beneficio pubblico o privato corrisposto al danneggiato a
seguito del fatto illecito finisca per avvantaggiare esclusivamente il
danneggiante, apparendo preferibile in tali evenienze favorire chi
senza colpa ha subito l’illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato.
E stabilire quando accompagnare la previsione del beneficio con
l’introduzione di tale meccanismo di surrogazione o di rivalsa, il quale
consente al terzo di recuperare le risorse impiegate per erogare una
provvidenza che non rinviene il proprio titolo nella responsabilità risarcitoria, è una scelta che spetta al legislatore. Ad esso soltanto
compete, in definitiva, trasformare quel duplice, ma separato, rapporto bilaterale in una relazione trilaterale, così apprestando le condizioni
per il dispiegamento dell’operazione di scomputo.
E’, questa, l’indicazione di sistema che giunge anche dal rappresentante dell’Ufficio del pubblico ministero, il quale, nel rifiutare la
prospettiva “totalizzante” del computo nella stima del danno di vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, ha delineato “i due presupposti essenziali per
poter svolgere la decurtazione del vantaggio”: accanto al contenuto,
“per classi omogenee o per ragioni giustificatrici”, del vantaggio, la
previsione, appunto, di un meccanismo di surroga, di rivalsa o di recupero, che “instaura la correlazione tra classi attributive altrimenti
disomogenee”. Così, in tutti i casi in cui sia una norma legislativa ad
attribuire, “senza regolare l’eventuale rapporto con il tema risarcito-

dt.1,1

rio”, un vantaggio collaterale (si pensi agli interventi, in nome della
solidarietà nazionale, con provvidenze ed elargizioni, in favore di individui e comunità a fronte di eventi catastrofici o disastri suscettibili di
essere ascritti a condotte non iure e contra ius di soggetti terzi), il
giudice della responsabilità civile non potrebbe procedere, tout court,

egli vanificherebbe il senso più profondo della previsione normativa
costituente il titolo dell’attribuzione, che risiede nell’assunzione da
parte della generalità del carico di determinati svantaggi subiti dal o
dai soggetti danneggiati, non nella volontà di premiare chi si è comportato in modo negligente o di alleggerire la sua posizione debitoria.
5. – Date queste premesse e venendo, dunque, alla specifica questione oggetto del contrasto, occorre in primo luogo considerare che,
nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, la rendita
INAIL costituisce una prestazione economica a contenuto indennitario
erogata in funzione di copertura del pregiudizio (l’inabilità permanente generica, assoluta o parziale, e, a seguito della riforma apportata
dal d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, anche il danno alla salute) occorso
al lavoratore in caso di infortunio sulle vie del lavoro.
Indubbiamente il ristoro del danno coperto dall’assicurazione obbligatoria può presentare delle differenze nei valori monetari rispetto
al danno civilistico (Cass., Sez. lav., 11 gennaio 2016, n. 208; Cass.,
Sez. lav., 10 aprile 2017, n. 9166). Nondimeno, la rendita corrisposta
dall’INAIL soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al
cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria
del terzo, autore del fatto illecito, al quale sia addebitabile l’infortunio
in itinere subito dal lavoratore.
5.1. – D’altra parte, il sistema normativo prevede un meccanismo
di riequilibrio idoneo a garantire che il terzo responsabile
dell’infortunio sulle vie del lavoro, estraneo al rapporto assicurativo,
sia collateralmente obbligato a restituire all’INAIL l’importo corrispon-

ad effettuare l’operazione compensativa o di defalco. Se così facesse,

dente al valore della rendita per inabilità permanente costituita in favore del lavoratore assicurato.
Difatti, l’art. 1916 cod. civ. dispone che l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiante. Tale disposi-

contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali»,
estendendosi così il diritto di surrogazione agli enti esercenti le assicurazioni sociali (cfr. Cass., Sez. U., 16 aprile 1997, n. 3288). Il diritto di surrogazione stabilito a favore dell’assicuratore comporta, per
effetto del pagamento dell’indennità, una sostituzione personale ope
legis di detto assicuratore all’assicurato-danneggiato nei diritti di
quest’ultimo verso il terzo responsabile del danno (Cass., Sez. III, 16
gennaio 1985, n. 99).
Inoltre, l’art. 142 del codice delle assicurazioni private (approvato
con il d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) – nel riprodurre le previsioni
contenute nell’abrogato art. 28 della legge 24 dicembre 1969, n. 990,
sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti – stabilisce che, qualora il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale, l’ente gestore di questa abbia diritto di ottenere direttamente dall’impresa di assicurazione il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei regolamenti che disciplinano detta assicurazione, sempreché non sia già stato pagato il risarcimento al danneggiato. Proprio per evitare detta evenienza, il comma
2 del citato art. 142 prevede, in continuità con la precedente disposizione, un articolato meccanismo di interpello del danneggiato, con la
richiesta di una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto
ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni
sociali obbligatorie, e di comunicazione al competente ente di assicu-

zione si applica, per espressa previsione, «anche alle assicurazioni

razione sociale, ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni.
Le due norme – l’art. 1916 cod. civ., da una parte, e l’art. 142 del
codice delle assicurazioni private, dall’altra – regolano rapporti intersoggettivi diversi, rispettivamente nei confronti del terzo responsabile

mune: la successione nel credito risarcitorio dell’assicuratodanneggiato, la quale attribuisce all’ente gestore dell’assicurazione
sociale che abbia indennizzato la vittima la titolarità della pretesa nei
confronti dei distinti soggetti obbligati, al fine di ottenere il rimborso
tanto dei ratei già versati quanto del valore capitalizzato delle prestazioni future (Corte cost., sentenza n. 319 del 1989; Cass., Sez. I, 2
dicembre 1985, n. 6013; Cass., Sez. III, 20 novembre 1987, n.
8544; Cass., Sez. III, 24 giugno 1993, n. 6996; Cass., Sez. III, 12
febbraio 2010, n. 3356; Cass., Sez. III, 6 settembre 2012, n. 14941;
Cass., Sez. U., 29 aprile 2015, n. 8620).
5.3. – La surrogazione, mentre consente dall’istituto di recuperare
dal terzo responsabile le spese sostenute per le prestazioni assicurative erogate al lavoratore danneggiato, impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal
terzo, e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito. Pertanto, le somme che il danneggiato si sia visto liquidare dall’INAIL a titolo di rendita per l’inabilità permanente vanno
detratte dall’ammontare dovuto, allo stesso titolo, dal responsabile al
predetto danneggiato.
Infatti, per un verso, mancando tale detrazione, il danneggiato
verrebbe a conseguire un importo maggiore di quello a cui ha diritto.
L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni è espressione del favor che la Costituzione e il legislatore hanno inteso accordare al lavo-

ratore con l’addossare in ogni caso all’istituto le prestazioni previden-

– 22 –

e del suo assicuratore, e tuttavia contrassegnati da un elemento co-

ziali, le quali assumono perciò carattere di anticipazione rispetto
all’assolvimento dell’obbligo a carico del responsabile (Corte cost.,
sentenza n. 134 del 1971). Ma l’intervento del sistema di sicurezza
sociale attraverso l’erogazione della prestazione assicurativa non consente al lavoratore di reclamare un risarcimento superiore al danno
effettivamente sofferto: gli consente, invece, di agire nei confronti del

terzo, cui è addebitabile l’infortunio in itinere, per ottenere la differenza tra il danno subito e quello indennizzato, allo stesso titolo,
dall’INAIL. L’infortunato, pertanto, perde la legittimazione all’azione
risarcitoria per la quota corrispondente all’indennizzo assicurativo riscosso o riconosciuto in suo favore, mentre conserva il diritto ad ottenere nei confronti del responsabile il residuo risarcimento ove il
danno sia solo in parte coperto dalla detta prestazione assicurativa
(cfr. Cass., Sez. III, 23 novembre 2017, n. 27869).
Per l’altro verso, l’ente previdenziale, avendo provveduto
all’erogazione delle prestazioni indennitarie a causa del fatto illecito di
un terzo estraneo al rapporto assicurativo, potrà pretendere attraverso la surrogazione, esercitabile anche nei confronti dell’assicuratore
della responsabilità civile di detto terzo responsabile, il rimborso delle
spese sostenute per erogare quelle prestazioni, in tal modo impedendo che il responsabile civile, avvantaggiandosi ingiustamente
dell’intervento della protezione previdenziale in favore
dell’infortunato, paghi soltanto il danno differenziale al lavoratore. Il
risarcimento resta pertanto dovuto dal responsabile del sinistro per
l’intero, essendo questi tenuto a rimborsare all’ente gestore
dell’assicurazione sociale le spese sostenute per le prestazioni erogate
al lavoratore e a risarcire il maggior danno al danneggiato: la riscossione della rendita INAIL da parte dell’assicurato-danneggiato in conseguenza dell’evento dannoso non ha quindi alcuna incidenza sulla
prestazione del terzo responsabile, il quale dovrà risarcire, in ogni caso, l’intero danno.

L,

6. – Conclusivamente, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza, va enunciato il seguente principio di diritto: «L’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL per l’infortunio in
itinere occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo re-

7. – A tale principio di diritto si è attenuta la Corte d’appello di
Genova con la sentenza qui impugnata.
Avendo l’INAIL erogato al Ballocchi una rendita per l’infortunio
subito sulle vie del lavoro, l’assicurato-danneggiato poteva agire contro il terzo responsabile per il risarcimento del danno, ma limitatamente all’ulteriore pregiudizio che egli dimostrasse di avere riportato,
essendo il responsabile tenuto, per la parte corrispondente al valore
capitale della rendita, nei soli confronti dell’ente gestore
dell’assicurazione sociale – ormai subentrato, a seguito del pagamento o del riconoscimento della spettanza della prestazione assicurativa,
nei diritti dell’assicurato -, e non più verso quest’ultimo, già indennizzato dall’istituto.
E poiché nella specie (trattandosi di infortunio occorso il 7 aprile
2000, anteriormente all’ambito temporale di applicazione dell’art. 13
del d.lgs. n. 38 del 2000) l’INAIL ha provveduto ad indennizzare il
danno patrimoniale subito dal Ballocchi, erogando una rendita per invalidità del valore capitale di euro 160.194,85, correttamente la Corte
d’appello ha ritenuto che le somme riconosciute dal Tribunale a carico
dei danneggianti allo stesso titolo, pari a euro 120.157,09, sono da
intendere interamente assorbite dal superiore indennizzo INAIL.
Non rileva che l’INAIL, una volta corrisposta la rendita per
l’invalidità permanente, si sia limitato ad intimare al Maurri, alla Pedrotec e alla Vittoria Assicurazioni di provvedere al rimborso delle
spese sostenute per le prestazioni erogate, senza far valere in giudizio il proprio diritto di surrogazione a fronte dell’inadempimento dei

– 24 –

sponsabile del fatto illecito».

terzi responsabili e del loro assicuratore della responsabilità civile. Nel
sistema dell’art. 1916 cod. civ., infatti, è con il pagamento
dell’indennità assicurativa che i diritti contro il terzo si trasferiscono,
ope legis, all’assicuratore sociale, sicché deve escludersi un ritrasfe-

rimento o un rimbalzo di tali diritti all’assicurato per il solo fatto che

E’

pertanto infondato il primo motivo di ricorso del Ballocchi.

8. – Con il secondo motivo (violazione dell’art. 10 del d.P.R. n.
1124 del 1965, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché
degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4,
cod. proc. civ.), posto in via subordinata, ci si duole che la Corte
d’appello abbia applicato la “limitazione del risarcimento” a fronte di
una eccezione sollevata dalla Vittoria Assicurazioni per la prima volta
in grado di appello, e si sostiene che l’erogazione della rendita INAIL,
rappresentando un fatto impeditivo del diritto al risarcimento del
danno, avrebbe dovuto essere eccepita tempestivamente nel giudizio
di primo grado.
8.1. – Anche questo motivo è infondato, giacché l’eccezione di
compensatio lucri cum damno è una eccezione in senso lato, vale a
dire non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo
del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all’esatta entità
globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed è,
come tale, oltre che rilevabile d’ufficio dal giudice (il quale, per de-

l’INAIL si sia astenuto dall’esercitarli in giudizio.

terminare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento,
per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del
giudizio), anche proponibile per la prima volta in appello (Cass., Sez.
III, 14 gennaio 2014, n. 533; Cass., Sez. VI-3, 24 settembre 2014,
n. 20111).
9. – Il ricorso è rigettato.
La complessità delle questioni trattate impone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
0’04

– 25 –

P.Q.M.
rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti
le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio

2018.

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