Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12563 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i

cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

M.P.L.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, Sezione distaccata di Brescia, n. 41/37/04, depositata in

data 24 settembre 2004;

Sentita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza dal

consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito l’Avv. Generale dello Stato, Diego Giordano;

Sentite le richieste del Procuratore Generale, in persona del

Sostituto Dott. Wladimiro De Nunzio, il quale ha concluso per il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

1.1 – M.P.L. impugnava il silenzio rifiuto formatosi in relazione all’istanza di rimborso delle somme versata a titolo di IRAP, quale medico condotto, relativamente agli anni dal 1998 al 2001.

1.2 – La Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava il ricorso.

1.3 – In contribuente interponeva appello; la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la decisione indicata in epigrafe, tenuto conto della definizione automatica del reddito imponibile, da parte del M., relativamente all’anno 1998, accoglieva parzialmente l’appello, affermando la fondatezza della domanda di rimborso relativamente alle some versate, a titolo di i.r.a.p., per gli anni 1999, 2000 e 2001.

Si affermava, in particolare, che dalle voci del “Quadro (OMISSIS)” della dichiarazione presentata dal contribuente emergevano delle quote di ammortamento, spese per gli immobili e per i consumi di importi modesti, di talchè, tenuto conto anche dell’assenza di voci concernenti collaboratori e/o dipendenti, appariva evidente trattarsi di “un’entità minimale”, non sufficiente per ritenere la sussistenza di un’attività organizzata.

1.4 – Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

2.1 – La ricorrente, con il primo motivo di ricorso, denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che il contribuente aveva dedotte, con il ricorso introduttivo, la mera illegittimità costituzionale delle disciplina concernente l’TRAP, mentre soltanto in grado di appello, in violazione del divieto di ius novorum, aveva introdotto il tema dell’insussistenza di un’autonoma organizzazione.

Il motivo, astrattamente condivisibile, è inammissibile, in quanto risulta inficiato da una generale inosservanza del principio di autosufficienza.

Se è vero, infatti, che il vizio di ultrapetizione, in quanto incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), integra un error in procedendo, in relazione al quale la Suprema Corte è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni delle parti, è altrettanto vero che, fermo questo potere – dovere di riesame degli atti processuali, la parte ricorrente ha sempre l’onere di indicare tutti gli elementi di fatto atti a individuare la dedotta violazione processuale. Il dovere di riesame del fatto processuale non implica, invero, la ricerca dello stesso, salvo che non si tratti di fatti rilevabili d’ufficio (ed il vizio di ultra petita non può essere rilevato d’ufficio: Cass. nn. 5133/1988, 6152/1996, 11559/2000, 21/2000, 4592/2000; Cass., 1170/2004).

2.2 – Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 144; del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, nonchè omessa, illogica ed incoerente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si sostiene che l’esigenza di un’attività “autonomamente organizzata”, come si desumerebbe dalla relazione parlamentare al D.Lgs. n. 137 del 1998, non dovrebbe intendersi nel senso di escludere tout court gli esercenti di arti o professioni non “autonomamente organizzati” dal punto di vista “materiale”, non potendosi prescindere, come chiarito anche dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 426 del 2002, dal reale presupposto impositivo costituito dalla produzione di valore aggiunto.

Il motivo è infondato, anche alla luce dei principi recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte, che il Collegio condivide ad ai quali intende dare continuità.

Si è infatti affermato (Cass., 26 maggio 2009, n. 12108) che, in tema di i.r.a.p., il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

E’ stato altresì precisato che costituisce onere del contribuente, il quale chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.

2.3 – Con riferimento al significato e alla portata della modifica apportata al testo originario della norma contenuta nel D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, questa Corte ha già avuto modo di precisare che il dato inerente all’attività “autonomamente organizzata”, assunto dalla legge quale connotato indefettibile dell’attività abituale tassabile, è da interpretare necessariamente in senso oggettivo, non solo perchè l’elemento dell’autonomia, se inteso in senso soggettivo, si risolve in una mera tautologia (il professionista è autonomamente organizzato perchè è un soggetto capace di organizzazione autonoma), che non avrebbe richiesto un apposito intervento legislativo di precisazione; ma soprattutto perchè è l’unica interpretazione “costituzionalmente orientata”, quindi obbligatoria per l’interprete (C. cost., ordin. n. 452/2005, 361/2005, 283/2005, 433/2004; sent. nn. 198/2003, 107/2003, 316/2001, 113/2000), essendo stato evidenziato dal giudice delle leggi, con la sentenza n. 156 del 2001, e non certamente smentito dalla successiva ordinanza n. 426/2002 (di manifesta infondatezza delle identiche eccezioni già rigettate con detta sentenza), che, se la norma fosse accolta nel senso di ritenere applicabile l’imposta anche nel caso d’inesistenza del suddetto elemento oggettivo, risulterebbero violati i principi di eguaglianza e di capacità contributiva, garantiti appunto dall’equiparazione dell’attività professionale a quella imprenditoriale sul filo dell’autonoma organizzazione, connaturata a quest’ultima e soggetta ad accertamento nella prima; e che, pertanto, “nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione … risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta” (Cass., 16 febbraio 2007, n. 3674; Cass., 16 febbraio 2007, n. 3672).

2.4 – Premesso, quindi, che non può condividersi l’assunto secondo cui i lavoratori autonomi esercenti arti e professioni, indipendentemente dal grado di intensità organizzativa impresso alla propria attività, possano in ogni caso considerarsi soggetti passivi dell’imposta in esame, deve ribadirsi l’esigenza – affermata dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte – di una valutazione di merito, da effettuarsi sulla base dei criteri sopra richiamati, valutati complessivamente e logicamente coordinati.

Al riguardo deve ritenersi la Commissione tributaria regionale abbia correttamente posto in evidenza la modestia delle spese di ammortamento e di altro genere, nonchè l’assenza di qualsiasi forma di collaborazione.

Si tratta, a ben vedere, di una valutazione di merito, compiuta all’esito di un accertamento di fatto, e formulata, sia pure in maniera sintetica, nel rispetto dei principi sopra richiamati, nel senso dell’esclusione, con congrua motivazione, della ricorrenza di un’attività “autonomamente organizzata”.

La decisione impugnata, pertanto, va confermata, senza provvedere in merito alle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

 

 

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