Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12565 del 18/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/05/2017, (ud. 23/02/2017, dep.18/05/2017),  n. 12565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13612/2011 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, EMANUELE DE ROSE, VINCENZO

TRIOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 281/283, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO ROSSI, rappresentato e difeso dall’avvocato ILARIA ANNA MARIA

MILIANTI, giusta delega in atti (atto di costituzione con procura

non notarile depositato il 21/09/2012);

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 176/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/02/2011 r.g.n. 1364/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO;

udito l’Avvocato ILARIA ANNA MARIA MILIANTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze con la sentenza n.176/2011 ha respinto l’appello dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Lucca che aveva accolto la domanda di P.R. tesa ad ottenere la condanna dell’Istituto al pagamento dell’indennità di disoccupazione relativamente al periodo successivo alle dimissioni rassegnate, con decorrenza 30 settembre 2006, per ragioni di salute derivanti da allergia alle farine.

La Corte territoriale, posto che l’INPS non aveva messo in discussione il principio della piena corrispondenza ai fini della prestazione in oggetto tra dimissioni per giusta causa e licenziamento, ha ritenuto che la natura della patologia (asma bronchiale da allergia alle farine) rendeva evidente l’impossibilità di utile reimpiego del lavoratore all’interno della panetteria presso cui il medesimo lavorava. Le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 269/2002, infine, rendevano evidente-secondo la Corte territoriale – che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 34 comma 5 della legge m. 448/1998 non potesse che rendere ininfluente, ai fini del riconoscimento del diritto, la circostanza che le dimissioni non fossero state rassegnate in conseguenza della condotta datoriale, come, in contrario, preteso da Cassazione n. 29841/2008.

Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo illustrato da memoria. L’intimato ha depositato procura speciale unitamente ad atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 448 del 1998, art. 34, comma 5, e R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 45, comma 3. Il ricorrente, nell’illustrare il motivo, evidenzia l’erroneità della sentenza impugnata in ragione del fatto che l’indennità di disoccupazione, che la L. n. 448 del 1998, art. 34, comma 5, prevede non debba essere corrisposta nell’ipotesi di dimissioni, è stata riconosciuta a P.R. a seguito di dimissioni rassegnate per motivi di salute, estranee alla nozione di giusta causa delineata dalla giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 29481/2008, e da quella costituzionale, con la sentenza n. 269/2002, legata alla ricorrenza di fatti o circostanze comunque riferibili al datore di lavoro.

2. Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., l’INPS ha ulteriormente sostenuto la propria tesi pur mostrandosi consapevole del diverso orientamento espresso da questa Corte di cassazione con la sentenza n. 11051 del 28 maggio 2015 che ha qualificato come difforme rispetto al precedente di questa Corte richiamato in ricorso.

3. La disciplina dell’indennità di disoccupazione applicabile alla fattispecie ratione temporis è contenuta nella L. n. 448 del 1998, art. 34, comma 5, (legge finanziaria per l’anno 1999) e non risente delle recenti innovazioni in materia di trattamento di disoccupazione introdotte dalla L. n. 92 del 2012, e dal D.Lgs. n. 22 del 2015, attuativo della legge delega n. 183 del 2014.

4. La disposizione contenuta nella L. n. 448 del 1998, citato art. 34, comma 5, prevede che la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni intervenuta con decorrenza successiva al 31 dicembre 1998 non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni e integrazioni, e con requisiti ridotti di cui al D.L. 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 maggio 1988, n. 160, e successive modificazioni e integrazioni.

5. La norma cardine è, dunque, il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 45, che, come è noto, già aveva individuato per la erogazione dell’indennità la necessità di uno stato di disoccupazione involontaria. La legge finanziaria per l’anno 1999, L. n. 448 del 1998, in relazione all’erogazione del trattamento di disoccupazione, si pose, dunque, come freno alla spesa pubblica ed ancorò la concessione del medesimo trattamento al requisito della necessaria dipendenza dello stato di bisogno del lavoratore da situazioni rigorosamente involontarie, indicando nelle dimissioni una condotta certamente ostativa all’erogazione, laddove in precedenza le dimissioni volontarie non erano state di ostacolo alla erogazione dell’indennità di disoccupazione ordinaria R.D.L. n. 1827 del 1935, ex art. 73, conv. in L. n. 1155 del 1936, comportando solo una riduzione del periodo indennizzabile (v. Cass. n. 8970/1995).

6. L’introduzione di tale condizione negativa delineò un confine tra dimissioni scaturite da determinazioni del dipendente indipendenti da condotte datoriali o di terzi, certamente ostative alla erogazione del trattamento, e dimissioni che dovevano definirsi sostanzialmente involontarie perchè determinate da condotte datoriali che rendevano obbligata la scelta del dipendente. All’interno di tale ambito hanno trovato ingresso le dimissioni rassegnate per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c..

7. La Corte Costituzionale, adita al fine di risolvere la questione di costituzionalità della L. n. 448 del 1998, art. 34, comma 5, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., in relazione ad ipotesi di dimissioni per giusta causa derivante dal persistente inadempimento del datore di lavoro nella corresponsione delle retribuzioni, con la sentenza n. 269/2002, ebbe modo di chiarire che sebbene l’enunciato contenuto nella L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 34, comma 5, non contempli espressamente l’ipotesi di dimissioni per giusta causa occorre tener presente che nel nostro ordinamento, l’ipotesi della giusta causa è presa in considerazione dall’art. 2119 c.c..

8. Ai fini della suddetta qualificazione del recesso del contraente, tale norma richiede che si verifichi “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. In presenza di una condizione di improseguibilità del rapporto, la cui ricorrenza deve essere valutata dal giudice, l’atto di dimissioni, ancorchè proveniente dal lavoratore, sarebbe comunque da ascrivere al comportamento di un altro soggetto ed il conseguente stato di disoccupazione non potrebbe che ritenersi, ai sensi dell’art. 38 Cost., involontario.

Le dimissioni indotte da una causa insita in un difetto del rapporto di lavoro subordinato, così grave da impedirne persino la provvisoria prosecuzione (art. 2119 c.c.), comportano, dunque, uno stato di disoccupazione involontaria e devono ritenersi non comprese, in assenza di una espressa previsione in senso contrario, nell’ambito di operatività della disposizione censurata, potendosi pervenire a tale risultato attraverso una interpretazione conforme a Costituzione della stessa.

9. Questa Corte di cassazione (v. da ultimo Cass. n. 17303/2016 a proposito di giusta causa in ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto), peraltro, ha sempre ritenuto che la nozione di giusta causa, sia da ricollegare o ad un gravissimo inadempimento (cfr. da ult. Cass. n. 25384 del 2015) ovvero ad un’altra causa oggettivamente idonea a ledere il vincolo fiduciario (v. in tal senso Cass. n. 3136 del 2015), mentre esula da tale nozione l’impossibilità oggettiva della prestazione lavorativa derivante da stato di malattia.

10. Proprio con riferimento a fattispecie analoga alla presente, in cui la perdita del lavoro derivava da dimissioni motivate da stato di malattia, questa Corte di cassazione con la sentenza n. 29481/2008 ha ribadito, uniformandosi alla citata giurisprudenza costituzionale, che la disoccupazione è involontaria quando è dovuta a dimissioni rassegnate per il comportamento di un altro soggetto, ovvero riconducibili ad una causa insita in un difetto del rapporto di lavoro, così grave da impedirne la provvisoria esecuzione. Si fa riferimento, con evidenza, al fatto del datore di lavoro o al fatto del terzo, non già alla situazione soggettiva del lavoratore, la cui scelta, ancorchè dettata da motivi di salute, rimane tuttavia volontaria.

11. Peraltro, interpretando la L. n. 44 del 1998, art. 34, comma 5, in modo da escludere dal divieto di erogazione dell’indennità di disoccupazione anche l’ipotesi di dimissioni volontarie motivate da malattia si finirebbe per orientare la prestazione medesima verso il soddisfacimento di bisogni diversi da quelli cui mira il trattamento dell’indennità di disoccupazione espressamente disciplinato sulla base di una fattispecie concreta che la norma individua in modo espresso, laddove, peraltro, l’ordinamento appresta altre e specifiche tutele al lavoratore che versa in stato di malattia o che si dimostri essere inidoneo definitivamente all’espletamento delle proprie mansioni.

12. A tale orientamento deve darsi continuità per le ragioni sin qui rappresentate che lo fanno preferire al recente arresto di Corte di cassazione n. 1105/2015 che ha ritenuto di poter ricondurre alla medesima ratio delle dimissioni per giusta causa le dimissioni motivate da ragioni di salute.

13. La Corte di Appello impugnata ha, dunque, in sostanza esteso la sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 269/2002 ad un caso diverso e non contemplato dalla medesima, vale a dire alle dimissioni per motivi di salute che non sono coperte dalla sentenza in parola.

14. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata. La causa, non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa nel merito col rigetto della domanda introduttiva.

15. Stante la non uniformità dei precedenti di legittimità le spese di tutti i gradi del giudizio vanno compensate.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da P.R.; dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2017

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