Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12555 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 21/05/2010), n.12555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO MERCURIO, in persona del legale rappresentante

elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Farnese, n. 7, nello studio

degli Avv. Berliri Claudio ed Alessandro Cogliati Dezza, che lo

rappresentano e difendono giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, n. 284/3/02, depositata in data 5 maggio 2003;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienze del dal

consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito l’Avv. Gen. Dello Stato, Diana Ranucci, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Sentito il difensore del Consorzio, Avv. Cogliati Dezza, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ennio Attilio Sepe, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

1.1 L’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Avezzano emetteva nei confronti del Consorzio Mercurio avviso di accertamento, con cui, in relazione ad Irpeg ed Ilor per l’anno 1996, veniva contestata – in base alle risultanze di un p.v.c. di constatazione del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Catanzaro in data 21 giugno 1999 – l’indebita detrazione di costi, in virtù dell’ utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti, e concernenti la realizzazione di un capannone industriale in (OMISSIS).

1.2 La Commissione tributaria provinciale dell’Aquila, con decisione n. 125 depositata in data 3 luglio 2001, accoglieva il ricorso proposto dal Consorzio, affermando l’illegittimità del provvedimento impugnato per non essere stato allegato il p.v.c. in esso richiamato.

1.3 La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, con la decisione meglio indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio, affermando, in particolare – così implicitamente accogliendo il rilievo in merito all’insussistenza della nullità dell’avviso per mancata allegazione del p.v.c., in quanto già notificato alla parte – che le risultanze del p.v.c. stesso non erano suffragate dalla deduzione di obiettivi elementi di prova, il cui onere incombeva all’Ufficio.

1.4 Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Si costituiva con controricorso il Consorzio Mercurio, chiedendo il rigetto dell’impugnazione ex adverso proposta.

Diritto

2.1 – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c.; omessa o comunque insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Viene affermato, in primo luogo, che con il ricorso introduttivo, contenente rilievi in merito alla motivazione dell’atto impugnato, il Consorzio non avrebbe denunciato il mancato assolvimento, da parte dell’amministrazione finanziaria, dell’onere della prova, nè avrebbe riproposto la questione con appello incidentale. Si rileva, in ogni caso, che, vertendosi in tema di poste passive e di esenzioni di imposta, era il contribuente a dover dimostrare di poter esercitare tale facoltà. In proposito, la decisione impugnata, avendo posto in rilievo la valenza dei certificati di collaudo dei macchinar, aveva fornito una motivazione insufficiente, a fronte delle deduzioni dell’appellante circa il loro acquisto (sempre con contributi comunitari da parte di altra azienda, che li avrebbe ceduti (previo smontaggio e rimontaggio, e senza autorizzazione) al Consorzio.

Si ribadiva, che, essendosi contestata la fatturazione di operazioni “soggettivamente inesistenti”, in quanto la ditta appaltatrice dei lavori – come risultava dalle dichiarazioni richiamate nel p.v.c. – era priva di idonea struttura operativa, le fatture dalla stessa emesse non potevano non considerarsi fittizie, con conseguente indetraibilità dei relativi costi.

Il motivo, a prescindere dal profilo inerente al vizio di ultrapetizione, è fondato.

Benvero, premesso che, come emerge dal tenore dello stesso ricorso e dalla decisione impugnata, la questione di merito era stata dedotta, unitamente a quella inerente al vizio di motivazione dell’avviso impugnato, con il ricorso introduttivo, ed era stata riproposta con le controdeduzioni del Consorzio in appello, va rilavata l’insussistenza del vizio di ultrapetizione, in quanto il tema dell’onere della prova era intrinseco al thema decidendum, ritualmente introdotto nel contraddittorio fra le parti, inerente alla natura delle operazioni fatturate.

Per quanto attiene, quindi, al profilo inerente alla distribuzione dell’onere della prova, giova ricordare come, nel quadro dei generali principi vigenti in materia, spetti all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta.

Deve richiamarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti (Cass. n. 1727/07). Ed infatti, se è vero che l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, è altrettanto vero che resta onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (arg. da Cass. n. 21953/07).

Nel caso di specie, il riferimento, emergente dal richiamo dell’avviso di accertamento al p.v.c., e, quindi, alle dichiarazioni rese da vari soggetti, con le specifiche indicazioni relative ai meccanismi effettivamente operati (ammissione dell’effettiva natura dell’impresa appaltatrice, affermazioni circa lo smontaggio e il rimontaggio dei macchinar, provenienti da altra ditta), costituivano elementi significativi per consentire all’Agenzia di contestare fondatamente le risultanze delle fatture e di porre a carico del contribuente l’onere di fornire la dimostrazione della fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti.

Tale prova, come precisato da questa Corte anche di recente (Cass., 24 luglio 2009, n, 13377) in relazione all’ipotesi, che qui interessa, di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, non può essere validamente fornita dal privato soltanto dimostrando che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo, trattandosi di circostanze non concludenti. La prima, in quanto insita nella nozione di operazione soggettivamente inesistente, nella definizione data dalla giurisprudenza di questa Corte, la seconda poichè relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità del committente/cessionario alla frode, che costituisce anche illecito penalmente rilevante.

Tanto precisato, va osservato che la sentenza impugnata non appare conforme ai principi sopra esposti, in quanto il giudice di merito ha rigettato le ragioni dell’Agenzia sulla base delle risultanze di natura formale coessenziali alla contestata utilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti (Cfr Cass., 18 giugno 2008, n. 16492;

Cass., 30 gennaio 2007, n. 1950). Non risulta, invero, condotta una verifica sia in ordine alla dedotta inesistenza soggettiva delle operazioni contabilizzate, sia con riguardo alla non consapevolezza della ditta acquirente in merito alla reale identità del cessionario, risultando del tutto apodittica la sottovalutazione, in quanto meramente “indiziarie”, delle circostanze, neppure valutate, emergenti dal processo verbale di constatazione. Sotto tale profilo mette conto di rimarcare come, secondo un costante insegnamento di questa Corte, può darsi ingresso alle dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione Finanziaria o in altra sede qualificata, come ad ogni altro elemento indiziario acquisito in sede di verifica amministrativa, purchè tali indizi trovino ulteriore riscontro nelle risultanze dell’accesso dei verbalizzanti (Cass., 10 marzo 2010, n. 5476; Cass., 12 febbraio 2010, n. 3389; Cass., 13 novembre 2006, n. 24200; Cass., 29 luglio 2005, n. 16032, dove si precisa che anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni di terzi intese a contraddire le risultanze dell’accesso; Cass., 11 marzo 2002, n. 3526; Corte Cost., 21 gennaio 2000, n. 18).

2.2 – Deve viceversa, rilevarsi l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo di ricorso, con il quali, si deduce, rispettivamente, vizio di omessa pronuncia e di motivazione insufficiente e contraddittoria, in relazione, il primo, alla notifica del p.v.c. e alla motivazione dell’avviso di accertamento, trattandosi di aspetti (per altro in buona parte assorbiti dall’accoglimento del primo motivo) non denunciati nel rispetto del principio di autosufficienza.

3 – Il ricorso, nei limiti sopra precisati, deve essere pertanto accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che si atterrà nel decidere, ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo e dichiara inammissibili gli altari. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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