Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12553 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30159-2018 proposto da:

V.A. E D. SNC, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DEI COLLI

ALBANI 14, presso lo studio dell’avvocato NATALE PERRI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.E.W., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARNO

38, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BARONE, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2365/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 2365 pubblicata il 5.6.2018 la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello della società V.A. e D. s.n.c., confermando la decisione di primo grado che, accogliendo la domanda proposta da M.E.W., aveva accertato lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato della predetta alle dipendenze della società dall’1.7.2006 al 15.9.2016 e condannato quest’ultima al pagamento delle differenze retributive quantificate in Euro 69.174,04, oltre accessori;

2. la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva che era stata sollevata dalla società sul presupposto che gestore di fatto della stazione di servizio Eni ed effettivo datore di lavoro della M. fosse S.M.; ha ritenuto non dimostrata la cessione di fatto della gestione dell’impianto in favore del sig. S., in difetto dell’autorizzazione del concedente Eni, e, comunque, l’eventuale accordo gestorio non opponibile alla lavoratrice in quanto ad esso estranea;

3. la sentenza impugnata ha ritenuto dimostrato, sulla base delle prove raccolte, il rapporto di lavoro della M. alle dipendenze della società appellante, rilevando come quest’ultima avesse sottoscritto il contratto di apprendistato e, comunque, regolarizzato il rapporto di lavoro dal punto di vista contributivo, firmato le buste paga ed i bilanci;

3. avverso tale sentenza la V.A. e D. s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso M.E.W.;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. con il primo motivo di ricorso la società V.A. e D. s.n.c. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, errata e/o omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

6. ha sostenuto come la sentenza non avesse esaminato il fatto decisivo rappresentato dal procedimento instaurato da S.M. nei confronti della società, rubricato al n. 3805/2013 RG. del Tribunale di Velletri, avente carattere pregiudiziale; in tale procedimento il S. aveva chiesto la risoluzione della scrittura privata con cui i due soci della V. s.n.c., V.A. e C.M., si erano impegnati a cedergli, previo assenso dell’Eni, le loro quote societarie dietro corresponsione della somma di Euro 67.400,00, e la restituzione della somma medesima; a seguito del mancato assenso dell’Eni, i soci della V. s.n.c. avevano accettato la proposta del S. di mantenere la titolarità formale della concessione affidandone la gestione di fatto al predetto, a fronte del pagamento della somma sopra indicata; ha aggiunto che se il Tribunale e poi la Corte avessero accolto le istanze istruttorie della società, avrebbero potuto accertare il ruolo del S. quale gestore di fatto della stazione di servizio, con conseguente difetto di legittimazione passiva della società rispetto alla domanda avanzata dalla M.; ha ulteriormente affermato come la Corte d’appello, pur avendo preso atto del contratto di gestione poi non perfezionatosi, fosse pervenuta ad una decisione illogica e in contrasto con la prova documentale che lo stesso S. aveva posto a base delle sue rivendicazioni in sede giudiziale; la Corte non aveva tenuto conto degli accordi presi tra le parti e in forza dei quali il S. divenne gestore di fatto dell’impianto, dal punto di vista amministrativo, contabile ed operativo e nei confronti di questi la M. avrebbe dovuto agire in relazione al dedotto rapporto lavorativo;

7. con il secondo motivo la società ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata e/o omessa valutazione dei mezzi di prova, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 1362 c.c.;

8. ha sostenuto che la sentenza impugnata era sorretta da motivazione insufficiente, frutto di erronea e superficiale valutazione dei fatti, dei presupposti di diritto e delle risultanze istruttorie; ha aggiunto come la Corte territoriale avesse attribuito un ruolo marginale al disconoscimento della firma da parte di V.A. del contratto di apprendistato e del successivo contratto a tempo indeterminato, senza rilevarne la nullità; ha elencato una serie di elementi da cui avrebbe dovuto desumersi il ruolo del S. quale gestore di fatto dell’impianto;

9. il ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità;

10. sul primo motivo di ricorso occorre premettere come trovi applicazione alla fattispecie in esame la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, sulla c.d. doppia conforme, trattandosi di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato il 20.12.2016;

11. in base a tale disciplina, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

12. che nel caso di specie tale allegazione manca del tutto sicchè risulta inammissibile il motivo formulato ai sensi del citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

13. parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso;

14. dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più denunciabile il vizio di motivazione insufficiente (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014), nè può configurarsi nel caso di specie un vizio di carenza assoluta di motivazione tale da integrare la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass., S.U. cit.; Cass., S.U., n. 22232 del 2016), risolvendosi le censure mosse in una critica alla valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, inammissibile in questa sede di legittimità;

15. inammissibile è anche la dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., che, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), presuppone il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice valuti una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale;

16. nel motivo di ricorso in esame non è prospettato un simile errore ma è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova non ritenendo dimostrata la gestione di fatto della stazione di servizio, ed anche il rapporto lavorativo, in capo al S.;

17. per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile;

19. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza con liquidazione come in dispositivo;

20. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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