Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12551 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18405-2018 proposto da:

V.A., DI.MA.FR., D.M.P.,

FU.GA., R.G., F.C. nella qualità di erede di

F.B., D.L.C. nella qualità di erede di

D.L.E., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO

CALCAGNI;

– ricorrenti –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, BANCO DI NAPOLI SPA, in persona dei rispettivi

Procuratori pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

IC SERVIZI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 17(11/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 1701/2018, ha rigettato l’appello proposto da V.A. più altri sei litisconsorti avverso la sentenza che aveva respinto la domanda da essi svolta per ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con il Banco di Napoli S.p.A. a seguito del carattere simulato dell’appalto di manodopera relativo a servizi di facchinaggio, spostamento mobili ed arredi e sistemazione degli archivi, intercorso con la IC Servizi s.r.l. della quale erano formalmente dipendenti dall’anno 2008 con qualifica di operai.

La Corte d’appello preliminarmente osservava, che sul piano giuridico, secondo il corretto orientamento giurisprudenziale in materia di divieto di intermediazione e di contratto di appalto lecito, occorreva che l’appaltatore fosse fornito di un’organizzazione di tipo imprenditoriale volta alla realizzazione di un’opera o eli un servizio in vista di un risultato produttivo autonomo; sempre che l’attività lavorativa fosse diretta autonomamente dall’appaltatore. Sulla scorta di tale premessa la Corte rilevava che, nel caso di specie, non fossero emersi dall’istruttoria sia pur minimi margini di interferenza e di ingerenza della committente Banco di Napoli nelle modalità tecniche di realizzazione dei servizi offerti dai lavoratori appellanti. Al contrario era emerso che il Banco di Napoli si limitasse a prendere atto della lista dei nominativi degli operai inviati dall’appaltatrice a svolgere il servizio pattuito, senza sollecitare l’invio di uno o piuttosto che di altro operaio, venendo così a mancare il fondamentale elemento fiduciario posto alla base del rapporto, costituito dal c.d. intuitus personae. Considerato poi il carattere manuale e non specialistico del servizio oggetto dell’appalto non era rilevante, secondo la Corte d’appello, il fatto che non fosse costantemente in loco un preposto della ditta appaltatrice per la supervisione tecnica del lavoro, ben potendo i lavoratori incaricati realizzare il servizio in condizioni di autonomia. Inoltre, siccome estranee alle nozioni di istruzioni o direttive datoriali, non rilevavano neppure, secondo la Corte d’appello, le generiche indicazioni date dalla parte committente ai prestatori circa i mobili o arredi da movimentare e gli spazi da occupare, in quanto si trattava appunto di informazioni rese agli esecutori materiali del servizio al solo fine di individuare l’oggetto della prestazione, onde garantire la realizzazione del risultato pattuito con la ditta appaltatrice. Neppure rilevava la registrazione su appositi fogli dell’orario osservato dai lavoratori avente l’unico scopo di quantificare il lavoro svolto ai fini della contabilizzazione del costo del servizio; così come era irrilevante la destinazione di un locale all’interno dell’edificio della banca ad uso spogliatoio per consentire di indossare la divisa e conservare gli strumenti di lavoro. Non rilevava nemmeno la circostanza che alcuni carrelli elevatori utilizzati dagli appellati fossero di proprietà del Banco di Napoli in base all’ovvia considerazione che anche al personale dell’Istituto bancario potesse rendersi necessario l’uso di scale, carrelli elevatori e altri strumenti idonei a facilitare lo spostamento e la sistemazione di documenti e pratiche negli scaffali degli uffici. Infine neanche il fatto che i medesimi lavoratori fossero dotati di badge d’ingresso era rilevante, per la Corte, dato che l’utilizzo del badge era necessario per intuibili ragioni da parte di tutti coloro i quali a qualsiasi titolo dovevano sistematicamente entrare ed uscire dai locali della banca per motivi operativi.

Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione V.A. più altri sei litisconsorti deducendo un unico motivo. Ha resistito al ricorso il Banco di Napoli ed Intesa San Paolo spa.

La IC Servizi s.r.1 è rimasta intimata.

E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Intesa San Paolo SPA, che è pure succeduta al Banco di Napoli SPA a seguito di atto di fusione del 10 ottobre 2018, ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

CHE:

1.- con un unico motivo il ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, artt. 1 e 3, applicabile ratione temporis, del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, per quanto applicabile, e dell’art. 1665 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; ciò in quanto la sentenza d’appello appariva contraddittoria e per certi versi poco comprensibile; siccome l’attività di fatto svolta dai dipendenti dell’appaltatrice presso la committente era organizzata in via esclusiva e senza delega dalla committente; la committente era inoltre la proprietaria delle attrezzature necessarie per l’esecuzione del servizio, dei locali esclusivamente utilizzati e di quant’altro necessario all’esecuzione del lavoro; il personale dell’appaltatrice era inserito stabilmente a tutti gli effetti nel ciclo produttivo del Banco di Napoli con prestazioni quotidiane reiterate per anni e anni. Tutti tali elementi erano stati erroneamente interpretati dalla Corte laddove il vero discrimine tra appalto di servizi genuino e somministrazione illecita era ravvisabile prevalentemente nell’esercizio del potere di direzione e controllo e nell’individuazione del soggetto che esercita il potere di direzione e controllo. L’appaltante aveva gestito direttamente i dipendenti dell’appaltatore e questo rappresentava indice sufficiente della non autenticità dell’appalto; mentre il controllo dell’appaltante avrebbe dovuto essere relativo all’attività dell’appaltatore e non alle persone da questo dipendenti. I ricorrenti concludevano che, pertanto, la sentenza incorreva della violazione della norma in base alla quale il contratto di appalto – regolato dell’art. 1655 c.c. – si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore; e precisa che gli elementi distintivi dell’appalto possono risultare anche in relazione all’esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto nonchè per la assunzione da parte del medesimo appaltatore del rischio d’impresa.

2.- Tanto premesso sulla formulazione della censura, deve essere disattesa anzitutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dalla difesa controricorrente, per insufficienza dei requisiti minimi, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e del principio di specificità.

Va infatti rilevato che, sia pure in modo sintetico, il ricorso non manca di nessuno dei requisiti stabiliti dall’art. 366 c.p.c. per la sua ammissibilità dal momento che anche l’esposizione dei fatti di causa di cui al n. 3 sussiste: con l’individuazione della domanda, della pronuncia di primo e di secondo grado, e dei relativi motivi di impugnazione in appello ed in cassazione. L’esposizione dei fatti e l’indicazione degli atti appare inoltre funzionale al contenuto della doglianza sollevata con il ricorso, con il quale la sentenza è stata impugnata soltanto per violazione e falsa applicazione delle norme ivi indicate (L. n. 1369 del 1960, artt. 1 e 3, D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, art. 1665 c.c.) dato che, secondo i ricorrenti, essa era contraddittoria, aveva male interpretato gli elementi, ampiamente presenti nel caso di specie, in merito al discrimine tra appalto di servizi genuino e somministrazione illecita (ravvisabile prevalentemente nell’esercizio del potere di direzione e controllo); e conduceva, sempre secondo il ricorso, alla violazione della norma fondamentale della materia costituita oggi dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, in base alla quale ” il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori nell’appalto, nonchè per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore. del rischio d’impresa”.

Nessun vizio di specificità o di autosufficienza sussite dunque nel caso di specie, atteso che il ricorso richiede sostanzialmente – e senza che allo scopo siano necessarie formule sacramentali – un controllo della valutazione giuridica effettuata dal giudice di merito sotto il profilo della corretta interpretazione delle norme di legge e del giudizio di sussunzione nelle stesse norme generali della fattispecie concreta accertata in giudizio. Il motivo formulato in ricorso consente quindi a questa Corte di individuare l’errore che si assume viziare la sentenza e che Fonda la richiesta di cassazione formulata dai ricorrenti nelle conclusioni.

3.- Quanto alla fondatezza del motivo sollevato con il ricorso, va rilevato che in conformità all’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. nn. 15557/2019, 27213 del 26/10/2018, 7820/2013, 15693/2009, 1676/2005), per individuare la linea di demarcazione tra la fattispecie vietata dell’esistenza di una interposizione illecita di manodopera e quella lecita dell’appalto di opere o servizi, è necessario che il giudice accerti che all’appaltatore sia stato affidato un servizio ed un risultato in sè autonomo, da conseguire attraverso la reale organizzazione e gestione autonoma della prestazione, con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo, con l’impiego di propri mezzi da parte dell’appaltatore e sempre che sussista un rischio di impresa in capo all’appaltatore.

Ad es. si richiama Sez. L n. 15693 del 03/07/2009 secondo cui “In relazione al divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, sono leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletabili con mere prestazioni di manodopera o con l’ausilio di attrezzature e mezzi modesti, costituiscano un servizio in sè svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore e con assunzione da parte dello stesso dei relativi rischi economici, senza diretti interventi dispositivi e di controllo dell’appallante sulle persone dipendenti dall’altro soggetto. Ma anche di recente Sez. L n. 27213 del 26/10/2018 ha affermato che “Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento “gli appalti “endoaziendali”, caratterizzali dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti ai complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volle in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, nè una assunzione di rischio economico con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo.

4.- Occorre dunque effettuare un accertamento complesso mirato alla fattispecie concreta ed in particolare, soprattutto quando si tratta di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), attraverso un’attenta verifica dell’organizzazione aziendale e delle modalità di esecuzione dell’attività lavorativa; tenendo presente tutte le condizioni (servizio autonomo, organizzazione autonoma, esercizio potere direttivo, rischio d’impresa) richieste ai fini della legittimità dell’appalto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, e dall’art. 1655 c.c. che esso richiama.

4.a.-Ebbene nel caso in esame risulta anzitutto dalla sentenza che la datrice di lavoro formale non disponesse in loco (“costantemente”, ma dalla sentenza non risulta neanche momentaneamente) neppure di un referente, ovvero un preposto responsabile col compito di sovraintendere i lavori e dirigere i lavoratori ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29. La Corte d’Appello, invece di dedurre da ciò un elemento altamente indiziario della presenza della fattispecie vietata dalla norma, ne ha tratto invece l’illogica conseguenza che i lavoratori incaricati potessero “realizzare il servizio in condizioni di autonomia esecutiva”. Confermando così, in modo che più plastico non si potrebbe, il fatto di non aver accertato l’esercizio di alcun potere direttivo ed organizzativo – richiesti dalla norma – in capo all’appaltatrice IC servizi srl, datore di lavoro formale di quei lavoratori; i quali erano subordinati proprio perchè assoggettati al potere direttivo altrui (che non può mancare mai), mentre non potevano lavorare in condizioni di autonomia senza cessare di essere subordinati.

41.- Inoltre, poichè è pure risultato nella causa che, in mancanza di un referente dell’appaltatrice, i lavoratori ricevessero direttamente le indicazioni sul lavoro da svolgere (“circa i mobili o arredi da movimentare e gli spazi da occupare”) dal committente Banco di Napoli, la Corte ne ha ricavato la convinzione che non si trattasse di indicazioni essenziali allo svolgimento della prestazione di lavoro, degradandole al rango di indicazioni “generiche” in quanto “estranee alle nozioni di istruzioni o direttive datoriali”. Senza però considerare, anche qui, il concreto lavoro svolto, ovvero che nelle attività relative a servizi elementari (come quello in oggetto) anche il potere direttivo tende ad esprimersi di conseguenza in forme necessariamente elementari. Sicchè in un appalto come quello in oggetto (relativo a servizi di facchinaggio, spostamento mobili ed arredi e sistemazione degli archivi) esso si è esercitato proprio indicando i mobili o gli arredi da movimentare e gli spazi da occupare, senza che fosse necessaria altra cogente disposizione sul come lavorare e sulle modalità di svolgimento delle prestazioni di facchinaggio. Di più vi è che non risultando – come si dirà- alcuna organizzazione autonoma del sevizio da parte dell’appaltatore le disposizioni impartite non potevano che essere ricondotte al potere direttivo del datore e non al risultato da conseguire con il servizio dato in appalto.

4.c- Se poi si pensa che, secondo quanto accertato dalla stessa Corte territoriale, anche i beni strumentali essenziali utilizzati dai lavoratori ricorrenti fossero forniti dalla committente (e venissero impiegati all’occorrenza anche dai dipendenti del Banco di Napoli), ne risulta un’ulteriore conferma della circostanza che il potere organizzativo del lavoro da svolgere fosse rimasto per intero in capo al Banco di Napoli (tenuto in quanto datore di lavoro anche sul piano degli obblighi in materia di sicurezza ai sensi del T.U. n. 81 del 2008).

4.d. Occorre inoltre considerare che, come emerge dalla sentenza impugnata, gli stessi lavoratori erano pure tenuti all’utilizzo del badge d’ingresso; a servirsi del locale riservato per spogliatoio e deposito attrezzi all’interno della banca; ed erano assoggettati alla registrazione dell’orario di lavoro da parte della Banca. Sicchè sussistono nella causa una serie complessa di elementi indiziari i quali confermano che gli stessi lavoratori fossero per intero calati all’interno della complessa organizzazione della committente rimanendo totalmente assoggettati al potere di controllo e direttivo della medesima committente.

5. Per contro, dalla sentenza impugnata non emerge nessuna gestione ed organizzazione autonoma dell’attività, nè di mezzi nè di uomini, ed alcuna direzione del personale, e nemmeno il conseguimento di alcun risultato autonomo, da parte dell’appaltatrice e formale datrice di lavoro IC Servizi srl. Al contrario, dal contenuto della stessa sentenza, si evince, come unico dato riferibile al rapporto contrattuale tra committente ed appaltatrice, che la IC Servizi srl si fosse limitata, per anni ed anni, esclusivamente ad inviare presso il Banco di Napoli “una lista di nominativi di operai”. Nessun altro dato è presente nella sentenza impugnata che attesti una qualche organizzazione autonoma della prestazione dei lavoratori ricorrenti da parte della IC Servizi srl.

6.- Si conferma così, anche per questa via, come la IC Servizi si comportasse esclusivamente da soggetto intermediario che, senza essere autorizzato allo svolgimento della somministrazione, si limitava alla mera fornitura di manodopera, con lo stratagemma della stipula di un contratto di appalto di servizi ma, in realtà, eseguendo una tipica prestazione di dare (e non di fare, che è tipica dell’appalto). Essa infatti inviava “una lista di nominativi” ovvero, come si sarebbe detto un tempo, di `mere prestazioni di lavoro” che poi – in base a quanto già rilevato – il Banco di Napoli impiegava e dirigeva secondo le proprie necessità, in mancanza persino di un incaricato della IC Servizi srl che fungesse quantomeno da intermediario preposto e che interloquisse con il committente. Talchè in assenza dell’esercizio del potere direttivo del datore formale, il committente dispensava direttamente ed in via unilaterale le indicazioni necessarie, intrinseche, per il lavoro da svolgere al personale della IC Servizi. Mentre non è emersa nemmeno l’esistenza di alcuna direttiva del Banco di Napoli nei confronti della stessa 1C Servizi ai fini del coordinamento dell’attività e del risultato da conseguire da parte dell’appaltatore.

7.- Anche il rilievo effettuato nella sentenza impugnata, circa l’asserita mancanza dell’elemento fiduciario, evidenzia un ulteriore vizio giuridico contenuto nella pronuncia – relativo alla individuazione dei criteri da selezionare ai fini della ricostruzione della complessa fattispecie qualificatoria che viene in rilievo.

In proposito la sentenza non ha colto che per la configurazione dell’interposizione di manodopera o della somministrazione illegale, effettuata attraverso la simulazione di un rapporto di appalto di servizi, non è necessario che il giudice accerti la presenza dell’elemento dell’intuitus personae in capo al committente, in relazione alla scelta del personale, in quanto questo compito viene svolto a monte dall’intermediario (somministratone illegale o caporale, che può anche essere nei fatti un’impresa legale), il quale seleziona e reperisce la manodopera (la organizza e la disciplina, talvolta anche sul piano amministrativo) per metterla a disposizione del reale datore di lavoro che poi la dirige anche nella sostanza. Nell’interposizione vietata di manodopera, quindi, l’elemento fiduciario è presente, ma il più delle volte in relazione all’intermediario, essendo ciò consequenziale alla stessa fattispecie di costituzione formale del rapporto di lavoro subordianto con un soggetto diverso da quello che beneficia della prestazione.

8. – Tutto ciò premesso deve essere quindi confermato che la sentenza impugnata è incorsa negli enunciati errori di diritto: sia sotto il profilo dell’erronea interpretazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, e dell’art. 1655 c.c. ovvero dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la corretta portata precettiva delle norme; sia sotto il profilo della falsa applicazione delle stesse norme al caso concreto. E quindi dell’erronea sussunzione del fatto accertato all’interno dell’ipotesi normativa, secondo la verifica a cui ordinariamente tende il controllo dell’errore di diritto in sede di legittimità (Cass. Ordinanza n. 21772 del 29/08/2019).

Giova ricordare, in proposito, che allorchè il giudice escluda la riconduzione all’interno della norma astratta di un fatto concreto a cui invece quella norma si applica esso incorre in un errore di diritto competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se le norme oltre ad essere applicate esattamente a livello di declamazione astratta, lo siano state anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. n. 29635/2018).

9. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di accogliere il ricorso, cassare la sentenza impugnata e rinviare la causa al nuovo giudice indicato in dispositivo il quale nella prosecuzione della causa si atterrà a quanto statuito nella presente ordinanza circa la riconduzione dell’attività svolta dai ricorrenti all’interno di una fattispecie di interposizione di manodopera vietata, con ogni conseguenza di legge nei limiti della domanda svolta.

Il giudice provvederà altresì sulle spese del giudizio di legittimità.

10.- Non sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a duello se dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si da atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello se dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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