Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12558 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2011, (ud. 31/03/2011, dep. 09/06/2011), n.12558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L. o L.R., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIUSEPPE MARCORA 18/20, presso lo studio dell’avvocato UFFICIO

LEGALE PATRONATO A.C.L.I., rappresentato e difeso dall’avvocato

FAGGIANI GUIDO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e PUGLISI LUCIA,

che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale atto notar

CARLO FEDERICO TUCCARI di Roma del 21/07/06 rep. n. 71364;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2004 del TRIBUNALE di MASSA, depositata il

30/06/2005 R.G.N. 177/98 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/03/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Pretore di Massa con la sentenza n. 450 del 10 novembre-12 dicembre 1997, rigettava la domanda proposta da B.L., nei confronti dell’INAIL, volta a sentir dichiarare il diritto della stessa alla rendita permanente di inabilità per malattia professionale (in conseguenza ed a causa della prestazione di attività lavorativa come capo sala e ferrista presso l’Ospedale civile di (OMISSIS)), in misura pari ad una riduzione della capacità lavorativa del 20 per cento, o nella diversa misura che sarebbe stata accertata in causa, con decorrenza come per legge e maggiorata delle prescritte quote integrative, oltre interessi a saldo.

2. Avverso la suddetta sentenza la B. proponeva appello.

3. Il Tribunale di Massa Carrara, con la sentenza n. 3/04 rigettava l’impugnazione.

3. Ricorre la B. nei confronti dell’INAIL per la cassazione della suddetta pronuncia prospettando un motivo di censura.

4. Resiste l’INAIL con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 3 e 134 come novellati dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 179 del 1988, degli artt. 61, 437 e 441 c.p.c.; conseguente omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Espone la B. che il Tribunale ha escluso il proprio diritto alla rendita per malattia professionale senza esaminare il carattere concausale dell’attività lavorativa svolta da essa ricorrente, come affermato nell’accertamento ai fini della causa di servizio.

Ben può esserci, infatti, una vasta area di coincidenza del nesso causale della patologia con l’attività lavorativa sia ai fini dell’equo indennizzo che della malattia professionale.

Nell’assicurazione contro le malattie professionali, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1988, l’indagine tecnica attinente a tale eziologia va condotta anche in relazione a fattori di rischio diversi da quelli considerati dalle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124 del 1965, e propri del tipo di attività lavorativa svolta dall’interessata, senza escludere quelle situazioni di dannosità che, seppure ricorrenti anche per attività non lavorative, costituiscono però un rischio specifico per l’assicurato.

Il Tribunale, aderendo alle conclusioni del primo CTU nominato in appello, non ha seguito tale principio avendo rigettato la domanda senza alcuna considerazione degli aspetti eziologici specifici e concausali, e ritenendo erroneamente che la lavorazione alla quale la ricorrente è stata addetta debba costituire causa unica ed esclusiva della malattia professionale.

La sentenza sarebbe incorsa, altresì, in vizio di motivazione, in quanto avrebbe omesso ogni motivazione in merito alla valutazione ed alle conclusioni indicate nella CTU rinnovata in appello.

2. Il motivo non è fondato.

3. Come affermato da questa Corte, l’istituto della rendita per malattia professionale e quello dell’indennizzo per causa di servizio si fondano su presupposti diversi: l’indennizzo è un beneficio (qualificabile come prestazione speciale di natura non previdenziale) volto a compensare menomazioni fisiche comunque connesse col servizio, prescindendo da qualsiasi giudizio sull’incidenza del danno sofferto dal pubblico dipendente sulla sua capacità di lavoro, limitandosi la normativa in materia a richiedere che quest’ultimo sia rimasto leso nella sua integrità fisica; la rendita di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, richiede che la malattia sia contratta nell’esercizio e a causa della lavorazione svolta, e impone perciò un nesso più stretto tra malattia e attività lavorativa, dovendo quest’ultima, in caso di fattori plurimi, costituire pur sempre la causa sufficiente, ossia la conditio sine qua non, della malattia (Cass., sentenza n. 23674 del 2010).

La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, chiarito che il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione non coincide con il presupposto richiesto per l’attribuzione della rendita per malattia professionale, differenziandosi i due istituti – in particolare – per l’ambito e l’intensità del rapporto causale tra attività lavorativa ed evento protetto, nonchè per il fatto che il riconoscimento in oggetto non consente di per sè alcun apprezzamento in ordine all’eventuale incidenza, sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, di altri fattori di natura extraprofessionale (Cass., sentenza n. 15074 del 2009). Secondo il sistema delineato dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 79-83 sull’incidenza delle concause, e con il costante insegnamento di questa Corte sull’equivalenza causale, nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, principio secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 c.p., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (Cass., sentenza n. 4005 del 2005).

4. Il Tribunale di Massa Carrara ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, che vengono qui ribaditi, con motivazione congrua.

Peraltro, la censura prospettata dalla ricorrente con riguardo al tema delle concause, non coglie la ratio decidendi della sentenza in questione, dal momento che il suddetto Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della rendita.

Ed infatti, il giudice di appello ha premesso la diversità del fondamento giuridico delle due forme di tutela del lavoratore sopra richiamate, nel senso che il riconoscimento dell’equo indennizzo per causa di servizio non esige la sussistenza di tutti i presupposti necessari alla qualificazione di un evento come infortunio sul lavoro o malattia professionale, per cui la sussistenza delle condizioni per ottenere la tutela garantita dall’equo indennizzo non determinano in automatico il diritto alla rendita permanente per malattia professionale.

Il Tribunale, quindi, tenuto conto di tutte le indagini tecniche svolte nel giudizio impugnatorio, ha ritenuto di escludere la configurabilità dei presupposti concreti per l’applicabilità della normativa invocata dalla B., considerato che il CTU, oculista, dr. C.A., accertava che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti erano cessate 11 anni prima dei disturbi di cui era causa e che il CTU, ortopedico, dr. Br. aveva concluso dichiarando che il quadro meiopragico della ricorrente era riconducibile ad una polinevrite e non ad artrosi o ernia del disco o a patologia da noxa di natura meccanica reiterata nel tempo.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ove il giudice del merito, tenuto conto di tutte le risultanze tecniche, ritenga di dovere aderire alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, l’obbligo di motivazione è assolto con l’indicazione, come fonte di convincimento, della CTU, senza necessità di una particolareggiata motivazione (ex plurimis: Cass., sentenza n. 4005 del 2005).

Da ciò discende la conseguenza che la CTU forma parte integrante della sentenza impugnata ed il giudice di legittimità può prenderne diretta conoscenza.

Non è ravvisabule, dunque nell’impianto argomentativo della sentenza il dedotto vizio di motivazione. In questo senso, le critiche della ricorrente tendenti al riesame degli elementi di giudizio già esaminati dal consulente tecnico, e fatte proprie dal Tribunale, si risolvono, in ultima analisi, in mere argomentazioni difensive, aventi sostanziale natura di merito, volte come sono a prospettare una valutazione diversa dei dati raccolti, che non può trovare ingresso in questa sede.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

4. Nulla per le spese ai sensi dell’art. 152 delle disp. att c.p.c. nel testo precedente all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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