Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12563 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 09/06/2011), n.12563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SICILIA

235, presso lo studio dell’avvocato DI GIOIA GIULIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO

66, presso lo studio dell’avvocato BARILE ANTONIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SCARAMOZZA FERNANDO COSIMO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1641/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/05/2006 r.g.n. 1064/03 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Benevento, depositato in data 28.9.2000, P.C., premesso di aver lavorato alle dipendenze di M.V., in qualità di operaio addetto alla mescola del cemento ed al trasporto del carrello elevatore, dal 3.12 1979 al 31.7.1999, esponeva di essere stato in tale data arbitrariamente licenziato, di non aver percepito la retribuzione dovutagli secondo il contratto collettivo di categoria, di non aver percepito la 13A e 14A mensilità, il T.F.R., il compenso per il lavoro straordinario, di essere stato costretto a firmare nell’anno 1996 un fittizio atto di dimissioni ed una quietanza liberatoria di pagamento del T.F.R. mentre in realtà il rapporto era proseguito sino al 1999 nonostante le successive fittizie riassunzioni e licenziamenti negli anni dal 1996 al 1999, di non aver ricevuto alla data della cessazione del rapporto la restituzione del libretto di lavoro con conseguente impossibilità di reiscrizione al collocamento. Chiedeva pertanto che il giudice adito volesse dichiarare l’esistenza di un unico rapporto di lavoro dal 1979 al 1999 nonchè l’illegittimità del licenziamento, con condanna del convenuto alla reintegra nel posto di lavoro, alla corresponsione delle somme dovutegli per le causali suddette ed al risarcimento del danno per la omessa restituzione del libretto di lavoro.

Istauratosi il contraddittorio M.V. contestava quanto dedotto dal ricorrente rilevando che il rapporto di lavoro si era svolto dal 3.12.1979 al 30.6.1996, con regolare liquidazione del T.F.R., e quindi successivamente dall’8.2.1997 al 24.7.1997 e dal 23.2.1998 al 31.7.1999, con regolare corresponsione degli emolumenti dovuti e rilascio di regolare quietanza; che il rapporto era definitivamente cessato per dimissioni del lavoratore; che lo stesso aveva sempre ricevuto la retribuzione di legge e non aveva mai svolto lavoro straordinario; che l’azienda occupava meno di quindici dipendenti e non aderiva ad alcuna associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di categoria; che gli eventuali crediti reclamati erano comunque prescritti.

Con sentenza in data 17.12.2002 il Tribunale adito, previa effettuazione di consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva il ricorso limitatamente alla corresponsione delle differenze retributive e condannava il datore di lavoro alla erogazione della somma di Euro 18.494,74, rigettando nel resto le domande avanzate dal ricorrente.

Avverso tale sentenza proponeva appello il M. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e contestando i conteggi effettuati dal CTU nominato in relazione alle differenze retributive reclamate da controparte.

E proponeva appello altresì il P. lamentando la erronea affermazione circa l’unicità del rapporto lavorativo, l’erronea statuizione circa la legittimità del licenziamento intimatogli, la mancata condanna al risarcimento del danno per la tardiva restituzione del libretto di lavoro, l’erroneità dei conteggi effettuati dal CTU in ordine alle somme dovutegli.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 7.3 – 22.5.2006, rigettava il gravame proposto dal M. e, in parziale accoglimento di quello proposto dal P., condannava il datore di lavoro al pagamento della somma di Euro 29.701,08 a titolo di differenze retributive.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione M. V. con un motivo di impugnazione. Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Diritto

Col predetto ricorso il ricorrente lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva omesso qualsiasi motivazione in ordine alle deduzioni svolte da esso ricorrente con l’appello proposto, avendo accolto la domanda del lavoratore in relazione al pagamento delle differenze retributive omettendo qualsiasi motivazione in ordine alla prova dei presupposti (orario di lavoro, mansioni, durata della prestazione) che avrebbero giustificato le asserite differenze retributive attribuite.

Il ricorso non è fondato.

Ed invero la Corte di merito, nell’affranta re – contrariamente a quanto rilevato dal ricorrente – la questione delle differenze retributive reclamate dal lavoratore (laddove ha ritenuto “destituita di fondamento … l’altra doglianza secondo la quale il consulente non avrebbe tenuto conto, ai fini del percepito e dei giorni lavorati, di quanto dichiarato dal datore di lavoro nella sua comparsa di risposta e risultante dai libri contabili”), ha rilevato che il resistente “non ha provato quanto affermato e cioè di aver provveduto al pagamento del dovuto nel dedotto periodo lavorativo nulla avendo i testi riferito in proposito e potendo le scritture contabili soggette a registrazione, ai sensi dell’art. 2709 c.c., fare prova solo contro l’imprenditore e non certo a favore dello stesso”.

E pertanto, seppure in maniera sintetica ma completa, ha illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza del proprio convincimento e dell’iter motivazionale attraverso cui lo stesso era pervenuto alla reiezione dell’appello proposto sul punto dal M..

Posto invero che il lavoratore ha fornito la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro (circostanza riconosciuta dal datore di lavoro, sia pur con le precisazioni – cui hanno aderito i giudici di merito – circa le intervenute interruzioni), incombeva al datore di lavoro di fornire la prova della effettiva e corretta retribuzione, alla stregua delle previsioni del contratto collettivo di settore, dell’attività lavorativa svolta; e pertanto correttamente la Corte territoriale, con motivazione senz’altro esaustiva, ha rigettato il gravame proposto dal M. rilevando come lo stesso non avesse fornito la prova di quanto dedotto in ordine alla retribuzione corrisposta, ed aggiungendo che le risultanze delle scritture contabili non potevano fare prova a favore dello stesso.

Devesi sul punto evidenziare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell’iter logico – argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. 1^, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1^, 21.8.2006 n. 18214;

Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234; Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. 3^, 15.4.2000 n. 4916).

E sul punto ritiene il Collegio di dover altresì ribadire il consolidato indirizzo giurisprudenziale in base al quale la valutazione delle varie risultanze probatorie involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nell’adottare la propria statuizione, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Cass. sez. lav., 20.3.2008 n. 7600; Cass. sez. lav., 8.3.2007 n. 5286; Cass. sez. lav., 15.4.2004 n. 7201; Cass. sez. lav., 7.8.2003 n. 11933; Cass. sez. lav., 9.4.2001 n. 5231).

In conclusione, il motivo si risolve in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non può trovare accoglimento (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).

Il ricorso va di conseguenza rigettato.

Segue a tale pronuncia la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo. Deve essere autorizzata la distrazione delle spese suddette, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in euro 33,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; autorizza la distrazione delle spese, come sopra liquidate, in favore dell’avv. Fernando Cosimo Scaramozza, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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