Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12566 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.a.s. IMMOBILIARE SERENA di Pasini Tullia & C., con “domicilio”

in

Bovolone (VR) alla Via Duomo n. 16, in persona della legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla

Via Federico Confalonieri n. 5 presso l’avv. MANZI Luigi il quale la

rappresenta e difende insieme con l’avv. Giovanni MACCAGNANI (del

Foro di Verona) in forza della procura speciale rilasciata a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

il Comune di Bovolone (VR), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma al Viale dei Parioli n. 43 presso

lo studio dell’avv. D’Ayala Valva Francesco insieme con l’avv.

Tiziano LUCCHESE (del Foro di Verona) che lo rappresenta e difende in

forza della procura speciale rilasciata in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/15/07 depositata il 28 giugno 2007 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Veneto, notificata il 28 agosto

2007;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 febbraio 2010

dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Salvatore Di Mattia

(per delega dell’avv. Luigi MANZI) per la società, e dall’avv.

Tiziano LUCCHESE, per il Comune;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. DE

NUNZIO Wladimiro, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso (consegnato all’ufficiale giudiziario il 13 novembre 200 7 e) notificato al Comune di Bovolone (VR) il 19 novembre 2007 (depositato il 23 novembre 2007), la s.a.s. IMMOBILIARE SERENA di Pasini Tullia & C. – premessi “fatto e precorsi processuali” come “descritti nell’impugnata sentenza”, ovverosia che detto Comune, con distinti avvisi di accertamento, aveva assoggettato ad ICI, per gli anni dal 2000 al 2003, il valore di “un’area” ritenuta “fabbricabile perchè inserita nel P.R.G. … pur in assenza degli strumenti attuativi”, irrogando le afferenti sanzioni, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 59/15/07 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (depositata il 28 giugno 2007, notificata il 28 agosto 2007) che – “In parziale riforma” della decisione (153/03/05) della Commissione Tributaria Provinciale di Verona, da essa impugnata (la quale, previa riunione, aveva respinto i suoi ricorsi) – aveva determinato il “valore” per il “terreno zona (OMISSIS)” e dichiarato “dovuti interessi e sanzioni” (da calcolare “sugli importi risultanti dai valori determinati”).

Nel controricorso notificato il 28 dicembre 2007 (depositato, con spedizione a mezzo del servizio postale, il 10 gennaio 2008), il Comune intimato instava per il rigetto dell’impugnazione della società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale – evidenziato che tra le parti “il contrasto restava sull’applicabilità delle sanzioni” (“comminate per omessa denuncia”) in quanto “all’udienza del 23 maggio 2007” le stesse parti avevano dichiarato di “accettare i valori accertati dal CTU” da essa nominato “al fine di determinare il prezzo di mercato dell’area in contestazione per gli anni ai quali si riferivano gli avvisi di accertamento”, fissato il valore del “terreno zona (OMISSIS)” per gli anni di imposta oggetto degli avvisi impugnati, ha “dichiara(to) dovuti sanzioni e interessi” (da calcolare “sugli importi risultanti dai valori determinati”) osservando:

– il “Comune … faceva rilevare che l’Immobiliare Serena soltanto nel 2000 aveva presentato una dichiarazione per un terreno agricolo e relativo ad una partita catastale inesistente”;

– “L’obiettiva incertezza sull’applicazione della norma”, su cui fa leva il contribuente … si è manifestata soltanto successivamente alla pronuncia 16 novembre 2004 n. 21644 della Corte di Cassazione … la quale sovvertendo l’indirizzo giurisprudenziale precedente affermò che un’ area poteva ritenersi fabbricabile solo alla data di approvazione dei relativi piani attuativi”: “fino alla data di tale pronuncia la giurisprudenza era tutta nel senso di considerare edificatile un’area sin dal momento del suo inserimento nel Piano regolatore Generale”; nel caso, invece, “gli anni di imposta sono tutti anteriori alla succitata decisione della corte di legittimità”;

– “nel caso … la società … non solo non aveva versato l’imposta sul terreno posseduto quale area edificatile ma aveva presentato una denuncia … con indicazioni catastali errati con l’intento molto probabile di trarre in inganno l’ente territoriale”.

2. La società censura tale decisione con tre motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione” del “D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 con riferimento alla L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7” affermando ravvisarsi “il difetto di motivazione e quindi l’annullabilità del decisum sul punto” in quanto “non si rinviene alcuna motivazione a giustificazione del diniego di applicazione del beneficio previsto dalle norme indicate al punto sub 2” (scilicet: la successiva censura).

B. Con il secondo motivo la contribuente denunzia “violazione ed erronea applicazione” del “D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2 e … del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 8, della L. n. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 ” osservando:

– “l’art. 2, lett. b) definisce la categoria di “area fabbricabile” ritenendo tali quelle incluse negli “strumenti urbanistici”, senza ulteriori specificazioni e senza specificare lo “stadio” di approvazione, lasciando … dubbi interpretativi” tanto che questa Corte, “al fine di qualificare un’ area quale edificabile ai fini di che trattasi”, in alcune sentenza aveva ritenuto “necessario … che il proprietario della stessa potesse ottenere una concessione edilizia” e in altre “sufficiente che il Comune avesse “adottato” lo strumento urbanistico in base al quale l’area era da considerarsi edificabile (anche se non approvato)”;

– “sul punto” anche “il Ministero” aveva manifestato “un orientamento oscillante”;

– “la controversia è stata risolta … attraverso una norma interpretativa, recata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2”.

“In presenza di simile incertezza interpretativa … riconosciuta dallo stesso legislatore … è facilmente immaginabile”, secondo la ricorrente, “in quale situazione possa essersi trovato il contribuente, al quale vengono inflitte delle sanzioni, per avere tenuto un comportamento che era cosi incerto perfino ai più raffinati interpreti”: la sua “condotta”, quindi, “era ampiamente scusabile” anche se “non esatta” tanto che questa Corte, “in casi analoghi”, ha ritenuto (“sentenza n. 16751 del 24 agosto 2004”) “sussistere l’obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria”.

La doglianza si conclude con la richiesta (quesito di diritto) di stabilire:

“se, nel caso oggetto della presente controversia, si possano ritenere sussistenti le condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria da rendere applicabile il disposto del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 6, comma, n. 2 recte: D.Lgs. n. 472 del 1997 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 con conseguente non applicazione di sanzioni”.

C. Con il terzo (ultimo) motivo la ricorrente, “in via subordinata”, “precisa che, nel caso … risulta erronea l’irrogazione della sanzione inflitta dal Comune” (“per omessa dichiarazione”) perchè “non è stata omessa la dichiarazione ICI”: “dagli atti di causa”, infatti, secondo la contribuente, “risulta” che “il terreno è stato regolarmente dichiarato, anche se con la qualificazione di terreno agricolo e non di area edificatile” (“per gli anni 2003-2004 il Comune ha applicato … la sanzione per infedele dichiarazione non per omessa dichiarazione riconoscendo quindi l’inesattezza della sanzione inflitta per l’anno in esame”).

La società, quindi, chiede (quesito di diritto) di stabilire “se nel caso … sia applicabile il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, commi 1 e 2”, “con conseguente applicazione delle sanzioni in misura minore rispetto a quelle inflitte”.

3. Il ricorso – i cui primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente – va respinto perchè infondato .

A. La prima censura – a prescindere dall’accertamento della effettiva sua sussistenza – denunzia, nella sostanza, un vizio privo di qualsivoglia rilevanza, comunque non idoneo a determinare l'”annullabilità del decisum sul punto”, atteso che – escluso il vizio (peraltro non denunziato nè rinvenibile) di omessa pronuncia (in violazione dell’art. 112 c.p.c.) – il preteso “difetto di motivazione” investe, giusta quanto espone la stessa ricorrente, soltanto la interpretazione delle norme invocate dalla medesima.

In tale ipotesi, però, in ossequio al disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 4 (come sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 12) – per il quale “non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto” -, questa Corte, una volta riscontrata la rispondenza “ai diritto” del dispositivo adottato nella sentenza impugnata, non può procedere alla cassazione di quest’ ultima in quanto il positivo riscontro di detta conformità consente soltanto di correggere La “motivazione” della stessa.

Il vizio denunziato, peraltro, non potrebbe portare alla cassazione della decisione gravata che ne fosse affetta neppure in ipotesi di riscontrata non rispondenza del suo dispositivo “al diritto” atteso che l’ultimo inciso del medesimo art. 384 c.p.c., comma 2 impone a questo giudice di legittimità di decidere “la causa nel merito” tutte le volte che “non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”, “accertamenti”, di norma, non necessari quando la doglianza involge esclusivamente (come nella censura in esame) questioni di diritto.

B. La cd. “incertezza normativa aggettiva” – quale prevista dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 “la commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”), dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 (“non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonchè da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento”) e dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, (per il cui testo, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1 (convertito in L. 31 luglio 2005, n. 156), applicabile al caso ratione temporis, “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria …”), oggetto delle due prime doglianze, quale causa ostativa all’applicazione delle sanzioni fiscali, giusta quanto condivisibilmente precisato da questa sezione (sentenze 11 settembre 2009 n. 19638 e 21 marzo 2008 n. 7765, aderenti alla precedente n. 24670 del 28 novembre 2007):

– “è la situazione giuridica aggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, (ed) …

è caratterizzala dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, ai termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito” (quindi “solo in questo senso aggettivo, con esclusione di qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali”: “l’incertezza normativa”, infatti, “in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”; di conseguenza “l’incertezza normativa aggettiva non è in alcun modo rapportabile, non solo ad un singolo soggetta, cioè ad un soggetto di specie ultima, ma a nessuna classe di soggetti, cioè a nessuna categoria, perchè essa è, invece, rapportabile solo alla stesso ordinamento giuridico cui appartiene la normazione da interpretare: l’incertezza normativa è aggettiva, perchè essa esiste in sè ed è rilevante in sè, in quanto impossibilità di stipulare una convenzione interpretativa delle norme, con la conseguente necessità dell’intervento autoritativo del giudice”);

– “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria”;

– “l’essenza del fenomeno incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente; 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte Costituzionale; 8) nella formazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 10) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 11) nell’adozione di norme d’interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente”: “tali fatti indice devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della normazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili”.

Nella stessa decisione si è opportunamente chiarito costi tu ire “requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione che il ricorrente indichi quali sono i procedimenti d’interpretazione normativa adottati e quali siano le norme contrastanti che ne hanno costituito i risultati” (salvo che “il giudice di merito abbia …

omesso qualsiasi motivazione per giustificare la sua decisione di accertamento dell’incertezza normativa oggettiva” per cui, in tal caso, “la denuncia della violazione delle norme regolative del fenomeno è sufficientemente e fondatamente esposta con l’indicazione della norma di diritto lesa”).

C. L’applicazione alla specie degli esposti principi evidenzia l’insussistenza della violazione di legge denunziata dalla ricorrente atteso che il “contrasto interpretativo” risolto dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 30 novembre 2006 n. 25506 anche in base alla “norma interpretativa recata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2” (decreto convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248), invocata dalla ricorrente, riguarda “i criteri in base ai quali un’ area deve essere definita fabbricabile ai fini fiscali, in generale, e dell’imposta comunale sugli immobili, in particolare” – in ordine ai quali, come specificato in tale decisione, “secondo un primo indirizzo, definito “sostanzialistico” (in quanto, realisticamente, valorizza le immediate ricadute economiche di qualunque variazione che faccia sorgere o consolidi una aspettativa di diritto), è sufficiente che un’area sia utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici, ancorchè le relative procedure non siano state perfezionate (Cass. 4120/2002, 4341/2002, 17513/2002, 13817/2003, 16751/2004, 19750/2004)” mentre “secondo altro e diverso orientamento, definito “formale-legalistico”, la qualifica di area fabbricabile, anche ai fini fiscali, presuppone che le procedure per l’approvazione degli strumenti urbanistici, siano perfezionate (Cass. 10406/1994, 15320/2000, 13296/2001, 2416/2002, 14024/2002, 2316/2003, 5433/2003, 21573/2004, 21644/2004)”, ovverosia situazione (necessità o meno del perfezionamento degli strumenti urbanistici) del tutto differente da quella in cui si trovavano gli immobili della società, la edificabilità dei quali era stata ormai determinata dall’avvenuta approvazione definitiva del piano regolatore generale, quindi in forza di strumenti urbanistici perfezionati.

Vanamente, peraltro, la ricorrente invoca l'”incertezza normativa aggettiva” riconosciuta da questa sezione nella decisione 24 agosto 2004 n. 16751 attesa la diversità “questioni di contrasto concernenti: a) il concetto di edificabilità di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis; b) la individuazione del momento di riferimento per la valutazione della edificabilità dell’area; c) l’ambito del carattere conformativo degli strumenti urbanistici” della fattispecie normativa (peraltro riferita all’anno 1994), ritenuta obiettivamente incerta, ivi considerata, comunque anteriore alla soluzione di detta “incertezza” data dalle sezioni unite con la sentenza n. 172 del 23 aprile 2001 posta a base della pronuncia del 2004.

La ricorrente, peraltro, non contesta l’affermazione del giudice del merito in ordine alla esposizione, nella dichiarazione da essa presentata, di “indicazioni catastali errate con l’intento molto probabile di trarre in inganno l’ente territoriale” nè l’accertato mancato versamento dell’imposta sul terreno posseduto; la stessa ricorrente, inoltre, ammette di aver dichiarato solo un’ area come “terreno agricolo”.

Poichè non è stato neppure adombrata l’esistenza di un errore scusabile della dichiarazione quanto alle “indicazioni catastali”, il giudizio della Commissione Tributaria Regionale circa l’inesistenza della dichiarazione ICI per lo specifico immobile si rivela corretto e tanto esclude, di per sè, in fatto, l’ipotizzabilità di qualsivoglia ipotesi di “buona fede” della contribuente, non sussistendo nessuna incertezza normativa in ordine all’obbligo, posto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10 di dichiarare gli immobili posseduti, con l’esatta indicazione degli afferenti “dati” ed “elementi” identificativi.

D. La richiesta contenuta nel terzo motivo (“erronea … irrogazione della sanzione inflitta”), infine, a prescindere dalla sua indeterminatezza (per carenza di qualsivoglia opportuno referente fattuale), è Inammissibile perchè nuova: della sua sottoposizione al giudice dei merito, infatti, non vi è traccia nella sentenza impugnata nè, in ordine alla medesima, si denunzia, come altrimenti necessario la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia).

4. Per la sua totale soccombenza la ricorrente, sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere al Comune le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositive) in base alle vigenti tariffe forensi, al valore della controversia ed all’attività difensiva svolta da detto ente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al Comune le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.200,00 (cinquemiladuecento/00), di cui Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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