Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12563 del 04/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12563 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 30736-2011 proposto da:
BERTI GUALBERTO C.F. BRTGBR64A06C933S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo
studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MACINI
DANIELE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
1333

contro

– I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, (C.F. 01165400589),
in persona del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 04/06/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati ROMEO LUCIANA e
FAVATA EMILIA, che lo rappresentano e difendono giusta
delega in atti;
– POSTE

ITALIANE S.P.A. C.F. 97103BR05A5p in persona

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1547/2010 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 30/12/2010 r.g.n. 316/20084’‹
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/04/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;
udito l’Avvocato FAVATA EMILIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 30.12.2010, la Corte di appello di Firenze, in accoglimento del gravame
proposto della s.p.a. Poste Italiane, ritenuto assorbito quello proposto da Berti Gualberto,
rigettava le domande di quest’ultimo anche nei confronti dell’INAIL, domande intese ad
ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro sul presupposto che il licenziamento era
stato intimato il 6 aprile 2004 senza che il periodo di comporto fosse stato superato, per
sul lavoro. Rilevava la Corte del merito che il 27 marzo 2002 il Berti aveva subito un
infortunio sul lavoro, a seguito del quale era rimasto continuativamente assente dal lavoro
dal 28.3.2002 al 28.12.2002, in tale periodo venendo indennizzato dall’INAIL, che in data
29 dicembre 2002 era ritornato a lavoro rimanendo in servizio fino al 19 gennaio 2003 e
che, dal 20 al 25 gennaio 2003, si era assentato per malattia comune, rientrando in
servizio i giorni 26 – 28 gennaio ed assentandosi nuovamente in maniera continuativa dal
29 gennaio 2003, con trasmissione alla datrice di lavoro di certificati del proprio medico
curante, dai quali emergeva che l’assenza era da collegarsi al pregresso infortunio.
Aggiungeva che la società Poste Italiane aveva imputato tali assenze, in mancanza di un
riconoscimento dell’ulteriore periodo di inabilità temporanea dal 28.12.2002, a malattia
comune e che, peraltro, con nota dell’11.11.2003, l’istituto, su interpello della datrice di
lavoro, aveva comunicato che la richiesta di riconoscimento da parte del lavoratore della
ricaduta connessa al precedente infortunio sul lavoro del 27.3.2002 era stata respinta e
che pertanto le assenze dal lavoro successive al 28.12.2002 non erano ricollegabili al
detto evento lavorativo. Precisava che, dopo la chiusura dell’infortunio, a seguito di
opposizione del Berti al diniego del periodo di ricaduta successivo al 28.12.2002, erano
stati riconosciuti, all’esito di visita collegiale, postumi in misura indennizzabile del 6% e
che, in data 2 dicembre 2003, l’INAIL aveva informato il Berti che il periodo di ricaduta non
poteva essere riconosciuto in quanto non riconducibile all’evento infortunistico già
indennizzato. Tale comunicazione, secondo il giudice del gravame, poteva presumersi
pervenuta a conoscenza dell’appellante, in mancanza di smentite plausibili da parte del
destinatario, sicchè correttamente Poste Italiane avevano intimato, il 6 aprile 2004, il
licenziamento per superamento del periodo di comporto di 365 giorni previsto dal c.c.n.l..
Se corretta doveva ritenersi pertanto l’imputazione a malattia comune dell’assenza dal
lavoro successiva al 28.12.2002, doveva ritenersi la legittimità del licenziamento, non

i

essere le assenze dal lavoro successive al 28.12.2002 conseguenza del subito infortunio

avendo Poste alcun obbligo di informare il dipendente che l’assenza successiva alla
chiusura dell’infortunio da parte dell’INAIL era dalla datrice ricondotta a malattia comune,
di competenza dell’INPS, e discendendo tale qualificazione, all’evidenza, dal mancato
riconoscimento dell’ulteriore periodo di ricaduta da parte dell’istituto assicurativo, in
assenza del potere della società di qualificare autonomamente e diversamente l’assenza
del dipendente. Né l’imputazione soggettiva del Berti, che aveva trasmesso certificati del
dell’assenza. Il ricorrente avrebbe, inoltre, potuto agire giudizialmente avverso il mancato
riconoscimento da parte dell’INAIL del periodo di ricaduta e non avendolo fatto, né avendo
in sede giudiziale richiesto di accertare a mezzo c.t.u. medico legale la riconducibilità
causale delle assenze, doveva subire le conseguenze giuridiche di tale condotta. Non
poteva, poi, neanche ritenersi che Poste avessero violato l’obbligo di buona fede
nell’esecuzione del contratto, non essendo tenuto il datore a comunicare al dipendente
l’approssimarsi della maturazione del periodo di comporto oppure la possibilità di usufruire
del periodo di aspettativa non retribuita prevista dal c.c.n.l. Secondo la Corte di Firenze,
confortavano il convincimento del datore in merito alla conoscenza da parte del lavoratore
del mancato riconoscimento della ricaduta da parte dell’INAIL il fatto che il dipendente, al
rientro dal periodo di infortunio, avesse inizialmente inviato certificati di assenza per
malattia, la circostanza che lo stesso era stato sottoposto ad alcune visite di controllo al
proprio domicilio da parte dei medici incaricati del servizio e la mancata percezione
dell’indennità temporanea erogata dall’INAIL per il periodo successivo al 28.12.2002.
Osservava ulteriormente la Corte territoriale che il preteso mancato ricevimento della
comunicazione INAIL del 2.12.2003, relativa al mancato riconoscimento della ricaduta
successiva al 28.1.2003, al di là della sua scarsa plausibilità, non legittimava in ogni caso
l’assicurato a considerare l’assenza come dovuta ad infortunio senza che la ricaduta
venisse accertata dall’istituto e che il fatto che l’INAIL aveva, dopo visita collegiale,
riconosciuti postumi del 6% doveva indurre, semmai, l’assicurato a ritenere che i disturbi
all’occhio sinistro non erano che i postumi ormai stabilizzati dell’infortunio chiuso il
28.12.2002 e non già un prolungamento del periodo di invalidità temporanea. Né alcuna
responsabilità era rawisabile in capo all’INAIL, il cui comportamento era stato del tutto
regolare.

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medico curante, poteva avere – secondo il giudice del gravame – alcun valore qualificatorio

Per la cassazione di tale decisione ricorre il Berti, affidando l’impugnazione a quattro
motivi, cui resiste, con controricorso, la società. L’INAIL è rimato intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il Berti denunzia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione
su punti della controversia decisivi ai fini del giudizio, rilevando come la Corte abbia in
dall’INAIL e sostenendo l’illogicità della motivazione secondo la quale esso lavoratore non
aveva dato smentite plausibili della circostanza. Assume di avere sempre negato di avere
ricevuto il documento sin dal primo grado, a prescindere dai rilievi sulla compilazione della
lettera e sulle date in essa riportate, incongruenti con la ricostruzione del fatto.
Con il secondo motivo, lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
punti controversi e decisivi ai fini del giudizio, assumendo che la Corte del merito non ha
tenuto conto dei rilievi e dubbi avanzati sull’autenticità del documento INAIL.
Con il terzo motivo, si duole della violazione dell’art. 48 del c.c.n.l. Poste 2001 e degli artt.
52 e 53 del d.P.R. 1124/65, nonché dell’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, ritenendo sufficiente l’invio dì certificazione medica attestante la ricaduta a
causa di infortunio precedente, alla stregua di quanto disposto dagli artt. 52 e 53 del
d.P.R. 1124/65, che prevedono solo l’obbligo di comunicare al datore lo stato di salute a
mezzo certificazione medica, ed argomentando che la possibilità dell’INAIL di negare la
prosecuzione avviene su richiesta specifica del datore di lavoro, sicchè, sino all’avvenuto
accertamento da parte dell’istituto, non è ipotizzabile considerare diversamente l’assenza.
Rileva che il fatto che il Berti, dopo l’iniziale rientro dall’infortunio, avesse inizialmente
inviato certificati medici per malattia comune dimostrava unicamente che in prima battuta
lo stato morboso era stato erroneamente riferito dal medico ad eventi diversi dall’infortunio
e non elideva la valutazione successiva del referente sanitario e che anche le visite
sanitarie erano legate alla specifica certificazione inizialmente inviata, così come
irrilevante era da considerarsi il mancato pagamento dell’indennità INAIL, non essendo
rinvenibile nelle buste paga alcuna indicazione in merito alle modalità di corresponsione
della retribuzione nei periodi di assenza. Ugualmente non significativa è, secondo il
ricorrente, la chiusura dell’infortunio con il riconoscimento di una maggiore percentuale di

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modo non condivisibile ritenuto presunto il ricevimento della lettera del 2.12.2003 prodotta

invalidità, in quanto il fatto non esclude una ricaduta, poichè la maggiore percentuale
confermerebbe, semmai, la evidente gravità dell’infortunio.
Con il quarto motivo, ascrive alla sentenza impugnata vizio motivazionale connesso alla
mancata considerazione del’omissione di ogni comunicazione ad esso ricorrente, che si
trovava in una situazione del tutto particolare, della determinazione dell’INAIL, pervenuta,

Il ricorso è infondato.
Con riguardo al primo motivo, deve rilevarsi che la dedotta illogicità della ricostruzione
fattuale operata dalla Corte di Firenze, con riferimento in particolare alla affermazione di
quest’ultima della inesistenza di ogni giustificazione plausibile, da parte del lavoratore, in
ordine al mancato ricevimento della comunicazione di reiezione della istanza di
riconoscimento dell’ulteriore periodo di ricaduta nella malattia connessa all’originario
infortunio sul lavoro, è priva di idoneo fondamento giuridico, ove si osservi che le
argomentazioni addotte per escludere che il prolungamento dell’assenza fosse
riconducibile all’ infortunio sono molteplici e non tutte oggetto di censura in questa sede.
Al riguardo deve essere richiamato il principio reiteratamente espresso da questa Corte in
forza del quale il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata
venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la
rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso
convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un
preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali
aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di
prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai
possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della
disposizione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ.; risolvendosi, in caso
contrario, questo motivo di ricorso, in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle
finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 20 aprile 2006 n. 9233, Cass. 2 febbraio 2007
n. 2272, Cass. 6 luglio 2007 n. 15264).

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su richiesta dello stesso datore, solo a quest’ultimo.

Peraltro, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, per essere motivata congruamente,
priva di salti logici e per essere rispettosa dei principi enunciati da Cass., sez. un., 8
agosto 2011 n. 17076, Cass.9803/2012 e Cass. 9153/2012, si sottrae a tutte le censure
che contro di essa sono state mosse, osservandosi che il convincimento in ordine alla
consapevolezza da parte del lavoratore della qualificazione dell’assenza — non
riconducibile al pregresso infortunio — era stato desunto anche da ulteriori significative
comune, la sottoposizione del Berti a visite di controllo al proprio domicilio da parte dei
medici incaricati del servizio, la mancata percezione dell’indennità temporanea erogata
dall’INAIL e la constatazione che il periodo di assenza era pertanto in carico all’INPS.
La censura volta a ribadire la omessa considerazione dei rilievi attinenti alla autenticità del
documento INAIL risulta poi genericamente formulata, senza precisare il carattere decisivo
attribuibile a specifici elementi e circostanze idonee ad inficiarne il valore probatorio e
senza che la comunicazione risulti depositata, pur attenendo la doglianza
all’interpretazione del suo contenuto.
Al riguardo deve osservarsi che, in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente,
di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti
processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è
soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli
atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del
fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel
fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo
presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e
restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ.,
ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art.
366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli
stessi. (cfr. Cass., s. u. 3.11.2011 n. 22726).
Nella specie il documento non risulta depositato, né se ne indica la sede di produzione
nelle fasi del merito.

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circostanze, quali l’invio, da parte del predetto, di certificati di assenza per malattia

Inoltre, la censura, per come formulata in funzione dell’asserita erroneità della valutazione
del materiale probatorio, mira nella sostanza a sollecitare una rivisitazione del merito, non
consentita nella presente sede di legittimità, posto che il ricorso per cassazione, con il
quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art.
360, n. 5, cod. proc. civ., deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 n.4 cod.
proc. civ., che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il
basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità,
consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso
comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta
incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che
risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti
operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il
prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici
dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità dì
valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter” formativo di tale convincimento
rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso
per cassazione ex art. 360 n.5 cod. proc. civ. in un’inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del
merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso
l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli
elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l’una né l’altra gli sono richieste,
mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti
da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze
istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali
termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 120520).
Nella specie non risulta che la doglianza abbia evidenziato i profili di omissione,
insufficienza o contraddittorietà della motivazione nei termini consentiti nella presente
sede, indicati dalla pronunzia di legittimità richiamata, avendo il giudice del gravame
valutato, come già detto, un coacervo di elementi indicativi della consapevolezza, da parte

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difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si

del ricorrente, della esatta qualificazione della propria assenza nel periodo in
contestazione.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo al terzo motivo, nel quale il
Berti pone richiamo a circostanze che, a dire dello stesso, indurrebbero a conclusioni
opposte a quelle cui è pervenuto il giudice del gravame, senza considerare che alla
deduzione della violazione dell’art. 48 c.c.n.l. del 2001 doveva fare seguito il deposito del

Infine, priva di rilievo giuridico è la censura con la quale nella sostanza si contesta
l’omessa valutazione, da parte della Corte d’appello di Firenze, di circostanze, quali la
mancata comunicazione al ricorrente, da parte del datore di lavoro, della determinazione
dell’INAIL in ordine al mancato riconoscimento della riconducibilità dell’assenza per
malattia all’infortunio del 2002, posto che al riguardo la Corte territoriale ha argomentato in
modo esaustivo in ordine ai doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del
contratto incombenti sullo stesso datore di lavoro. Sullo stesso, non grava alcun onere di
comunicazione nei sensi indicati, non potendo questo desumersi dagli artt. 52 e 53 T.U.
1124/65— che attengono alla comunicazione iniziale dell’infortunio da parte dell’assicurato
al datore di lavoro ed alla denunzia da parte di quest’ultimo all’INAIL – né l’obbligo di
avvertire il lavoratore dell’imminenza della scadenza del periodo di comporto, ovvero di
sollecitare lo stesso a fruire del periodo di aspettativa consentito dalla normativa
contrattuale collettiva applicabile. Ed invero, il lavoratore il quale, dopo un periodo di
inabilità temporanea assoluta conseguente ad infortunio, abbia acquisito la
consapevolezza che l’Inail considera cessato lo stato di inabilità, per essergli stata
sospesa l’erogazione della relativa indennità, e tuttavia dopo la cessazione dello stato
patologico dovuto ad infortunio, continui ad assentarsi dal lavoro, per la sopravvenienza di
una malattia comune, sino a superare in relazione a quest’ultima il periodo di comporto,
ove venga licenziato per il detto superamento, non può invocare per opporsi al
licenziamento la violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo contrattuale di
correttezza e buona fede in relazione alla circostanza che questi reso edotto del
mutamento del titolo di assenza per comunicazione ricevutane dall’Inali non abbia
formulato un preventivo invito a riprendere la prestazione lavorativa pena il recesso, non
potendo il lavoratore pretendere di utilizzare a proprio vantaggio la mancata informazione

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testo integrale del contratto invocato, che non risulta, invece, effettuato.

del datore sulle reali cause dell’assenza, in una situazione di acquisita consapevolezza
della mancanza di un titolo per astenersi dal lavoro che potesse impedire la maturazione
del periodo di comporto (Cfr. Cass. 15.9.1997 n. 9175)
Sotto altro versante, deve osservarsi che nel rapporto di lavoro, poichè i principi di
correttezza e buone fede rilevano come norme di relazione con funzione di fonti integrative
del contratto (art. 1374 cod. civ.), ove ineriscano a comportamenti dovuti in relazione ad
autonomia privata, in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, il
datore di lavoro non ha l’onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente
scadenza del periodo di comporto per malattia al fine di permettere al lavoratore di
esercitare eventualmente la facoltà di chiedere tempestivamente un periodo di aspettativa,
come previsto dal contratto collettivo stesso (cfr., tra le tante, Cass. 10.4.1996 n. 3351,
Cass. 21.5.1998 n. 5091, Cass. 7.7.1999 n. 7082, Cass. 29.3.2000 n. 3840).
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto e le spese del presente giudizio
sostenute dalla società, per il principio della soccombenza, cedono a carico del Berti nella
misura indicata in dispositivo, mentre nei confronti dell’INAIL possono ragionevolmente
essere compensate, posto che nessuno dei motivi di impugnazione del Berti giustificava
una specifica attività difensiva da parte del predetto Istituto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, in favore della società, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3500,00 pr
compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Compensa le spese nei confronti dell’INAIL.
Così deciso in ROMA, il 14.4.2014

,obblighi di prestazione imposti al datore di lavoro dal contratto collettivo o da altro atto di

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