Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12561 del 17/06/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12561 Anno 2015
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: PERRINO ANGELINA MARIA

SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 13038 del ruolo generale
dell’anno 2010, proposto
da
Forca ti Rosario, rappresentato e difeso, giusta procura
speciale in calce al ricorso, dagli avvocati Alberto Borsieri e
Massimo Manfredonia, elettivamente domiciliato presso lo
studio del secondo, in Roma, al Lungotevere Michelangelo,
n. 9;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avvocatura dello Stato, presso gli
uffici delta quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n, 12,
domicilia;
-controricorrenteRG n. 13038/2010
Angelina-

. a. Penino estensore

Data pubblicazione: 17/06/2015

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per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale
della Lombardia, sezione 36, depositata in data 11 novembre 2009, n.
‘ 123/36/09;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 4
maggio 2015 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale
Umberto De Augustinis, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
Fatto.
Rosario Forcati ha ricevuto notificazione di una cartella di
pagamento concernente l’iva relativa agli anni 1998 e 2000, scaturente da
due avvisi di accertamento, divenuti definitivi, e l’ha impugnata
eccependo l’inutile decorso del termine di decadenza quinquennale e
facendo leva sulla pendenza di un giudizio avverso un avviso di
accertamento fondato sui medesimi elementi, ma concernente l’anno
1999.
La Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso e quella
regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva, per un verso
sulla definitività degli avvisi e sull’insussistenza di vizi propri della
cartella impugnata, notificata entro il termine prescritto dall’art. 25 del
d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 e, per altro verso, sulla mancanza di
pregiudizialità del giudizio pendente concernente l’anno 1999, non
soltanto in considerazione delle ‘diverse annualità, ma anche del
differente oggetto, riguardando, il giudizio del 1999, non già una cartella
di pagamento, ma un avviso di accertamento.
Avverso questa sentenza propone ricorso il contribuente per
ottenerne la cassazione, che affida a dieci motivi, illustrati con memoria
ex art. 378 c.p.c., cui l’Agenzia reagisce Con controricorso.
Diritto.
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Angelin

errino estensore

udito per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Paola Zerman;

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1.-1 primi quattro motivi di ricorso vanno esaminati
congiuntamente, in quanto sono frammentazioni di un’unica censura,
volta ad affermare, nell’odierno giudizio concernente la cartella di
pagamento, la rilevanza del rinvenimento di un documento, ritenuto
decisivo, successivamente alla scadenza del termine per impugnare i

indotto il contribuente a proporre l’impugnazione, sotto i profili:
-della nullità della sentenza, là dove il giudice d’appello non ha
esaminato il capo d’appello fondato sulla sopravvenienza del documento
-primo motivo;
-dell’omessa motivazione in ordine agli effetti di tale
sopravvenienza -secondo motivo;
-della violazione dell’articolo 19 del d.leg. 31 dicembre 1992, n.
546, reputando che l’impugnazione della cartella non possa essere
limitata ai vizi propri di essa, qualora la prova decisiva intervenga dopo
la scadenza del termine d’impugnazione del prodromico avviso di
accertamento -terzo motivo;
-dell’incostituzionalità dell’articolo 19, qualora si aderisca
all’interpretazione contrastata col motivo precedente -quarto motivo.
1.1.- La censura così proposta è infondata ed irrilevante è il dubbio
di legittimità costituzionale prospettato.
In tesi, il rinvenimento di un documento decisivo dopo la scadenza
del termine d’impugnazione dell’avviso di accertamento può
rappresentare evento suscettibile di essere valutato dal giudice ai fini di
disporre la rimessione in termini del soggetto interessato, che sia incorso
nella decadenza dal diritto d’impugnazione, ai sensi dell’art. 184 bis cod.
proc. civ. (vigente nella fattispecie ratione temporis, poi abrogato
dall’art. 46 della 1. 18 giugno 2009, n. 69 e sostituito dalla generale
previsione di cui all’art. 153, comma 2, codice cit.): tale norma, infatti,
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AngeIina-fr1ar1rrino estensore

prodromici avvisi di accertamento, che, se rinvenuto prima, avrebbe

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letta alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive
e del giusto processo, trova applicazione non solo nel caso di decadenza
dai poteri processuali interni al giudizio, ma anche a situazioni esterne al
suo svolgimento, quale la decadenza dal diritto di impugnazione (cfr.
Cass. nn. 14627, 17704 e 22245 del 2010,98 del 2011, che prendono le

in senso lato, comprensivo, quindi, anche del diritto alla proposizione del
ricorso avverso atti tributari.
L’istituto della rimessione in termini, tuttavia, non può che
operare in relazione allo specifico atto riguardo al quale si è verificata
la decadenza, e quindi solo in sede di impugnazione – sia pur tardivadell’atto stesso, mentre non può essere invocato in sede di giudizio
relativo ad un atto successivo autonomamente impugnabile.
In sostanza, il ricon-ente avrebbe dovuto comunque impugnare
gli avvisi di accertamento e chiedere in quella sede al giudice
l’inoperatività della decadenza ai sensi del citato alt

184-bis c.p.c.,

anziché restare inerte ed impugnare la cartella di pagamento, quando
ormai gli atti prodromici erano irrimediabilmente divenuti definitivi
(espressamente in termini, in relazione a fattispecie similare, Cass. 2
marzo 2012, n. 3277; rispondono al medesimo principio 17 aprile 2013,
n. 9279 e ord. 15 aprile 2014, n_ 8715).
L’istituto della rimessione in termini, dunque, consente di
escludere la sussistenza della lacuna di tutela lamentata da Forcati e, per
conseguenza, la prospettata violazione dell’effettività sostanziale del
diritto di difesa, sotto il profilo dell’art. 24 della Costituzione.
Il principio, d’altronde, è immanente al sistema e trova riscontro,
sul fronte del processo tributario, nell’affermazione, di recente ribadita
dalla corte (vedi Cass. 15 ottobre 2013, n. 23323), secondo cui, a fronte
della nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione di
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mosse da sez.un., 14 gennaio 2008, n. 627); diritto, questo, da intendere

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udienza, la parte costituita, oltre all’impugnazione della sentenza nei
termini ordinari, ha a propria disposizione lo strumento
dell’impugnazione tardiva, qualora dimostri di non aver avuto
conoscenza della pronuncia; non può, invece, dedurre la nullità nei
giudizi di impugnazione degli ulteriori atti consequenziali emanati

febbraio 2008, n. 5454).
2.- L’intervenuta definitività degli avvisi di accertamento comporta
l’infondatezza altresì dell’ottavo, del nono e del decimo motivo di
ricorso, da esaminare congiuntamente e con priorità logica rispetto ai
restanti, con i quali il ricorrente si duole:
-dell’insufficiente motivazione in ordine al rigetto del motivo
inerente alla rilevabilità d’ufficio dell’intervenuta decadenza dal potere
impositivo -ottavo motivo;
-dell’inapplicabilità dell’art. 2969 cod.civ. alla pretesa tributaria,
con la conseguenza che, intervenuta la decadenza, non poteva avvenire
l’iscrizione a ruolo -nono motivo;
– in via subordinata, dell’incostituzionalità dell’art. 43 del d.p.r. 29
settembre 1973, n. 600 o dell’alt 2969 cod.civ., nella parte in cui non
prevedono la rilevabilità d’ufficio della decadenza dalla pretesa erariale,
per contrasto con gli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione nonché del
principio di certezza del diritto, dell’affidamento e della ragionevolezza decimò motivo.

Basti al riguardo richiamare il principio affermato dalle sezioni
unite (Cass., sez.un., 5 ottobre 2004, n. 19854), secondo il quale la
decadenza dal potere di accertamento non produce l’inesistenza degli atti
successivamente emanati, per cui anche in tal caso il contribuente ha
l’onere di dedurre la decadenza come specifico vizio nel ricorso
introduttivo dinanzi alle commissioni tributarie, escludendosi un potere
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dall’erario sulla base della sentenza ormai passata in giudicato (Cass. 29

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di declaratoria ex officio del giudice (in termini, da ultimo, Cass. 20
dicembre 2013, n. 28530). In particolare, il contribuente ha l’onere di
proporre l’avvenuta decadenza dell’amministrazione dal potere di
accertamento come motivo di impugnazione dell’avviso emanato fuori
termine; con la conseguenza che, in mancanza d’impugnazione, si

proposizione della questione di decadenza.
Il dubbio di legittimità costituzionale è poi manifestamente
infondato: il termine di decadenza stabilito a carico dell’ufficio tributario
ed in favore del contribuente, per l’esercizio del potere impositivo non
appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale
decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione
di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere
esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese
del fisco, sicché è riservata alla valutazione del contribuente stesso la
scelta di avvalersi o no della relativa eccezione, che ha natura di
eccezione in senso proprio e non è, quindi, rilevabile d’ufficio, né
proponibile per la prima volta in grado d’appello (Cass., ord. 9 gennaio
2015, n. 171; conforme, fra varie, ord. 1154/2012). Il che differenzia
questa decadenza da quella prevista in favore dell’amministrazione, la
quale, attenendo a situazione non disponibile, può essere rilevata
d’ufficio, purché emerga dagli elementi comunque acquisiti agli atti del
giudizio (Cass. 8 marzo 2013, n. 5862).
3.- Infine, è infondata la censura frammentata nei motivi dal
quinto al settimo, con i quali Forcati lamenta:
-l’insufficiente motivazione in ordine al rigetto della richiesta di
sospensione del giudizio inerente alla cartella per l’applicazione del
principio di giudicato esterno, conseguente alla definizione del giudizio

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produrrà l’irretrattabilità dell’avviso, con la conseguente preclusione della

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pendente avverso l’avviso di accertamento concernente l’anno d’imposta
1999 -quinto motivo;
-la conseguente violazione dell’art. 2909 cod.civ. e dell’art. 295
c.p.c. -sesto motivo;
-in subordine, l’incostituzionalità dell’art. 2909 cod.civ. e dell’art.
39 del d.leg. 31 dicembre 1992, n. 546, là dove non prevedono che una

tributaria faccia stato anche per le annualità gli avvisi relativi alle quali
non siano stati impugnati e che le conseguenti cartelle ed i relativi
giudizi debbano essere sospesi in attesa della sentenza che definisca il
giudizio relativo ai suddetti presupposti fattuali, per contrasto con gli
articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione – settimo motivo.
3.1.-Inconferenti sono la questione concernente la violazione
dell’art. 2909 cod.civ. ed il relativo dubbio d’incostituzionalità, giacché,
come espressamente riferisce il contribuente, nessun giudicato si era
prodotto allorquando si è pronunciato il giudice d’appello con la sentenza
impugnata.
3.2.-Infondata è, inoltre, la dedotta violazione dell’art. 295
cod.civ.; il che assorbe i profili di vizio della motivazione e di
prospettata illegittimità costituzionale.
Ciò in quanto non incombeva sulla Commissione tributaria
regionale alcun obbligo di sospensione, perché nessun rischio di
contrasto di giudicati si prospettava.
L’eventuale accertamento definitivo sulla qualità di dipendente e
non di procacciatore di affari di Forcati in relazione ad un anno
d’imposta non avrebbe difatti potuto dispiegare alcun effetto su altre
annual ità.
La corte ha da ultimo (Cass. 1] marzo 2015, n. 4832) lucidamente
chiarito che, in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato
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Angelina-Ma

sentenza la quale accerti l’erroneità dei presupposti di fatto di una pretesa

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t “e

esterno formatosi, con riguardo ai medesimo tributo, in relazione ad un
diverso periodo d’imposta è limitato ai soli casi concernenti fatti aventi,
per legge, efficacia permanente o pluriennale, di guisa che, al di fuori di
dette ipotesi e, in particolare, per quelle fattispecie, che qualificazioni
giuridiche, le quali ben possono variare di anno in anno, l’efficacia

sull’applicazione e sull’interpretazione di una norma in relazione ad una
fattispecie specifica accertata dal giudice, e non già sull’affermazione di
un principio astratto, di guisa che l’effetto vincolante, quanto alle
imposte periodiche, concerne i soli fatti, i quali producano, per
previsione legislativa, effetti per un arco di tempo comprensivo di più
periodi d’imposta.
Per conseguenza, le fattispecie tendenzialmente permanenti, come
quelle che coinvolgono le qualificazioni giuridiche (nel caso, in esame,
la qualificazione di lavoratore dipendente, anziché quella di
procacciatore d’affari), proprio perché lo sono soltanto tendenzialmente
possono variare di anno in anno, con la conseguenza che per ciascun
anno ne va accertata la persistenza, senza possibilità d’invocare il
giudicato eventualmente formatosi per un periodo diverso.
4.- Ne deriva il rigetto del ricorso.

DEPOSITATO IN CANCELLEVA
….

Le spese seguono la soccombenza.
per questi motivi
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il contribuente a pagare le spese, liquidate in
euro 7.290,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 4 maggio 2015.

espansiva del giudicato deve essere esclusa. Il giudicato si forma difatti

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