Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12552 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26791-2018 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER

44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANGAZZO, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIOVANNI DI DOMENICO;

– ricorrente –

contro

STARHOTELS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 112, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIA CALLARI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIAN LUCA PINTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1315/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 1315 pubblicata il 6.7.2018 la Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del reclamo di Starhotels s.p.a. ed in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda di L.S. di illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 4.10.2016;

2. la Corte territoriale ha ritenuto dimostrato l’addebito contestato al L., dipendente dell’hotel con le mansioni di facchino, di essersi impossessato in data 5.9.2016 del denaro (Euro 1.300,00) custodito nella cassaforte della stanza n. 102;

3. in particolare, accertata, in base alle prove testimoniali, la diversa regolazione degli orologi dei dispositivi installati in albergo (impianto di video sorveglianza, sistema di apertura della porta della stanza, memoria interna della cassaforte) e riallineati gli orari di accesso nella stanza e di apertura della cassaforte, ha appurato la perfetta concomitanza tra gli orari di accesso del L. nella stanza 102 (accesso ammesso dal medesimo lavoratore per motivi di servizio) e l’apertura della cassaforte, non giustificata da alcuna necessità legata alle mansioni da svolgere;

4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il L., affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, la società Starhotels s.p.a.;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. con il primo motivo di ricorso il L. ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. sotto il profilo della natura controversa del fatto (art. 360 c.p.c., n. 3);

7. ha sostenuto come il ragionamento presuntivo della Corte di merito non si basasse su fatti noti non essendovi prova certa della avvenuta sottrazione delle banconote dalla cassaforte della stanza 102, dello sfasamento degli orologi dei diversi dispositivi installati in albergo (impianto di video sorveglianza, sistema di apertura della porta della stanza, memoria interna della cassaforte), della disponibilità in capo al predetto della chiave meccanica per l’apertura della cassaforte, della compatibilità con l’accusa dei ridotti tempi di permanenza del medesimo nella stanza 102;

8. ha argomentato la falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., che consente di ritenere provato un fatto ignoto solo attraverso un fatto noto, che è tale se riconosciuto o non contestato da tutte le parti processuali, oppure ritenuto già provato o, ancora, riconducibile alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, rilevando il difetto nel caso di specie di tali requisiti;

9. col secondo motivo di ricorso il lavoratore ha dedotto, in via subordinata, violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. sotto il profilo della assoluta insussistenza del fatto (art. 360 c.p.c., n. 3);

10. ha ribadito la mancanza di prove sui fatti posti a base del ragionamento presuntivo svolgendo i seguenti rilievi: i dispositivi da cui sono stati tratti i dati usati dalla Corte di merito non sono stati oggetto di verifica da parte dei giudici o di ausiliari; le rilevazioni delle telecamere e del pass, in quanto redatti da personale dipendente dell’albergo, devono considerarsi documenti provenienti dalla controparte e privi di efficacia probatoria in favore della stessa; i testimoni escussi hanno confermato la rigida procedura di utilizzo della chiave meccanica di apertura delle casseforti;

11. col terzo motivo di ricorso il L. ha censurato la pronuncia d’appello, in via ulteriormente subordinata, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. sotto il profilo della mancanza di circostanze gravi, precise e concordanti (art. 360 c.p.c., n. 3);

12. ha sostenuto come le circostanze su cui la sentenza impugnata ha fondato il ragionamento presuntivo non avessero i requisiti di gravità, precisione e concordanza; in particolare mancando prova della sottrazione da parte del dipendente della chiave meccanica per l’apertura della cassaforte, dell’utilizzo da parte del medesimo del pass e della sua presenza nella stanza 102, non avendo il sistema di video registrazione ripreso altre persone che pacificamente sono entrate in altri orari nella stanza;

13. col quarto motivo il ricorrente ha dedotto, in via ulteriormente subordinata, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sotto il profilo della mancanza di prova del fatto, il cui onere gravava su parte datoriale;

14. i primi due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati;

15. premesso che, come recita l’art. 2727 c.c., le presunzioni sono le conseguenze che la legge (presunzioni legali) o il giudice (presunzioni semplici o giudiziali) trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, nella giurisprudenza di legittimità si è più volte sottolineato come, nel dedurre dal fatto noto quello ignoto, il giudice di merito incontri il solo limite del principio di probabilità (Cass., 12/6/2006, n. 13546). Non occorre cioè che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire la esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile, secondo un criterio di necessità assoluta ed esclusiva (cfr. Cass. n. 6387 del 2018 e precedenti ivi citati), ma è sufficiente che l’inferenza del fatto noto da quello ignoto sia effettuata in base ad un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza basate sull’id quod plerumque accidit (cfr. Cass., 30/5/2019 n. 14762; Cass. 15/3/2018 n. 6387; Cass. 30/11/2005, n. 6081; Cass. 23/3/2005, n. 6220; Cass., 16/7/2004, n. 13169; Cass. 13/11/1996, n. 9961);

16. occorre considerare, al fine di meglio delineare l’ambito del giudizio di legittimità, che il ragionamento presuntivo è articolato in due momenti valutativi: occorre, in primo luogo, una valutazione analitica degli elementi offerti, per scartare quelli privi di rilevanza e conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria (il che comporta la sindacabilità di una valutazione che abbia pretermesso, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante(in tal senso cfr. Cass. n. 23201/15, in motivazione); successivamente, deve procedersi ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze così isolate, per accertare se esse siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado, in base ad un giudizio di elevata probabilità logica, di condurre a ritenere dimostrato il fatto ignoto (cfr. Cass. n. 23201/15, in motivazione);

17. va ulteriormente precisato che il giudizio valutativo sugli indizi costituisce un giudizio di fatto, come tale rimesso al giudice di merito che, nel suo libero apprezzamento, può valutarli, ove anche provenienti dalla parte, come idonei alla dimostrazione di un fatto determinato e porli, in concorso o meno con altri elementi significativi, a base del proprio convincimento (cfr. Cass., 15/3/2006, n. 5645; Cass., 17/11/2003, n. 17371; Cass., 30/5/2002, n. 7935; Cass., 14/2/2002, n. 2124; Cass., 26/10/2001, n. 13213. Cfr. altresì Cass., 28/6/2010, n. 15383; Cass., 28/4/2004, n. 8126);

18. la valutazione degli indizi è incensurabile in sede di legittimità, spettando a questa Corte soltanto la verifica sul rispetto dei principi che regolano la prova per presunzioni (cfr. Cass., 8/3/2007, n. 5332; Cass., 23/1/2006, n. 1216; Cass., 19/3/2002, n. 3974) e quindi sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute (senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento o nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti); appartiene al giudizio di legittimità, inoltre, il sindacato sulle massime di esperienza utilizzate nella valutazione delle risultanze probatorie. Tale controllo non può peraltro spingersi fino a sindacarne la scelta, dovendo questa S.C. limitarsi a verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero su ipotesi non rispondenti all’id quod plerum accidit o su regole generali prive di una sia pur minima plausibilità invece che su vere e proprie massime di esperienza. (in tal senso Cass., n. 6387/18);

19. nel caso di specie, la Corte di merito ha affermato la attribuibilità al L. (fatto ignoto) della sottrazione delle banconote dalla cassaforte della stanza 102 sulla base di una serie di fatti e circostanze note, nel senso di accertate e provate nel processo, secondo una valutazione di merito non sindacabile in questa sede: la sottrazione del denaro è stata affermata in base alla denuncia presentata dai clienti occupanti la stanza 102 da cui risulta il difetto di funzionamento della cassaforte digitale constatato dalla direzione la mattina del 6.9.16; le prove testimoniali, documentali e di videoregistrazione hanno consentito di ricostruire l’orario esatto di apertura della porta della stanza 102 e della cassaforte e la sovrapponibilità di tali orari agli ingressi nella medesima stanza da parte del L. (e di nessun altro dipendente o cliente); altre prove testimoniali hanno consentito di ricostruire che la chiave meccanica di apertura della cassaforte era facilmente duplicabile presso qualsiasi ferramenta (teste B.), che non era voluminosa ed era quindi facilmente occultabile (teste Le.); lo stesso L. ha riferito di avere avuto a disposizione tale chiave in più occasioni e di averla utilizzata una decina di volte nella sua carriera;

20. da questi fatti noti in quanto accertati, la Corte territoriale ha desunto, secondo un rigoroso ragionamento presuntivo conforme alle massime di esperienza, la prova del fatto ignoto, cioè della attribuibilità al L. della apertura della cassaforte (previa disponibilità di una chiave meccanica) e del prelievo delle somme ive depositate, compiuti nel brevissimo lasso di tempo in cui il predetto si è certamente e pacificamente recato nella stanza 102;

21. i rilievi mossi dal ricorrente con i primi due motivi di ricorso non investono la correttezza del ragionamento presuntivo ma si limitano a contestare la valutazione sui singoli indizi, come operata dalla Corte di merito; ad esempio, quanto alla mancanza di prova adeguata dello sfasamento degli orologi dei vari dispositivi (sul punto cfr. sentenza d’appello, pag. 8, ove è ribadito come tale sfasamento fosse stato confermato dai testimoni escussi); sulla mancanza di data certa, quanto all’anno, delle operazioni di apertura e chiusura della cassaforte installata nella stanza 102, risultanti dalla stampa eseguita dal tecnico Cisa, ditta fornitrice delle casseforti, e sulla certezza del riferimento di detto elenco alla stanza 102 (sul punto cfr. sentenza pag. 10 e 11 che richiama la deposizione del tecnico Cisa); sull’ingresso nella stanza 102, oltre alla cameriera L., in orari diversi da quelli di apertura della cassaforte, di altra cameriera, fatto di cui tuttavia non è allegata alcuna fonte probatoria e del quale non vi è cenno nella sentenza;

22. l’unica censura oggetto del primo motivo che investe direttamente il ragionamento presuntivo attiene alla compatibilità, col fatto addebitato all’attuale ricorrente, della breve sua permanenza nella stanza 102, di tre minuti nel primo accesso (ore 10.41 – ore 10.43; con apertura della cassaforte alle 10.42 e chiusura alle 10.43), e di un solo minuto nel secondo accesso (11.37 – 11.38; con apertura della cassaforte alle 11.37 e chiusura alle 11.38), dovendo egli anche provvedere ad alcune incombenze di servizio; sul punto la sentenza d’appello ha fatto corretta applicazione dei criteri di plausibilità logica laddove ha statuito che “ben può il resistente aver provveduto sommariamente alle incombenze di servizio affidategli ritagliandosi uno spazio temporale minimo necessario per aprire la cassaforte, sottrarre le banconote e subito richiuderla”;

23. deve parimenti escludersi la violazione dell’art. 2727 c.c., come denunciata col secondo motivo di ricorso, in quanto censura la valutazione della denuncia presentata dai clienti della stanza 102 e delle prove testimoniali raccolte come idonee a dimostrare l’effettiva sottrazione del denaro dalla cassaforte;

24. anche il terzo motivo di ricorso è infondato;

25. questa Corte ha affermato (Cass. n. 29635 del 2018; n. 17535 del 2008) che in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri di gravità, precisione, concordanza fatti concreti che non siano invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360 c.p.c.), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta”;

26. nel caso di specie, il ricorrente ha affermato l’assenza di elementi gravi, precisi e concordanti per ritenere che egli possa aver sottratto o, comunque, essersi impossessato della chiave meccanica per aprire la cassaforte; al riguardo, la Corte di merito ha raggiunto la convinzione dell’esistenza del fatto ignoto (possesso della chiave da parte del L.) in base ai dati riferiti dai testimoni sulle caratteristiche di tali chiavi, sulla facile duplicazione, sulle modalità di custodia delle stesse e sull’utilizzo delle medesime da parte dei facchini, e dello stesso L., in più occasioni; elementi che, in uno col dato secondo cui il predetto si trovava nella stanza 102 negli stessi minuti in cui la cassaforte veniva aperta, sono stati correttamente valutati dai giudici d’appello come univocamente e gravemente significativi della plausibilità logica del possesso da parte del L. della chiave, poi utilizzata il 5.9.2016 per aprire la cassaforte;

27. le restanti censure, oggetto del terzo motivo, concernono non le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza dei singoli indizi adoperati nella sentenza impugnata e la loro idoneità a fondare, nella valutazione di sintesi e secondo un criterio di elevata probabilità logica, le conclusioni raggiunte quanto, invece, la errata valutazione delle risultanze istruttorie (ad esempio riguardo alla prova dell’ingresso del predetto nella stanza tramite pass), e si collocano al di fuori del vizio di violazione di legge, pure riferito all’art. 2729 c.c.;

28. neppure il quarto motivo di ricorso può trovare accoglimento non essendo denunciata l’inversione dell’onere di prova, pacificamente facente capo al datore di lavoro che intima il licenziamento, bensì l’insufficienza delle stesse in base alle risultanze istruttorie;

29. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

30. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo;

31. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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