Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12566 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10019/2016 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via del

Tritone n. 169, presso lo studio dell’avvocato Masetti Zannini de

Concina Alessandro, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Catelli Vittorio G., giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

Music Academy Italy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Marcello Prestinari

n. 15, presso lo studio dell’avvocato Zucchi Walter, rappresentata e

difesa dall’avvocato Romen Georg, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44/2015 della COMMISSIONE DEI RICORSI CONTRO I

PROVVEDIMENTI DELL’UFFICIO ITALIANO BREVETTI E MARCHI di ROMA,

depositata il 16/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Music Academy 2000 s.r.l., titolare del marchio Music Academy, per i prodotti e i servizi delle classi (OMISSIS), proponeva opposizione alla domanda di marchio presentata da Music Academy Italy s.r.l. per le stesse classi, con talune specificazioni avendo particolarmente riguardo alle classi (OMISSIS).

L’U.I.B.M. (e cioè l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) rilevava che i marchi in conflitto erano da considerarsi simili tra loro e che gli elementi figurativi che li accompagnavano erano, in una valutazione globale, recessivi rispetto a quelli denominativi; osservava, inoltre, che la locuzione Music Academy era dotata di ridotta capacità distintiva, ma che le coincidenze letterali erano tali da neutralizzare le differenze esistenti, le quali risultavano attenuate anche dalla circostanza per cui i prodotti e servizi contrassegnati erano identici o molto simili, restando in tal modo compensato il carattere debole del segno. L’opposizione era pertanto accolta con l’eccezione dei servizi della classe (OMISSIS), relativamente ai “lavori di ufficio”.

2. – Music Academy 2000 proponeva ricorso avverso l’accoglimento dell’opposizione.

Nel contraddittorio con M.M., divenuto medio tempore titolare del marchio Music Academy, la Commissione dei ricorsi, con sentenza del 16 ottobre 2015, rigettava l’opposizione. Osservava, al riguardo, che l’espressione Music Academy presentava natura generica e descrittiva, avendo attinenza ai servizi forniti nel settore della formazione, del divertimento e delle attività culturali in campo musicale. In conseguenza, stante il carattere debole del marchio, l’esaminatore avrebbe dovuto orientare la verifica, più che sul presunto “cuore” dei segni, individuato nella loro coincidente parte denominativa, sulle modificazioni o aggiunte presenti in quello posteriore per stabilire se vi fosse imitazione integrale od in modo molto prossimo dell’insieme denominativo-figurativo ovvero se la confondibilità fosse da escludere per gli interventi “correttivi”, pur modesti, adottati in tale contesto: precisava, infatti, che la ridotta capacità distintiva del marchio debole comporta una tutela affievolita, onde lievi variazioni o integrazioni risulterebbero idonee ad escludere la contraffazione, consentendo la coesistenza dei segni. Avendo quindi riguardo alle tonalità cromatiche e alla rappresentazione verbale e figurativa, alla presenza, nel marchio contestato, di elementi aggiuntivi – quali la parola (OMISSIS), la frase Istituti musicali leader in Europa e un particolare elemento grafico (consistente in un “simbolo incorniciato del manico della chitarra”) – l’impressione suscitata dall’insieme dei due segni doveva ritenersi diversa e non sovrapponibile: la Commissione reputava così “sufficiente ad escludere similitudine confusoria la differenziazione operata a livello di parole, colori e simboli che si (accompagnavano) alla comune denominazione descrittiva”.

3. – La pronuncia è stata impugnata per cassazione da M.M. con un ricorso basato su due motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso il Ministero dello sviluppo economico e Music Academy Italy s.r.l.; pure quest’ultima ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è denunciato l’omesso esame circa un punto decisivo, con violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Viene dedotto che la Commissione dei ricorsi avrebbe completamente mancato di effettuare una qualche comparazione tra i prodotti e i servizi dei marchi in conflitto, limitandosi ad affermare che l’Ufficio aveva “dato eccessivo peso alla somiglianza tra categorie merceologiche”, così omettendo di esplicitare l’iter logico che l’aveva condotta a tale conclusione.

Col secondo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 1, lett. d), c.p.i., e l’errata applicazione dei criteri legali sul carattere distintivo e sul rischio di confusione. Viene osservato che la Commissione non aveva applicato i criteri che fondano il giudizio di confondibilità tra segni, non avendo dato alcun rilievo alla circostanza per cui vi era una incontrovertibile identità o somiglianza tra categorie merceologiche. Viene ricordato che, in tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni, nel caso di affinità dei prodotti, deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, bensì in via globale e sintetica, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda e il ricordo di altro segno distintivo: non vi era dubbio, ad avviso del ricorrente, che nella percezione del pubblico rimanga ben impressa la parte denominativa dominante, piuttosto che qualche marginale aspetto grafico. E’ rilevato che la Commissione avrebbe omesso ogni valutazione dell’aderenza concettuale della locuzione Music Academy a tutte le classi merceologiche per le quali i due marchi, quello anteriore e quello successivo, erano stati registrati: si rileva, in proposito, che alcune di tali registrazioni risultavano essere del tutto estranee al mondo della musica e a quello accademico. Infine, ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe passibile di censura per avere la Commissione mancato di considerare il rischio di confusione consistente nel rischio di associazione tra segni.

2. – Va anzitutto escluso che il ricorso per cassazione sia tardivo, come eccepito dal Ministero.

La “notificazione” della sentenza della Commissione, per raccomandata postale, a cura della segreteria della Commissione stessa, all’interessato o al suo mandatario, come prevista dall’art. 136, comma 16, c.p.i. non ha incidenza sul computo del termine breve (art. 325 c.p.c., comma 2) per l’impugnazione della pronuncia col ricorso per cassazione. Si tratta, infatti, di una semplice comunicazione con cui le parti sono rese edotte della decisione adottata: incombente che, come è noto, a norma dell’art. 133 c.p.c., comma 2, è inidoneo a far decorrere il termine per l’impugnazione decorrente dalla vera e propria notificazione del provvedimento (con riferimento alla disciplina anteriore al codice della proprietà industriale, cfr. Cass. 14 novembre 2008, n. 27229, secondo cui la notificazione della pronuncia impugnata, a cura della segreteria della Commissione e nei confronti delle parti interessate, contemplata dall’art. 61 del regolamento in materia di marchi di cui al D.P.R. n. 795 del 1948, equivale soltanto all’avviso di cancelleria del deposito della sentenza di cui all’art. 133 c.p.c., non integrando invece, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, la notifica ad istanza di parte, necessaria secondo l’art. 285 c.p.c.).

3. – Il ricorso è infondato.

3.1. – La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (per tutte, tra le sentenze massimate in tal senso: Cass. 6 aprile 2018, n. 8577; Cass. 28 gennaio 2010, n. 1906; Cass. 7 marzo 2008, n. 6193). Come ribadito di recente, tale accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Cass. 17 ottobre 2018, n. 26001, attraverso il richiamo a Cass. 28 febbraio 2006, n. 4405). Il principio è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte giust. CE 11 novembre 1997, C-251/95, Sabel, 22 e 23; Corte giust. CE 22 giugno 1999, C-342/97, Lloyd, 25, la quale precisa, al punto 26, che, il consumatore medio di una data categoria di prodotti, per quanto sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria).

Ebbene, la Commissione ha evidenziato che, proprio il raffronto globale dei segni, attuato mercè l’accostamento dei vari elementi grafici, cromatici e lessicali degli stessi, dava ragione, in assenza di particolari elementi dominanti, del fatto che “l’impressione suscitata dall’insieme dell’uno (fosse) diversa e non sovrapponibile rispetto a quella propria dell’altro”, dovendosi ritenere sufficiente la diversificazione tra i marchi operata con parole, colori e simboli, i quali si associavano alla “comune denominazione descrittiva” (l’espressione Music Academy).

La deduzione del ricorrente, secondo cui nella percezione del pubblico rimarrebbe “ben impressa la parte dominante, piuttosto che qualche marginale aspetto grafico” non vale a incrinare il fondamento argomentativo della decisione impugnata.

L’affermazione dell’istante non si misura con la pronuncia, la quale ha recisamente escluso, come si è appena detto, che i due marchi in conflitto presentassero elementi dominanti. E’ a dirsi che il rilievo di tali elementi è sovente rimarcato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di marchi complessi: viene precisato, al riguardo, che l’impressione d’insieme prodotta da un marchio complesso nella memoria del pubblico di riferimento può, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti e che, tuttavia, la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante può valutarsi solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili (così, ad esempio: Corte giust. CE 3 settembre 2009, C-498/07 P, Aceites del Sur, 62; Corte giust. UE 19 marzo 2015, C-182/14 P, MEGA Brands International, 38). Il riferimento operato dalla Commissione agli elementi dominanti non si raccorda però a tale giurisprudenza (tanto più che la pronuncia impugnata non riconduce espressamente i marchi in conflitto alla categoria dei marchi complessi), ma pare finalizzato a dar semplicemente conto di come nei segni in questione alla locuzione Music Academy non potesse attribuirsi un preponderante rilievo sul piano distintivo. Ora, l’istante nel sostenere che esista, nei marchi in questione, una parte denominativa dominante, idonea ad essere memorizzata dal pubblico, finisce per sconfessare l’accertamento di fatto della Commissione: ed è da rilevare, in proposito, che è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si fondi su una situazione di fatto diversa da quella prospettata ed accertata nel giudizio di merito (Cass. 11 novembre 2015, n. 23045).

E’ da osservare, per completezza, che la Commissione dei ricorsi ha ritenuto che la locuzione Music Academy (pag. 5 della sentenza) avesse una valenza fortemente descrittiva e che un tale apprezzamento di fatto, non sindacabile nella presente sede attraverso le censure che sono state sollevate dal ricorrente, è incompatibile con l’asserito carattere dominante di tale componente dei segni in conflitto. Basterà ricordare, in proposito, come la giurisprudenza, prima comunitaria, e poi unionale, abbia sottolineato, a più riprese, che il pubblico non considera un elemento descrittivo facente parte di un marchio complesso come l’elemento distintivo e dominante dell’impressione complessiva che tale marchio complesso produce (per tutte: Trib. UE 4 febbraio 2016, T-247/14, Meica Ammerlandische Fleischwarenfabrik Fritz Meinen, 47; Trib. CE 9 settembre 2008, T-363/06, Honda Motor Europe, 39): principio, questo, che viene applicato anche con riguardo alle singole componenti del marchio denominativo che presentino valenza descrittiva (in tema, ad esempio, Trib. CE 6 luglio 2004, T-117/02, Gruppo El Prado Cervera, 51 ss., secondo cui vanno apprezzati gli elementi di differenziazione tra marchi denominativi ove l’elemento comune ad essi, nella specie consistente in un prefisso verbale, possegga carattere descrittivo).

Deve quindi osservarsi che una componente descrittiva del segno, quale nella specie è stato accertato essere l’espressione Music Academy, non può, almeno di regola, assumere valenza dominante all’interno del marchio, in quanto è inidonea ad essere percepita dal pubblico, e a imprimersi nella memoria dello stesso, come un elemento munito di propria distintività.

Questo rilievo spiega incidenza anche sul tema, sollecitato dal ricorrente con secondo motivo di ricorso, circa la configurabilità di una contraffazione del marchio debole che si concreti nella riproduzione del segno con interventi emendativi o additivi di portata marginale.

Nella tradizione della giurisprudenza di questa Corte, la distinzione tra marchi forti e marchi deboli (e cioè tra segni che rispettivamente non presentano, o presentano, aderenza concettuale al prodotto o al servizio offerto) rileva nel senso che, mentre per il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (tra le tante: Cass. 14 maggio 2020, n. 8942; Cass. 18 giugno 2018, n. 15927; Cass. 24 giugno 2016, n. 13170). Questa differenza di tutela viene solitamente spiegata con la considerazione che i cosiddetti marchi deboli sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l’uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267; Cass. 26 giugno 1996, n. 5924): traspare, in ciò, la valorizzazione dell’esigenza, avvertita pure da una giurisprudenza di merito, di delimitare, in funzione antimonopolistica, l’ambito di tutela dei marchi aventi un forte contenuto descrittivo, consentendo ai concorrenti di utilizzare segni nei quali sono presenti elementi che suggeriscono lo stesso accostamento al prodotto o al servizio contrassegnato.

In realtà, la tenue protezione accordata ai marchi deboli rispetto ai marchi forti trova un ulteriore, pregnante fondamento, sul piano della disciplina positiva. Come ricordato dallo stesso ricorrente, l’esistenza di un rischio di confusione, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, non è escluso dal debole carattere distintivo del marchio anteriore (Corte giust. UE, 5 marzo 2020, C-766/18 P, Foundation for the Protection of the Traditional Cheese of Cyprus named Halloum, 70; Corte giust. UE 12 giugno 2019, C-705/17, Hansson, 44). Secondo la stessa Corte, peraltro, il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (Corte giust. CE 11 novembre 1997, C-251/95, Sabel, cit., 24): e poichè la tutela di un marchio depositato dipende dall’esistenza di un rischio di confusione, i marchi che hanno un elevato carattere distintivo, o intrinsecamente, o a motivo della loro notorietà sul mercato, godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (Corte giust. CE 29 settembre 1998, C-39/97, Canon, 18, la quale menziona, in proposito, il disposto dell’art. 4, n. 1, lett. b) dir. 89/104/CEE; negli stessi termini, Corte giust. CE 22 giugno 1999, C-342/97, Lloyd, cit., 20). In tale prospettiva assumono centralità l’attitudine, presente nel marchio forte, ad essere ricordato per il suo accentuato carattere distintivo, e quindi confuso con segni simili, e la simmetrica penuria, nel marchio debole, di elementi individualizzanti che lo imprimano nella memoria del consumatore e che facciano conseguentemente emergere un rischio di confusione, con altri marchi, della medesima portata.

La regola secondo cui per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte ha quindi rispondenza nello scarso valore distintivo di tale segno, che – in base a quanto osservato – rende meno consistente, per esso, il rischio di confusione.

Tale regola va tuttavia declinata in concreto, verificando se le variazioni apportate col marchio successivo al marchio anteriore possano considerarsi o meno trascurabili, secondo le circostanze, ai fini della confondibilità tra i segni.

Non può infatti escludersi, in termini assoluti, che una modificazione del marchio debole possa risultare, in concreto, tanto marginale da non elidere il rischio confusorio: nella giurisprudenza di questa Corte si è così sostenuto che il marchio debole possa ricevere tutela a fronte dell’adozione di mere varianti formali, inidonee ad escludere la confondibilità dei segni (Cass. 2 febbraio 2015, n. 1861; Cass. 25 giugno 2007, n. 14684). E al riguardo, va effettivamente rilevato che il criterio di differenziazione tra marchi forti e deboli è finalizzato alla verifica dell’esistenza di una confondibilità effettiva dei segni e che l’apprezzamento sulla confondibilità costituisce pur sempre un giudizio di fatto (Cass. 13 marzo 2017, n. 6382; Cass. 5 febbraio 1979, n. 756), il quale non può essere sostituito, in tutto e per tutto, da una astratta regola di giudizio: regola che finirebbe inevitabilmente per favorire, col suo rigido automatismo, soluzioni prive di aderenza alla specificità delle situazioni controverse.

Il rischio di approdare a tali esiti appare, del resto, tanto più consistente ove si consideri che la stessa tradizionale catalogazione dei marchi in forti e deboli non riflette la gamma di sfumature che è dato di registrare nell’attinenza del segno al prodotto o al servizio: basti pensare, in proposito, ai marchi suggestivi, che sono capaci di suscitare impressioni o associazioni mentali solo indirette con la tipologia del bene o dell’attività cui sono riferiti.

Ciò detto, nel caso in esame la Commissione non si è tuttavia arrestata alla semplice presa d’atto della natura debole del marchio del ricorrente, ma ha rilevato, come si è visto, che il rischio di confusione tra i segni era da escludere. A fronte di tale accertamento di fatto, non sindacabile nella presente sede, la deduzione dell’istante – secondo cui le lievi modificazioni del marchio debole che valgono ad escludere la contraffazione devono essere idonee ad essere percepite con valore differenziante dai consumatori dei prodotti contrassegnati dai marchi in conflitto – si rivela non concludente.

3.2. – Non colgono nel segno nemmeno le censure, svolte nel primo motivo e nella prima parte del secondo, che sono incentrate sull’asserita assenza di comparazione tra i prodotti e i servizi dei marchi in conflitto.

E’ senz’altro vero che l’apprezzamento sulla confondibilità va compiuto dal giudice di merito accertando non soltanto l’identità o almeno la confondibilità dei due segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti, sulla base quanto meno della loro affinità; tali giudizi – va aggiunto – non possono essere considerati tra loro indipendenti, ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cosiddetta “confondibilità tra imprese” (Cass. 6 dicembre 2019, n. 31938; Cass. 10 ottobre 2008, n. 24909).

Ciò posto, il dato della somiglianza delle categorie merceologiche di riferimento non è stato affatto trascurato dalla Commissione, la quale ha invece significativamente evidenziato come l’Ufficio avesse dato “eccessivo peso” a tale elemento “per azzerare – nel giudizio di bilanciamento – la dissomiglianza dei segni”. Del resto, l’identità o l’affinità tra i prodotti e i servizi non è da sola in grado di dar ragione della nullità del marchio di cui all’art. 12, comma 1, lett. a), c.p.i. dal momento che il giudizio di confondibilità non si esaurisce in esso, dovendo aver riguardo anche all’identità o affinità dei segni.

3.3. – Inammissibile risulta poi essere la censura con cui il ricorrente ha lamentato che la sentenza impugnata non avrebbe valorizzato la mancata aderenza della locuzione Music Academy a talune delle classi merceologiche per cui i marchi sono stati registrati.

Non risulta che di tale questione si sia dibattuto nel giudizio di merito, in cui si è dato atto, puramente e semplicemente, della debolezza del marchio Music Academy: affermazione, questa, che si poneva in continuità con quanto ritenuto dall’UIBM, il quale aveva difatti ritenuto che il termine suddetto “era dotato di ridotta capacità distintiva”: cfr. sentenza impugnata, pag. 2).

Va qui ricordato che ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

3.4. – Non appare conferente, da ultimo, la doglianza incentrata sul rischio di associazione tra i segni. Il ricorrente evoca l’affermazione, contenuta nel provvedimento dell’Ufficio, secondo cui il pubblico di riferimento sarebbe portato a pensare che il marchio del richiedente costituisca un’evoluzione del marchio anteriore, riferita, ad esempio, “ad una sezione dell’azienda a marchio Music Academy, specializzata nella formazione musicale ed in particolare nell’insegnamento della chitarra, ovvero la filiale italiana dell’azienda a marchio Music Academy”.

Il rischio di associazione fra i due segni ricorre quando il pubblico possa essere indotto in errore circa la provenienza dei prodotti dalla stessa impresa, o anche (cfr. al riguardo Cass. 21 dicembre 2007, n. 27081) circa la sussistenza di un particolare legame commerciale o di gruppo tra l’impresa terza e il titolare del marchio, ovvero possa essere indotto a credere che i due prodotti provengano da imprese distinte tra le quali intercorrano rapporti di licenza o di autorizzazione all’uso del marchio stesso. Va tuttavia precisato, in conformità dell’insegnamento della Corte di giustizia, che il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate,costituisce espressione del rischio di confusione (Corte giust. CE 11 novembre 1997, C-251/95, Sabel, cit., 16-18; Corte giust. CE 29 settembre 1998, C-39/97, Canon, cit., 29; Corte giust. CE 22 giugno 1999, C-342/97, Lloyd, cit., 17): dalla formulazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi di impresa (all’epoca dir. 89/104/CEE, oggi dir. 2015/2436/UE) deriva, poi, che la nozione di rischio di associazione non è un’alternativa alla nozione di rischio di confusione, ma serve a precisarne la portata (Corte giust. CE 11 novembre 1997, C-251/95, Sabel, cit., 18 e 19 e Corte giust. CE 22 giugno 1999, C-342/97, Lloyd, cit., 17). In conseguenza, questa Corte regolatrice ha avuto modo di rilevare che l’art. 5, n. 1, lettera b), della dir. n. 89/104/CE non consente di presumere (neppure nel caso di notorietà del marchio protetto, e a fortiori in assenza di notorietà) l’esistenza di un rischio di confusione per il solo fatto dell’esistenza di un rischio di associazione in senso stretto, essendo necessario l’accertamento positivo dell’esistenza di un rischio di confusione, il quale costituisce l’oggetto della prova da far valere (Cass. 28 ottobre 2005, n. 21086).

Ora, l’istante si duole del mancato apprezzamento del rischio di associazione dei segni, senza correlarlo al rischio confusorio, che, come si è visto, la Commissione ha vagliato ed escluso. In tal senso la censura appare priva di concludenza, in quanto sollecita l’esame di un profilo (quello dell’associazione dei segni) in sè inidoneo a determinare la nullità del marchio, che invece sempre dipende dal rischio di confusione.

4. – Il ricorso è in conclusione respinto.

5. – Per la regolamentazione delle spese del giudizio deve aversi riguardo al criterio della soccombenza.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, per quanto riguarda il Ministero dello sviluppo economico e in Euro 5.700,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, per quanto riguarda Music Academy s.r.l.; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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