Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12561 del 04/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12561 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 22941-2010 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. 8018440587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia, in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.
12;
– ricorrente –

2014

contro

1115

DI

6
k

RIENZO

MASSIMO

C.F.

DRNMSM50R19F839P,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 30,
presso lo studio dell’avvocato COLABIANCHI ALBERTO,

Data pubblicazione: 04/06/2014

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANGIACOMO
FABIO, BUZZELLI TULLIO, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 483/2009 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 24/09/2009 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/03/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato GIANGIACOMO FABIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

1232/2008;

R.G. 22941/2010
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

kg

Con sentenza n. 354 del 2007 il Giudice del lavoro del Tribunale di Vasto,
in accoglimento della domanda proposta da Massimo Di Rienzo nei confronti

retribuzione corrispondente a quella spettante al dirigente di seconda fascia,
superiore a quella all’epoca in atto, posizione economica C3, e condannava il
Ministero al pagamento delle differenze retributive per il periodo dal 1-1-2000
al 31-7-2005 nella misura lorda indicata oltre rivalutazione e interessi dalla
sentenza.
Il Ministero proponeva appello chiedendone la riforma con il rigetto della
domanda.
Il Di Rienzo si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello
incidentale.
La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza depositata il 24-9-2009, in
parziale accoglimento dell’appello principale escludeva dalla condanna il
pagamento della rivalutazione del credito ed, in accoglimento dell’appello
incidentale, modificava la decorrenza della maturazione degli interessi,
anticipandola alla data di insorgenza delle singole voci di credito. Condannava
infine il Ministero al pagamento delle spese.
In sintesi la Corte territoriale, premesso che nel periodo indicato il Di
Rienzo (dato pacifico) aveva diretto prima il carcere di Rebibbia e poi quello di
Vasto, rilevava che non era contestato che all’epoca il carcere di Rebibbia già
aveva un organico che prevedeva la classificazione del direttore come dirigente

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del Ministero della Giustizia, riconosceva il diritto del Di Rienzo ad una

di seconda fascia e respingeva le obiezioni avanzate dall’Avvocatura dello
Stato al riguardo.

Ig

Parimenti, sul quantum, la Corte di merito respingeva le contestazioni del
Ministero ritenendo legittimo e congruo il parametro del trattamento spettante

invocato dall’Amministrazione, comprendendo anche le indennità di posizione
e di risultato “liquidate con criterio prudente ed equo”.
La sentenza di primo grado veniva pertanto confermata ad eccezione di
quanto concerneva gli accessori, giacché la Corte territoriale accoglieva
l’appello principale in relazione alla illegittimità del cumulo di rivalutazione e
interessi legali, escluso dall’art. 22, comma 36, della legge 724 del 1994.
Infine la Corte accoglieva anche l’appello incidentale, sulla decorrenza
degli interessi anticipando la stessa alla maturazione dei singoli crediti.
Per la cassazione di tale sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto
ricorso con tre motivi.
Il Di Rienzo ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 17, 21 e 52 d.lgs.
n. 165/2001, della previsione di cui all’allegato a) del ceni Comparto Ministeri
16-2-1999 relativa alle specifiche professionali dell’area C, posizione
economica C3, e dell’art. 4 della legge 154 del 27-7-2005, il Ministero
ricorrente deduce che nel caso di specie il Di Rienzo “non è stato chiamato a
sostituire un dirigente assente” ed “ha semplicemente continuato a svolgere i
compiti di sempre, con la unica differenza, di carattere solo formale, che

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ai dirigenti ministeriali, piuttosto che quello dei dirigenti della Polizia di Stato

l’ufficio cui era preposto è stato qualificato dalla stessa amministrazione come

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di natura dirigenziale”.
In sostanza il ricorrente rileva che “la circostanza che, per legge (n.
154/2005), i direttori C3 delle carceri abbiano visto la loro qualifica di

dell’approvazione della legge — essi direttori abbiano svolto mansioni
dirigenziali in senso proprio da remunerare con le spettanze contrattualmente
previste per i dirigenti di seconda fascia”, “sol perché, in forza di decreti
ministeriali (d.m. 28-11-2000 e d.m. 23-10-2001) a numerosi istituti
penitenziari — compresi quelli per cui è causa, è stata attribuita la qualifica di
uffici di dirigenza non generale”.
Il motivo è infondato e va respinto.
Posto che nella fattispecie si discute soltanto del mero diritto alle
differenze economiche rivendicate nel periodo de quo (e non dell’attribuzione
della qualifica dirigenziale, peraltro acquisita dal Di Rienzo successivamente
ex lege n. n. 154 del 2005) va premesso che, come più volte affermato da
questa Corte, “nel pubblico impiego contrattualizzato, il divieto di
corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori,
stabilito dal sesto comma dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato
dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall’art. 15 del d.lgs. n.
387 del 1998, la cui portata retroattiva risulta conforme alla giurisprudenza
della Corte costituzionale che ha ritenuto l’applicabilità, anche nel pubblico
impiego, dell’art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a
una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato,
nonché alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere, con la
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appartenenza divenire dirigenziale non significa affatto che — prima

menzionata disposizione correttiva, una norma in contrasto con i principi
costituzionali.” (v. Cass. 23-2-2010 n. 4382, Cass. 17-4-2007 n. 9130, cfr.
Cass. 6-6-2011 n. 12193, ). La norma costituzionale, infatti, come è stato
chiarito, “deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di

superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo,
nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati
esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori
mansioni” (v. Cass. S.U. 11-12-2007 n. 25837, Cass. 17-9-2008 n. 23741).
Del resto, come pure è stato precisato, “in materia di pubblico impiego
contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni
superiori, da riconoscersi nella misura indicata nell’art. 52, quinto comma del
d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di
legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti
collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale
introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione
sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al
lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in
ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione.” (v. Cass. 18-6-2010
n. 14775, Cass. 7-8-2013 n. 18808).
In tale quadro più volte questa Corte, in casi analoghi ha accolto la tesi dei
dipendenti (v. Cass. 12-10-2011 n. 20978, Cass. 27-10-2011 n. 22438) e
disatteso quella del Ministero (Cass. 5-3-2013 n. 5401, Cass. 15-11-2012 n.
20028).

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alcun genere – pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni

In particolare questa Corte ha rilevato che l’argomento del Ministero,
fondato sulla circostanza che il dipendente ha continuato a svolgere le stesse

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mansioni con le stesse caratteristiche e responsabilità, in effetti “è ribaltabile”
giacché proprio il fatto che l’istituto penitenziario (nella specie di Rebibbia e

dimostra che il prosieguo di quelle stesse mansioni già non era più consono alle
attribuzioni di un funzionario di area C. Diversamente opinando si perverrebbe
all’assurda conclusione che il superiore trattamento retributivo sarebbe
spettato soltanto ad altro funzionario di area C che, trasferito da altro istituto,
fosse stato destinato, nello stesso periodo, a dirigere la stessa casa circondariale
al suo posto, e non anche al dipendente per cui è causa, sol perché quest’ultimo
è rimasto al proprio posto” (v. Cass. n. 20028/2012 cit.).
La spettanza delle differenze retributive corrispondenti alle effettive
mansioni superiori svolte, non può che prescindere dalla mera provenienza
dell’ufficio del funzionario. Né rileva la circostanza che il dipendente abbia
continuato a svolgere le stesse mansioni, giacché la domanda trae origine
proprio dalla avvenuta individuazione dell’istituto penitenziario quale ufficio di
livello dirigenziale, che ha comportato che anche le mansioni svolte
diventassero di livello dirigenziale (v. Cass. n. 5401/2013 cit.).
Con il secondo motivo il Ministero ricorrente, denunciando violazione
dell’art. 40 della legge n. 395/1990, lamenta che la Corte di merito ha ignorato
“che sino al 17-11-2004 al personale dirigenziale penitenziario è stato attribuito
il trattamento giuridico ed economico delle corrispondenti qualifiche della
Polizia di Stato” e che solo con la legge 154 del 2005 “vi è stata
l’uniformazione della carriera tra i dirigenti penitenziari e quelli del comparto
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poi di Vasto) risultava già classificato come ufficio di livello dirigenziale

ministeri con la previsione di una necessaria eguaglianza di trattamento
economico e giuridico”.
Anche tale motivo non merita accoglimento.
Al riguardo va ricordato che, nella materia de qua, la legge n. 395 del

equiparazione di status giuridico ed economico tra il personale dirigente e
direttivo dell’Amministrazione penitenziaria e il personale dirigente e direttivo
delle corrispondenti qualifiche della Polizia di Stato, regolato dalla legge 121
del 1981. Tale equiparazione è poi venuta meno per effetto dell’art. 41, comma
5, della legge n. 449 del 1997, che ha disposto la cessazione dell’efficacia
dell’art. 40 sopra citato a partire “dalla entrata in vigore del primo rinnovo
contrattuale” (avvenuto nell’aprile 2001), così sottoponendo lo statuto
giuridico ed economico del personale dirigente e direttivo
dell’Amministrazione penitenziaria all’ordinaria contrattualizzazione prevista
in generale per il pubblico impiego.
Successivamente con la legge n. 154 del 2005 si è inteso operare il
riconoscimento di una specifica carriera di livello dirigenziale, rientrante nella
specialità dei rapporti di lavoro di diritto pubblico e, quindi, sottratta alla
disciplina contrattuale del “Comparto Ministeri” (v. art. 2, comma 2, della detta
legge che ha aggiunto all’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001 il comma 1 ter).
All’art. 4, comma 1, poi, la medesima legge n. 154 del 2005 ha stabilito
che: “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, in fase di prima
attuazione e per le immediate esigenze di funzionamento dell’Amministrazione
penitenziaria, il personale che alla data di entrata in vigore della presente legge
è inquadrato nella posizione economica C3, già appartenente ai profili
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1990, sull’ordinamento della polizia penitenziaria, all’art. 40 aveva operato una

professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore
medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale
dell’Amministrazione penitenziaria, ai quali hanno avuto accesso mediante
concorso pubblico, nonché gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, sono

ruolo, in considerazione della esperienza professionale maturata nel settore
avendo già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale.”
Infine il decreto legislativo n. 63 del 2006, in attuazione della delega
conferita al Governo dall’art. 1 della citata legge n. 154, ha fissato la disciplina
dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria.
Orbene, in tale quadro, con riguardo al periodo che qui interessa (gennaio
2000/luglio 2005), legittimamente la Corte di merito ha assunto come mero
parametro ai sensi dell’art. 36 Cost. il contratto collettivo del Comparto
Ministeri.
Trattandosi, infatti, non di applicazione diretta, bensì di mera applicazione
parametrica, nel quadro della determinazione della retribuzione spettante ex
art. 36 Cost., non può censurarsi, di per sé, la unicità del parametro adottato per
l’intero periodo in esame (e quindi anche per la minore parte – fino all’aprile
2001 – anteriore alla formale cessazione della equiparazione sopra ricordata).
Del resto, al riguardo, la Corte di merito ha rilevato che “la circostanza
che, in precedenza, venisse erogato, al personale della Amministrazione
Penitenziaria, un trattamento parametrato a quello della Polizia dii Stato, è
irrilevante, per le peculiarità di detto trattamento, e per l’assenza di deduzioni
della amministrazione che consentano di valutare l’entità e le caratteristiche del

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nominati dirigenti secondo la posizione occupata da ciascuno nel rispettivo

trattamento, e l’idoneità dello stesso ad essere assunto come congruo
parametro”.
Orbene, a fronte di tale congrua e puntuale motivazione, il Ministero
ricorrente, in effetti, si limita ad asserire genericamente che “sino al 17-11-

giuridico ed economico delle corrispondenti qualifiche della Polizia di Stato”,
senza spiegare in alcun modo le ragioni e la fonte di tale assunto, del quale,
peraltro, viene lamentata la mancata considerazione da parte dei giudici di
merito, senza che neppure venga fornita alcuna indicazione specifica in ordine
all’avvenuta deduzione davanti ai giudici stessi (v. Cass. 15-2-2003 n. 2331,
Cass. 10-7-2001 n. 9336, Cass. 18-10-2013 n. 23675).
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 24 d.lgs. n. 165/2001, in sostanza lamenta che la Corte di
merito illegittimamente ha ricompreso nella somma liquidata alla controparte
anche la retribuzione di risultato, che viene concessa unicamente in seguito alla
valutazione della prestazione resa e al riscontro del raggiungimento degli
obiettivi specifici assegnati al dirigente (e nel caso di specie non assegnati).
Al riguardo il ricorrente deduce che non tutte le componenti retributive
previste per il dirigente hanno carattere fisso, giacché ex art. 24 d.lgs. n. 165
cit. “il trattamento economico accessorio” è “correlato alle funzioni attribuite e
alle connesse responsabilità”, nonché ai risultati conseguiti.
Anche tale motivo non merita accoglimento.
Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito, “in tema di
lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio
sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel
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2004 al personale dirigenziale penitenziario è stato attribuito il trattamento

trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la
retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l’attribuzione delle
mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni e assunzione delle
responsabilità inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di

adeguatezza sancito dall’art. 36 Cost., la corresponsione dell’intero trattamento
economico, ivi compresi gli emolumenti accessori.” (v. Cass. S.U. 16-2-2011
n. 3814, Cass. 9-6-2011 n. 12545).
Peraltro, nel caso in esame la censura riguarda soltanto la retribuzione di
risultato, la cui liquidazione in base ad un “criterio prudente ed equo” è stata
confermata nella misura minima sulla base dei conteggi effettuati dal c.t.u., non
contestati specificamente “né dalla amministrazione, né dalla difesa erariale”.
Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza
va condannato al pagamento delle spese in favore del Di Rienzo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al Di Rienzo le
spese liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi oltre
accessori di legge.
Roma 27 marzo 2014

fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di

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