Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12565 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M., residente in

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma alla Via Vittoria

n. 3 presso l’avv. Tamborlini Eugenio insieme con l’avv. Sergio

LOMBARDI (del Foro di Asti) che la rappresenta e difende in forza

della procura speciale rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

il Comune di Calosso (AT), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Asti alla Piazza Medici n. 29 presso lo

studio dell’avv. CARANZANO Roberto (del Foro di Asti) che lo

rappresenta e difende in forza della procura speciale rilasciata a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14/05/04 depositata il 18 novembre 2004 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, notificata il 13

dicembre 2004;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 febbraio 2010

dal Cons. Dott. D’ALONZO Michele;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, il quale ha concluso per l’accoglimento del quarto

motivo del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato al Comune di Calosso (AT) il 9 febbraio 2005 (depositato il 26 febbraio 2005), S.M. – premesso che: (1) era “imprenditore agricolo, titolare dell’Azienda Agricola Cagnotto Marcello…, iscritta nella sezione speciale imprese agricole presso la Camera di Commercio”; (2) era proprietaria di un “fabbricato urbano sito nel Comune di (OMISSIS) adibito ad abitazione…, unica e principale, propria e della propria famiglia” nonche’ di “terreni agricoli asserviti all’azienda agricola” e di un “fabbricato dimesso utilizzato da ricovero per macchinari agricoli, attrezzi e scorte varie strumentali all’azienda agricola”; (3) per gli anni 1995, 1996 e 1997 aveva provveduto all'”autoliquidazione e al pagamento” dell’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) “applicando i benefici previsti per la casa adibita ad abitazione principale, per i terreni agricoli condotti da imprenditori agricoli” ed “escludendo… dal computo il fabbricato rurale asservito all’azienda agricola”; (4) il 29 dicembre 2001 il Comune predetto le aveva notificato “avvisi di accertamento” con i quali aveva richiesto il pagamento di una maggior imposta (oltre interessi e sanzioni) -, in forza di quattro motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 14/05/04 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il 18 novembre 2004, notificata il 13 dicembre 2004) che aveva disatteso l’appello da essa proposto avverso la decisione (146/03/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Asti la quale aveva respinto il suo ricorso.

Nel controricorso notificato il 24 marzo 2005 (depositato, mediante spedizione a mezzo posta, il 30 marzo 2005), il Comune intimato instava per la declaratoria di inammissibilita’ ovvero per il rigetto dell’impugnazione della S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disattesa l'”eccezione” di inammissibilita’ del ricorso – fondata dal Comune sul fatto che questo e’ stato ad esso notificato “presso il domicilio eletto nel giudizio di secondo grado, per il tramite dell’ufficiale giudiziario addetto al tribunale di Asti” invece che “per il tramite” di quello “addetto al tribunale di Torino”, luogo nel quale e’ stata emessa la sentenza impugnata:

l’eventuale vizio derivante dalla incompetenza dell’ufficiale giudiziario che ha provveduto alla notifica, infatti, determina (Cass.: un., 12 febbraio 1999 n. 51/SU e 2^, 7 magio 1999 n. 4603) non l’inesistenza ma solo la nullita’ di questa (e non pure del ricorso) e, comunque (Cass.: trib., 6 maggio 2004 n. 8625; 2^, 17 gennaio 2003 n. 637; lav., 29 marzo 1994 n. 3039, tra le altre), costituisce un vizio sanabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3 per raggiungimento dello scopo (quindi anche in ogni caso in cui siti raggiunta la prova dell’avvenuta comunicazione dell’atto al notificato), ove, come nel caso, il Comune (parte notificata) abbia provveduto (peraltro tempestivamente) a produrre le proprie difese notificando alla societa’ ricorrente il proprio controricorso.

2. Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello della contribuente osservando:

– “la detrazione per abitazione principale relativamente all’immobile di (OMISSIS) non puo’ essere riconosciuta… perche’ non risultano provati i requisiti obbiettivi voluti dalla disposizione agevolativa”: “la documentazione prodotta dalla contribuente sotto forma di autocertificazione o di atti ricevuti da uffici pubblici non consente di stabilire in modo inequivocabile l’asserita residenza in (OMISSIS), perche’ consiste o in dichiarazioni soggettive della stessa interessata oppure in indirizzi usati dagli enti pubblici emittenti al solo fine di notificare i propri atti, ottenendo lo scopo che li ha ispirati, essendo unicamente rilevante il raggiungimento della persona nei cui confronti gli atti medesimi sono diretti”;

– “quanto al diritto di usufruire delle agevolazioni concesse ai lavoratori – coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli dal D.L. n. 504 del 1992, art. 9… trattasi di domanda nuova prodotta in questo secondo grado di giudizio”:

– “in ogni caso la contribuente non avrebbe potuto godere dell’agevolazione perche’: cancellata dagli elenchi dei coltivatori diretti sin dal 31 luglio 1986; titolare di pensione, non trae dal lavoro agricolo la sua esclusiva fonte di reddito”.

2. La S. censura tale decisione con quattro motivi.

A. Con il primo la ricorrente – “sulla scorta dell’insegnamento” di questa Corte “secondo cui per luogo di dimora abituale si intende la residenza di fatto (Cass.,… 1^, 23 gennaio 2003 n. 2058)” – denunzia “violazione o falsa applicazione” del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 2 nonche’ “insufficiente e contraddittoria motivazione” in ordine alla “individuazione della effettiva sua residenza” affermando che il giudice di appello “si contraddice” perche’ “assume che la documentazione prodotta non consente di stabilire in modo inequivocabile l’asserita residenza…

in via (OMISSIS)” ma rileva anche, in base alle “notifiche effettuate da messi comunali del comune di (OMISSIS)” (“atti pubblici che provengono dallo stesso Comune”), che essa era “reperibile proprio in (OMISSIS)” perche’ qui erano state effettuate notifiche ad essa.

B. Con il secondo motivo la contribuente – esposto leggersi (a) “nei ricorsi introduttivi… ed ha applicato le norme relative ai benefici fiscali previsti per i terreni agricoli condotti da imprenditori agricoli che esplicano la loro attivita’ a titolo principale, come si puo’ evincere dal volume d’affari delle dichiarazioni IVA accluse, a norma delle agevolazioni previste da D.Lgs. n. 504 del 1992…. vista la stessa norma, ha pagato la tassa relativa ai terreni in base all’esenzione fino a 50 milioni… chiede l’annullamento dei provvedimenti impugnati” e (b) “nella sentenza di primo grado… “…

la ricorrente precisava di aver pagato l’imposta relativa ai terreni agricoli applicando l’esenzione prevista per gli imprenditori agricoli a titolo principale” – denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” nonche’ “falsa applicazione di norme di diritto in tema di proponibilita’ di domande giudiziarie” sostenendo che le sue “doglianze… sotto il profilo della mancata concessione delle agevolazioni concesse ai lavoratori coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli dal D.L. n. 504 del 1992, art. 9 essendo domanda gia’ avanzata in primo grado non possono… essere considerate una domanda nuova avanzata per la prima volta in grado di appello” avendo essa (che non si era “avvalsa di difesa tecnica”) “formulato la richiesta di annullamento degli atti impugnati”, “sebbene con terminologia non identica”, in entrambi i gradi del giudizio.

C. Con il terzo motivo la ricorrente – assunto “sussistere” nella sentenza impugnata (priva di “alcun richiamo a specifiche norme di diritto”) “una velata a-dozione del disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58” – denunzia “violazione o falsa applicazione” del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9 nonche’ “insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto concernente l’iscrizione necessaria, per legge, per ottenere i benefici fiscali” adducendo che il “disposto dell’art. 58” detto (giusta anche il principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 19375 del 17 dicembre 2003) non ha “carattere retroattivo” per cui, “quanto meno per gli anni 1995 e 1996, l’iscrizione negli elenchi comunali non e’ requisito necessario per accedere ai benefici” di cui “al D.L. n. 504 del 1992, art. 9”;

di conseguenza, secondo la ricorrente, il giudice di appello ha “erroneamente” escluso “il riconoscimento… delle predette detrazioni” in suo favore avendo essa provato “di essere imprenditore agricolo… iscritta alla Camera di Commercio… con regolare attribuzione di partita IVA e con i requisiti tutti voluti dall’art. 2135 c.c.”.

D. Con il quarto (ultimo) motivo la contribuente denunzia “omessa motivazione su un punto decisivo” nonche’ “violazione della normativa di cui alla L. 26 febbraio 1994, n. 133” affermando che il giudice di appello, pur riferendo della “richiesta… nell’esposizione dello svolgimento del processo”, ha “completamente omesso di pronunciarsi” sul punto relativo alla esclusione dall’imposta del “vecchio fabbricato rurale in quanto non usato a fini abitativi bensi’ adibito a rustico, documentando tale circostanza”. La ricorrente aggiunge:

– “l’immobile sito in (OMISSIS)” di sua proprieta’ “e’ stato dismesso da abitazione ed utilizzato come pertinenza rurale a far data dall’ultimazione dell’immobile in Via (OMISSIS), avvenuta nei 1985…. come previsto dalla Concessione Edilizia rilasciata nel 1981 e dalla documentazione versata in atti”;

– “ai sensi del D.L. 30 dicembre 1993, n. 551, art. 9, commi 3 bis e 4 convertito in L. 26 febbraio 1994, n. 133, si considera rurale e non soggetto all’Imposta Comunale sugli Immobili, il fabbricato che pur non insistendo sui terreni cui l’immobile e’ asservito, risulti ubicato nello stesso Comune o nei comuni confinanti”;

– “parimenti” sono “escluse dall’ICI… le costruzioni strumentali alle attivita’ agricole, come quelle destinate alla custodia degli attrezzi, delle macchine e dello scorte occorrenti per la coltivazione”.

3. Il ricorso deve essere respinto perche’ infondato.

A. Prima dell’esame del gravame, va ricordato che: (a) il ricorso per Cassazione – in ragione del principio, desumibile dall’art. 366 c.p.c., detto di autosufficienza – deve contenere in se’ (Cass., 3^, 24 maggio 2006 n. 12362; id., 2^, 4 aprile 2006 n. 7825; id., 3^, 20 gennaio 2006 n. 1113; id., 1^, 21 ottobre 2005 n. 20454, tra le recenti), a espressa ” pena di inammissibilita’”, tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresi’, a permettere a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di.

far rinvio o di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o ad atti attinenti al pregresso giudizio di merito;

(b) il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste (Cass., trib., 10 febbraio 2006 n. 2935; id., trib., 20 gennaio 2006 n. 1127; id., 9 novembre 2005 n. 21767; id., 1^, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di un’ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65) mentre l’allegazione di un’ erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) e’ segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;

(c) detto vizio, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilita’ (Cass., 2^, 12 febbraio 2004 n. 2707; id., 2^, 26 gennaio 2004 n. 1317), dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione;

(d) il vizio di omessa od insufficiente motivazione (denunciabile con il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contradditto-ria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioe’ l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav., 12 agosto 2004 n. 15693;

id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355);

(e) questi vizi motivazionali non possono consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte perche’ spetta solo a detto giudice (1) individuare le fonti del proprio convincimento, (2) valutare le prove, (3) controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, (4) scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (5) dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla legge in cui e’ assegnato alla prova un valore legale;

(f) il ricorrente che nel giudizio di legittimita’ deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere, sempre in virtu’ del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione (art. 366 c.p.c.) di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonche’ di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o piu’) risultanze processuali puo’ dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si e’ formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass., 2^, 17 febbraio 2004 n. 3004).

B. Il giudizio della Commissione Tributaria Regionale in ordine alla inidoneita’ dei documenti prodotti dalla ricorrente – costituiti soltanto da “dichiarazioni soggettive della stessa interessata” e da “indirizzi usati dagli enti pubblici emittenti al solo fine di notificare i propri atti” – a provare la “asserita residenza in Via (OMISSIS)”, come intuitivo, giusta i principi innanzi richiamati, attiene esclusivamente all’accertamento della sussistenza, nel caso, della oggettiva situazione di fatto considerata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 2 – per il quale “dalla imposta dovuta per l’unita’ immobiliare direttamente adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono…” – data dalla effettiva destinazione dell’immobile di “(OMISSIS)” ad “abitazione principale” della ricorrente.

Sulla necessita’ di tale accertamento, pero’, non si rinviene (ne’, peraltro, e’ stato propriamente dedotto) il vizio di “violazione o falsa applicazione” del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 2″ perche’ la ricorrente non indica quale sia la interpretazione di tale norma, espressa o supposta dal giudice del merito, ritenuta erronea ne’ espone quale sia l’ermeneutica della stessa considerate corretta.

La doglianza, infatti, si appunta unicamente sull’accertamento fattuale negativo in riferimento al quale la contribuente si e’ limitata a contrapporre il suo al giudizio del giudice di appello senza pero’ indicare ne’ i fatti ne’ le ragioni per i quali quel giudizio dovrebbe essere “insufficiente” o contraddittorio: esclusa, per la loro ovvia irrilevanza, qualsiasi valenza probatoria del contenuto delle (prodotte) dichiarazioni interessate rese dalla contribuente stessa, questa non espone i motivi per i quali la sola indicazione del (OMISSIS) nell’indirizzo degli atti a lei diretti e da essa ricevuti dovrebbe provare (non come ella precisa), di essere “reperibile” a quel numero civico ma che l’immobile identificato con quel numero civico sia stato da lei effettivamente adibito (come vuole la norma) ad “abitazione principale”.

C. Gli ulteriori due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente perche’ involgono entrambi l’applicabilita’ del disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9 (“terreni condotti direttamente”) per il comma 1 del quale “I terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attivita’ a titolo principale, purche’ dai medesimi condotti, sono soggetti all’imposta limitatamente alla parte di valore eccedente Euro… e con le… riduzioni” indicate nella stessa norma.

C1. Sul “diritto di usufruire delle agevolazioni concesse ai lavoratori – coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli dal D.L. n. 504 del 1992, art. 9”, invero, il giudice di appello, come riportato, non si e’ limitato a rilevare che “trattasi di domanda nuova” (perche’ “prodotta in… secondo grado di giudizio”) ma ha, altresi’, osservato che “in ogni caso la contribuente non avrebbe potuto godere dell’agevolazione” perche’ (1) “cancellata dagli elenchi dei coltivatori diretti sin dal 31 luglio 1986” e (2) “titolare di pensione”, si che la stessa “non trae dal lavoro agricolo la sua esclusiva fonte di reddito”.

Questa ultima, assorbente osservazione, come intuitivo, toglie qualsiasi effetto all'(eventuale) erroneita’ della prima (“domanda nuova”) perche’ comunque la domanda concernente il diritto detto e’ stata scrutinata dal giudice di appello e in ordine alla stessa il medesimo ha espresso il suo giudizio (quand’anche negativo).

B.2. Detto giudizio, poi, non puo’ dirsi efficacemente contrastato dall’unica argomentazione addotta -natura non interpretativa e, quindi, non retroattiva (cfr.: Cass., trib., 17 dicembre 2003 n. 19375) del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 58 (“Istituzione dell’imposta regionale sulle attivita’ produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonche’ riordino detta disciplina dei tributi locali”), per il cui comma 2 “agli effetti dell’applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9 relativo alle modalita’ di applicazione dell’imposta ai terreni agricoli, si considerano coltivatori diretti od imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dalla L. 9 gennaio 1963, n. 9, art. 11 e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidita’, vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo” – atteso che tale argomentazione, se rilevante, potrebbe influire solo sulla valenza giuridica del fatto della riscontrata cancellazione della contribuente “dagli elenchi dei coltivatori diretti sin dal 31 luglio 1986” ma non pure sull’altra – costituente autonoma ratio decidendi, idonea di per se’ sola a sorreggere il punto della decisione di appello – data, dalla accertata titolarita’ di “pensione” e, soprattutto, dal conclusivo giudizio secondo cui la contribuente non ha il “diritto di usufruire delle agevolazioni concesse ai lavoratori – coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli dal D.L. n. 504 del 1992, art. 9” perche’ la stessa “non trae dal lavoro agricolo la sua esclusiva fonte di reddito”.

Questo concreto accertamento fattuale, pero’, a prescindere dalla sua veridicita’, evidenzia che la cancellazione dagli elenco dei coltivatori diretti non costituisce affatto una vera ragione del diniego del diritto preteso in quanto la Commissione Tributaria Regionale non ha affatto fondato quel diniego sulla mancanza della iscrizione nell’elenco detto ma ha solo richiamato la cancellazione a prova del giudizio conclusivo detto.

C.3. La ricorrente non ha affatto impugnato questo giudizio per cui deve ritenersi irretrattabilmente accertato che essa “non trae dal lavoro agricolo la sua esclusiva fonte di reddito”.

Tale giudizio e’ l’unico effettivamente decisivo atteso che con l’ordinanza 7 novembre 2003 n. 336 la Corte Costituzionale ha dichiarato la “manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 58, comma 2 (…), sollevata, in riferimento agli arti. 3 e 53 Cost…. e, in riferimento agli artt. 3, 70 e 76 Cost.” osservando:

– “La norma impugnata introduce un’agevolazione fiscale la cui giustificazione evidentemente risiede in un intento di incentivazione dell’attivita’ agricola, connesso alla finalita’ di razionale sfruttamento del suolo cui fa riferimento l’art. 44 Cost.”;

– “L’individuazione del concreto ambito di applicazione dell’agevolazione rientra – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – nella discrezionalita’ del legislatore, salva la manifesta irragionevolezza (cfr., ex plurimis, sentenza n. 431 del 1997, ordinanza n. 27 del 2001)”;

– “In relazione alla suddetta ratio incentivante, non appare manifestamente irragionevole che dal beneficio siano esclusi coloro che – per il limitato numero di giornate lavorative che la coltivazione dei fondi di loro proprieta’ richiede ovvero per il fatto di godere di trattamenti pensionistici – all’evidenza non traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito”.

Il “fatto di godere di trattamenti pensionistici”, quindi, per la corte delle leggi, costituisce indice certo che il pensionato non trae “dal lavoro agricolo la sua… esclusiva fonte di reddito” e, quindi, legittimamente la norma esclude i pensionati dai benefici concessi a quanti, invece, “traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito”.

Tanto significa che il disposto del D.L. n. 504 del 1992, art. 9 non si applica ai pensionati perche’ essi, per il fatto di godere di una pensione, non possono qualificarsi “coltivatori diretti o…

imprenditori agricoli ” che “esplicano la loro attivita’ a titolo principale”, unici destinatari del beneficio fiscale.

D. L’infondatezza del quarto (ultimo) motivo discende dall’applicazione dei principi enunciati dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza depositata n. 18569 il 21 agosto 2009) specificamente in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), per i quali:

(1) “non e’ soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a)” soltanto “l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria ((OMISSIS)), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni” (2) “l’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralita’ del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovra’ impugnare l’attribuzione della categoria catastale (OMISSIS) al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”.

In base a tali principi – che vanno ribaditi per carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria -, quindi, ai fini ICI, la concreta situazione di fatto di un immobile e’ del tutto irrilevante se e finche’ non sia recepita nella corrispondente categoria catastale: vanamente, pertanto, la ricorrente deduce l’avvenuta dismissione dell’immobile “da abitazione” e la sua destinazione a “ricovero per macchinari agricoli, attrezzi e scorte varie strumentali all’azienda agricola” atteso che la stessa non allega neppure che siffatta situazione (in ordine alla cui effettiva esistenza, peraltro, non ha indicato i concreti elementi probatori offerti all’esame del giudice del merito, essendosi limitata a dire di aver documentato “tale circostanza” ed a far riferimento ad imprecisata “documentazione versata in atti”, della quale, in evidente violazione dell’art. 366 c.p.c., non viene riportato neppure per sintesi significativa il contenuto) sia stata riconosciuta dal competente Ufficio dell'(ora) Agenzia del Territorio con l’attribuzione di una categoria e di una classe catastali proprie degli immobili rurali o, almeno, oggetto di una sua richiesta di aderente riqualificazione catastale.

4. Per la sua totale soccombenza la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere al Comune le spese del giudizio di legittimita’ liquidate (nella misura indicata in dispositivo) sulla scorta delle vigenti tariffe professionali, tenuto conto del valore della controversia e dell’attivita’ difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al Comune le spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 1.200,00 (milleduecento/00), di cui Euro 1.000,00 (mille/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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