Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12560 del 04/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 12560 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 21983-2009 proposto da:
GIULIANI LUIGI C.F. GLNLGU46T15A084X, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA LEONE IV 38, presso lo
studio dell’avvocato MEDICI CARMINE, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
1113

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. 0636691001, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i
cui Uffici domicilia in ROMA,

alla VIA DEI

Data pubblicazione: 04/06/2014

PORTOGHESI, 12;

controricorrente

avverso la sentenza n. 6517/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/10/2008 R.G.N.
6825/2006;

udienza del 27/03/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MEDICI CARMINE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 21983/2009
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 24-4-2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di
Roma rigettava la domanda proposta da Luigi Giuliani nei confronti della

provvedimento emesso in data 8-7-2003, con il quale la D.R.E. Lazio aveva
disposto nei confronti del Giuliani il mantenimento della sospensione cautelare
dal servizio, con la condanna dell’amministrazione al pagamento, anche a titolo
risarcitorio, delle differenze retributive in relazione al periodo di illegittima
sospensione dal servizio, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non
patrimoniali sofferti dal lavoratore in conseguenza della sospensione.
In particolare la sospensione cautelare dal servizio era stata adottata, con
decreto del 26-6-2002, ai sensi dell’art. 27, comma 1, CCNL del Comparto
Ministeri per essere stato il Giuliani sottoposto a custodia cautelare in carcere
(misura, poi sostituita, in sede di riesame, con l’obbligo della presentazione alla
P.G. e successivamente revocata) e, con nota del 8-7-2003, era stato disposto il
mantenimento della detta sospensione cautelare ai sensi dell’art. 27 comma 3
del citato CCNL, mentre con nota del 17-6-2003 erano stati contestati gli
addebiti per i fatti di cui alla richiesta di rinvio a giudizio del 28-4-2003.
In sostanza il primo giudice rilevava:
che la sospensione cautelare dal servizio non era una fase dell’iter
disciplinare;
che la contestazione degli addebiti era tempestiva avuto riguardo alla
conoscenza del fatto, avvenuta in data 9-6-2003, con la comunicazione della
richiesta di rinvio a giudizio;
1

Agenzia delle Entrate, diretta alla declaratoria della illegittimità del

che il prolungamento della sospensione cautelare era avvenuto in forza di
quanto previsto dall’art. 27 comma 3 del CCNL;
che nelle more del giudizio era poi intervenuta la condanna del ricorrente
alla pena della reclusione con interdizione dai pubblici uffici, sicché restava

Con ricorso depositato il 27-7-2006 il Giuliani proponeva appello avverso
la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.
La Agenzia delle Entrate si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 2-10-2008, in
parziale accoglimento dell’appello ed in correlativa riforma della sentenza
appellata che confermava nel resto, dichiarava non dovute dall’appellante le
spese del giudizio di primo grado. La Corte inoltre compensava le spese del
grado.
In sintesi la Corte territoriale, premesso che la sospensione aveva
chiaramente natura cautelare e non disciplinare, in base ad una interpretazione
“coerente con una lettura sistematica” dell’art. 27 del CCNL, affermava che
“l’uso del termine “prolungamento” sta a significare la continuazione tra la
sospensione obbligatoria prevista dal primo comma e quella facoltativa
prevista dal terzo comma”, di guisa che il mantenimento della sospensione è
consentito anche “quando sia cessata la misura restrittiva della libertà, purché
si tratti, come previsto nel secondo comma, di fatti in connessione con le
funzioni svolte oppure tali da comportare la sanzione del licenziamento”, per
cui per il detto mantenimento non è richiesto il provvedimento di rinvio a
giudizio.

2

preclusa in ogni caso la reintegrazione in servizio del lavoratore.

La Corte affermava, poi, che i rilievi svolti valevano “a far ritenere
superato l’esame, richiesto ai fini della sola valutazione della legittimità della
sospensione, della tempestività dell’avvio del procedimento disciplinare”.
Infine la Corte di merito rilevava la erroneità della statuizione di condanna

propri dipendenti, ed in tal senso accoglieva il relativo motivo di gravame.
Per la cassazione di tale sentenza il Giuliani ha proposto ricorso con due
motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 112 e 342 comma
1 c.p.c., ex art. 360 comma primo n. 4 c.p.c., il ricorrente deduce che la Corte
di merito avrebbe omesso di pronunciarsi sul primo motivo di appello e,
conseguentemente sul secondo e sul terzo, “il cui esame è stato ritenuto
superfluo in considerazione dei rilievi svolti con riferimento al quarto motivo,
senza che tra quest’ultimo ed i precedenti potesse ravvisarsi una relazione tale
da consentire assorbiti i primi in conseguenza del rigetto dell’ultimo”.
In particolare il ricorrente, premesso che “quello che il giudice di appello
individua alla stregua del terzo motivo di gravame corrisponde, in realtà, al
quarto motivo”, rileva che “nel caso di specie, il giudice di merito ha
ritenuto…assorbiti i motivi concernenti le censure in ordine alla legittimità del
provvedimento di mantenimento in posizione di sospensione cautelare dal
servizio sotto il profilo della tardiva attivazione del procedimento disciplinare,
sulla base dei rilievi svolti con riferimento alla ritenuta legittimità del
provvedimento siccome disposto in “prolungamento” della sospensione c.d.
3

alle spese, considerato che l’Amministrazione si era costituita a mezzo di

obbligatoria dal servizio disposta in conseguenza dell’adozione, in sede penale,
di misure restrittive della libertà personale pur in carenza del provvedimento di
rinvio a giudizio, senza che quest’ultima questione avesse potuto…giustificare
l’assorbimento dei relativi specifici motivi di appello”, giacché le censure

quelle di cui al quarto motivo di ricorso”, il cui rigetto non era assolutamente
incompatibile con l’eventuale accoglimento dei primi tre motivi.
Osserva il Collegio che il motivo in parte è inammissibile e in parte è
infondato.
Innanzitutto il ricorrente, seppure si soffermi a “riassumere i termini della
questione proposta” con i detti mezzi di gravame, in effetti non riporta nel
ricorso il contenuto dell’atto di appello, neppure nelle parti relative alla
esposizione dei citati motivi, così violando chiaramente il principio di
autosufficienza del ricorso stesso.
La censura, poi, a ben vedere, denuncia una omessa pronuncia, ma, in
sostanza, sembra contestare, in modo del tutto generico, l’assorbimento
affermato dai giudici di merito, senza peraltro lamentare specificamente né una
carenza né un vizio di motivazione al riguardo.
Come più volte è stato affermato da questa Corte, e va qui ribadito, “il
vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di
una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una
pronuncia di accoglimento o di rigetto e va escluso ove ricorrano gli estremi di
una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni” (v. fra le
altre Cass. 8-3-2001 n. 3435, Cass. 11-1-2006 n. 264).

4

relative ai primi tre motivi riguardavano “una diversa causa petendi rispetto a

Orbene nel caso in esame il ricorrente, seppure nella sostanza censuri
anche la correttezza della valutazione di assorbimento, in effetti non lamenta
specificamente una carenza, una insufficienza o una contraddittorietà della

k

motivazione al riguardo (e tanto meno indica un preteso fatto controverso

riferimento al testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. vigente nel presente caso,

ratione temporis, Cass. 5-2-2011 n. 2805), limitandosi a contestare
genericamente la decisione di merito.
Peraltro, al riguardo, non può trascurarsi che i giudici del gravame, hanno
rilevato che “la sospensione cautelare adottata trova specifica causa nel
procedimento penale instaurato nei confronti del dipendente secondo la
disciplina dell’art. 27 ceni Comparto Ministeri” e costituisce “provvedimento
che non ha natura disciplinare, ma cautelare, trattandosi di misura provvisoria
finalizzata ad impedire che, in pendenza di procedimento penale, la
permanenza in servizio del dipendente possa tradursi in un pregiudizio per
l’amministrazione di appartenenza”.
La Corte ha poi interpretato la detta norma collettiva ritenendo non
necessario per il mantenimento della sospensione dal servizio il
provvedimento di rinvio a giudizio ed ha concluso che “i rilievi svolti valgono
a far ritenere superato l’esame, richiesto, ai fini della sola valutazione della
legittimità della sospensione, della tempestività dell’avvio del procedimento
disciplinare.”
Del resto neppure può trascurarsi che l’Amministrazione, come già
evidenziato dal primo giudice (e riferito dalla stessa Corte territoriale, a pag.
3), nella specie ha proceduto alla contestazione allorquando ha avuto la
5

decisivo, in relazione al quale possa configurarsi un tale vizio – cfr. con

conoscenza del fatto, avvenuta con la comunicazione della richiesta di rinvio a
giudizio.
In conclusione, senza dubbio non sussiste il vizio di omessa pronuncia
denunciato e, comunque, la motivazione resiste anche alle generiche censure

Con il secondo motivo, poi, denunciando violazione dell’art. 27, commi 1,
2 e 3 del ceni Comparto Ministeri del 16-5-1995 in relazione all’art. 63,
comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, in sostanza il ricorrente deduce che la
normativa collettiva deve essere interpretata nel senso che il prolungamento
della sospensione dal servizio a seguito della cessazione dello stato di
restrizione della libertà personale, per intervenuta revoca e/o annullamento
delle misure cautelari disposte dal giudice penale, può essere disposto
dall’Amministrazione solo allorquando sia stato disposto il rinvio a giudizio.
Il motivo è infondato.
Questa Corte, con riferimento alla normativa, espressa con identica
formulazione, prevista dall’art. 32 del ceni del Comparto del personale del
Servizio sanitario nazionale del settembre 1995 ha affermato il principio
secondo cui la stessa “si interpreta nel senso che il datore di lavoro, cessato lo
stato di restrizione della libertà personale, possa prolungare anche
successivamente il periodo di sospensione dal servizio del dipendente in
presenza di fatti, oggetto dell’accertamento penale, che siano direttamente
attinenti al rapporto di lavoro o, comunque, tali da comportare, se accertati,
l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento, a prescindere dal
fatto che nei confronti del dipendente sia o meno stato emesso un
provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale. Il riferimento della
6

del ricorrente.

disposizione alle medesime condizioni di cui al secondo comma non si estende,
quale necessario presupposto, al provvedimento di rinvio a giudizio, ma deve
ritenersi circoscritto alle specifiche condizioni attinenti alla natura dei fatti

k0a

addebitati, tali da comportare la sanzione disciplinare del licenziamento, anche

favorevole ai dipendenti nei cui confronti siano contestati fatti criminosi di
maggiore complessità, e per il cui accertamento si rendano necessari tempi più
lunghi, idonei ad incidere sul rinvio a giudizio.” (v. Cass. 14-5-2010 n. 11738,
Cass. 24-6-2008 n. 17152).
Per le medesime ragioni sistematiche e sostanziali, ritiene il Collegio che
anche 1′ art. 27 del ceni Comparto Ministeri debba interpretarsi in tal senso.
Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore della Agenzia
delle Entrate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla Agenzia
delle Entrate le spese, liquidate in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese
prenotate a debito.
Roma 27 marzo 2014

perché, diversamente opinando, si finirebbe per assicurare un trattamento più

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA