Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12560 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 21/05/2010), n.12560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in

persona del Direttore pro tempore rappresentati e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma,

Via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Monserrato, n. 34, nello studio dell’Avv. GUELI Giuseppe, che lo

rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Paolo Guido Beduschi,

giusta procura speciale in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 4/11/2004, depositata in data 10 maggio 2004;

Sentita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza dal

consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito l’Avv. Generale dello Stato, Diego Giordano;

Sentite le richieste del Procuratore generale, in persona del

Sostituto Dott. DE NUNZIO Wladimiro, il quale ha concluso per il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

1.1 – M.G. presentava istanza di rimborso della somma versata a titolo di IRAP relativamente all’anno 1998, eccependo, sotto vari profili, l’illegittimità costituzionale delle relative norme.

1.2 – Avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che lo accoglieva.

1.3 – L’Ufficio interponeva appello; la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la decisione indicata in epigrafe, lo respingeva, confermando la sentenza impugnata e compensando le spese processuali.

Si affermava, in particolare, che non risultava che il contribuente, come già affermato dalla commissione tributaria provinciale, svolgesse la sua attività di ingegnere in forma autonomamente organizzata.

1.4 – Avverso detta decisione hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, il Ministero della Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

L’intimato ha svolto attività difensiva, con controricorso ritualmente depositato.

Diritto

2.1- I ricorrenti, con il primo motivo di ricorso, denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria (senza enunciare alcuna delle specifiche ipotesi enumerate nell’art. 360 c.p.c.), sostenendo che, avendo il contribuente dedotto, con il ricorso introduttivo, la mera illegittimità costituzionale delle disciplina concernente l’IRAP, “tanto la CTP, quanto la CTR, hanno invece accolto il ricorso” sotto il profilo dell’insussistenza dei presupposti impositivi.

Il motivo è inammissibile, in quanto risulta inficiato da una generale inosservanza del principio di autosufficienza.

Se è vero, infatti, che il vizio di ultrapetizione, in quanto incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), integra un error in procedendo, in relazione al quale la Suprema Corte è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni delle parti, è altrettanto vero che, fermo questo potere – dovere di riesame degli atti processuali, la parte ricorrente ha sempre l’onere di indicare tutti gli elementi di fatto atti a individuare la dedotta violazione processuale. Il dovere di riesame del fatto processuale non implica, invero, la ricerca dello stesso, salvo che non si tratti di fatti rilevabili d’ufficio (ed il vizio di ultra petita non può essere rilevato d’ufficio: Cass. nn. 5183/1988, 6152/1996, 11559/2000, 21/2000, 4592/2000; Cass., 1170/2004).

Il richiamo alla natura del vizio di ultrapetizione, con particolare riferimento alla sua non rilevabilità d’ufficio, consente di evidenziare un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo scrutinato. Ben vero, dallo stesso tenore del ricorso emerge che già la decisione di primo grado avrebbe accolto, sotto il profilo del merito, il ricorso del M.; mentre non risulta che tale aspetto sia stato denunciato dall’A.F. in sede di appello (per il vero, nel controricorso si evidenzia il contrario). Deve quindi trovare applicazione il principio secondo cui, qualora la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sì riferisca alla sentenza di primo grado, essa non può essere denunziata per la prima volta in cassazione, essendosi formato il giudicato sulla questione oggetto della pronuncia (Cass., 30 marzo 2004, n. 6334).

2.2 – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, dell’art. 115 c.p.c., nonchè dei principi generali in tema di onere della prova, oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione, sostenendosi che all’esclusione dell’esercizio dell’attività professionale in forma organizzata la Commissione tributaria regionale sarebbe pervenuta in maniera apodittica, senza procedere a un attento vaglio delle risultanze processuali.

Il motivo è infondato, anche alla luce dei principi recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte, che il Collegio condivide ad ai quali intende dare continuità. Si è infatti affermato (Cass., 26 maggio 2009, n. 12108) che, in tema di i.r.a.p., il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

E’ stato altresì precisato che costituisce onere del contribuente, il quale chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.

Nel caso in esame la Commissione tributaria regionale, a fronte di una deduzione dell’amministrazione finanziaria appellante del tutto generica, e fondata – come si legge nella stessa decisione impugnata – su una asserita quanto generale esclusione dall’obbligo di pagamento del tributo soltanto per “i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, commi 2 e 3 (T.U.I.R.) e per i lavoratori autonomi occasionali”, ha osservato che, “pur trattandosi di una persona fisica esercente in modo abituale l’attività di ingegnere, non risulta che l’abbia svolta in forma organizzata tale da poter consentire la determinazione della base imponibile ai fini IRAP con la deduzione del valore della produzione, dei costi per beni e servizi classificabili fra quelli indicati della lett. B del precitato art. 2425 c.c., non essendo stati utilizzati dal ricorrente in ampliamento della sua semplice attività personale”.

Si tratta, a ben vedere, di una valutazione di merito, compiuta all’esito di un accertamento di fatto, e formulata, nel rispetto dei richiamati principi, in termini non dissimili da quanto già affermato dai giudici di primo grado, i quali – come emerge dalla stessa sentenza impugnata – avevano già rilevato (senza, per altro, che il punto risulti censurato con specifica doglianza nell’atto di appello) che “l’attività svolta dal ricorrente veniva esercitata non in forma organizzata, senza cioè il concorso di dipendenti, di collaboratori e di rilevanti attrezzature”.

La decisione impugnata, pertanto, va confermata.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo ai contrasti giurisprudenziali e alle difficoltà di natura ermeneutica che connotano gli aspetti essenziali della la vicenda esaminata, per l’integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, dichiarando interamente compensate fra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

 

 

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